Autonoma organizzazione, i Giudici devono indagare sulla natura dei compensi
22 Luglio 2015
La Corte di Cassazione torna ad affrontare il discusso problema dell'autonoma organizzazione a fini IRAP, e lo fa con la sentenza del 17 luglio 2015, n. 15006. In essa, si esaminava il ricorso presentato da una contribuente avverso la decisione della Commissione Tributaria Regionale, che aveva riformato la decisione di primo grado; la questione verteva sul silenzio-rifiuto operato dall'Amministrazione avverso la richiesta della contribuente di rimborso dell'IRAP. I Giudici regionali hanno infatti ritenuto non trascurabile il fatto che la contribuente avesse erogato a terzi una cifra considerevole, pari a circa il 12% dei suoi ricavi, cosa che costituiva per i giudici “sicuro indice di un'organizzazione”. La contribuente lamentava il nesso tra questo rilievo ai fini dei requisiti dell'autonoma organizzazione ai fini IRAP. Come è risaputo, infatti, l'IRAP riguarda una capacità produttiva impersonale ed aggiuntiva rispetto a quella propria del professionista; “colpisce un reddito che contenga una parte aggiuntiva di profitto, derivante da una struttura organizzativa esterna”, per usare le parole dei Giudici. Il requisito di autonoma organizzazione, necessario ai fini IRAP, ricorre quando il contribuente “impieghi beni strumentali eccedenti […] il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale del lavoro altrui”. I Giudici di appello non hanno però fatto corretta applicazione di tali pacifici principi normativi, non avendo indagato sulla natura dei compensi erogati a terzi da parte del professionista; somma che in realtà, secondo la ricorrente, è da ricondursi ad una sola prestazione professionale. Pertanto, è da ritenersi cassata la precedente sentenza regionale. |