I redditi delle multinazionali del web e l’impatto sul diritto tributario

La Redazione
23 Giugno 2015

La Fondazione Telos, centro studi dell'ODCEC Roma, ha pubblicato un interessante approfondimento riguardante i redditi conseguiti in Italia dai colossi del web. Nell'esame della normativa di riferimento e dei profili applicati, il documento affronta il tema del commercio elettronico e del suo attuale trattamento a livello fiscale.

Il Portale dell'Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Roma ha pubblicato ieri, 22 giugno, un significativo documento dal titolo Redditi conseguiti in Italia dai colossi del web: normativa di riferimento e problemi di applicabilità.

Le nuove frontiere del commercio

La Fondazione Telos, nella prefazione alla rassegna, evidenzia come il commercio, a livello globale, ha vissuto negli ultimi anni un mutamento radicale nel modus operandi. E le innovazioni – si pensi alle facilitazioni dei tablet e smartphone piuttosto che alle variegate architetture organizzative – impongono un adeguamento del sistema tributario.

Il quadro normativo attuale sembra rigido al cambiamento: si può quindi affermare che il commercio elettronico stia mettendo in crisi i principi saldi di fiscalità internazionale? Molti spingono per accelerare i tempi e giungere ad una soluzione più o meno temporanea a livello nazionale; molti invece frenano, auspicando una risposta unanime a livello comunitario ed internazionale per evitare divergenze e possibili incompatibilità.

Commercio elettronico e stabile organizzazione

Il sistema tributario italiano, al pari della maggioranza dei Paesi, è informato al principio della tassazione sull'utile mondiale (worldwide taxation principle), in ossequio del quale i residenti vengono assoggettati ad imposizione su tutti i redditi da questi ovunque prodotti, a prescindere dal luogo della fonte del reddito. Per i soggetti non residenti vige invece un altro principio fondamentale, quello della tassazione in base alla fonte del reddito (source based taxation principle): sono tassati sul territorio anche i redditi ivi prodotti – in base a determinati criteri di collegamento individuati dalla legge – dai soggetti non residenti.

In linea generale la stabile organizzazione materiale si ricollega all'idea di una sede fissa di affari, connotata da uno spazio fisico organizzato e utilizzato in maniera durevole da un'impresa in un territorio diverso dalla residenza fiscale di origine.

I caratteri di fissità temporale e spaziale si affiancano a tre elementi guida, definiti anche caratteri primari:

  • l'esistenza di un carattere produttivo da cui si evince l'operatività dell'impresa;
  • l'esistenza di un mezzo attraverso il quale sia possibile operare;
  • l'esercizio di un attività.

La Web Tax nel sistema italiano

Accanto ad un panorama internazionale variegato, nel dicembre 2013 è stata introdotta la cosiddetta web tax, progettata per colpire i giganti del web per la parte dei redditi prodotti in Italia.

La legge, abrogata poco dopo la sua introduzione (a Marzo 2014) per opera del Decreto “Salva Roma”, ha rinviato la soluzione del problema in ambito comune. Sembrerebbe però che sia stata avanzata una “Proposta Zanetti” da un gruppo di parlamentari: si tratta di una legge che intenderebbe introdurre nel nostro sistema un nuovo concetto di stabile organizzazione, cosiddetta “virtuale”. Il progetto è di colpire i colossi con una ritenuta alla fonte operata dagli istituti bancari sulle transazioni, per un ammontare del 25% sugli acquisti di prodotti digitali da parte di persone giuridiche a favore di soggetti non residenti e del 30% in caso di acquisto da parte di persone fisiche. Il prelievo operato dagli istituti finanziari sarà versato entro il sedicesimo giorno del mese successivo.

La norma, che non si applica nel caso in cui il pagamento è a favore di un soggetto non residente che opera in Italia ai sensi dell'articolo 162 T.U.I.R. e presenta regolare dichiarazione dei redditi realizzati sul territorio Italiano, ha suscitato perplessità da parte di chi da tempo studia delle soluzioni. Anche in questo caso sembrerebbe difficile rendere compatibile una tale disposizione con i trattati bilaterali già esistenti contro le doppie imposizioni.

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