L’incertezza interpretativa non è una scusa per il ritardo nel pagamento delle cartelle

La Redazione
03 Giugno 2015

Non ci si può arroccare dietro la scarsa chiarezza interpretativa delle norme: i ritardi nel pagamento non possono essere giustificati in tal senso. Lo ha detto la Cassazione, con la sentenza n. 10881/2015.

L'incertezza interpretativa delle normative è una scusante per il ritardo nel pagamento delle cartelle del Fisco? La vicenda riguardava un contribuente che si era visto rifiutare la domanda di condono dall'ufficio delle Entrate proprio per ritardo nel pagamento. La corte regionale, verso di lui, si era espressa con termini molto generosi, chiudendo un occhio sul ritardo proprio per la scarsa chiarezza delle norme: “anche ammettendo che il contribuente sia incorso in errore – specificavano i giudici di appello – questo non può che essere ritenuto scusabile in considerazione dell'incertezza interpretativa della disciplina”, precisando inoltre che “l'istituto dell'errore scusabile è applicabile in tutti i casi di obiettiva incertezza della normativa, come riconosciuto dalla Circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 17/E/2003”.

Per gli Ermellini della Cassazione, invece, tale tesi non si può applicare nel caso in esame. L'istituto dell'errore scusabile – che è contemplato dall'art. 16, comma 9 della Legge n. 289/2002 – in merito alle liti pendenti, non prevede casi come quello in giudizio, ma solo situazioni nelle quali gli errori abbiano determinato un versamento inferiore al dovuto; errori di mero calcolo, dunque, determinati dall'oggettiva incertezza della determinazione del totale. Errori dovuti al mancato assolvimento di termini tassativi – che per altro, aggiungono i giudici, sono oggetto di varie proroghe – non possono essere contemplati. “L'inderogabilità del termine di pagamento – sostengono da piazza Cavour – trova la sua piena ragione giustificativa nel principio generale dell'intangibilità degli atti tributari, quali nel caso le cartelle di pagamento, divenuti definitivi”. La Cassazione, in virtù di questi criteri, con la sentenza del 27 maggio 2015 n. 10881 ha dunque cassato la precedente sentenza di appello.

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