Somma determinata equitativamente? Bisogna accertare la colpa grave
29 Giugno 2016
La domanda al risarcimento dei danni subiti dal debitore per l'illegittima iscrizione del fermo amministrativo previsto dall'art. 86 del d.P.R. n. 602/1973 può essere avanzata ai sensi dell'art. 96, comma secondo, c.p.c. e presuppone perciò l'istanza di parte, nonché l'accertamento dell'inesistenza del diritto per cui è stato eseguito il provvedimento di fermo e della mancanza della normale prudenza in capo all'Agente della riscossione. Questo quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 12413/2016. Hanno poi continuato i giudici sostenendo che non sono comunque risarcibili i danni consistenti in meri disagi, fastidi, disappunti, ansie e ogni altra espressione di insoddisfazione (visti come conseguenze non gravi ed insuscettibili di essere monetizzate perchè appunto bagattellari). Viene inoltre ribadito che ai sensi del terzo comma dello stesso art. 96 c.p.c. la condanna al pagamento della somma equitativamente determinata presuppone l'accertamento della mala fede o colpa grave e, pur potendo essere pronunciata d'ufficio anche dal giudice d'appello, va da questi riferita alla condotta processuale tenuta dalla parte soccombente nel secondo grado di giudizio.
La Corte, nel caso di specie, è stata investita del ruolo di individuare la responsabilità processuale scaturente da un fermo indebitamente disposto ai sensi dell'art. 86 cit. per crediti non tributari. Di recente le Sezioni Unite (con l'ordinanza n. 15354/2015) hanno ricordato la natura del fermo e, conseguentemente, i rimedi esperibili da parte del destinatario che intenda contestarne l'iscrizione, con riferimento al fermo iscritto per pretese creditorie diverse da quelle tributarie. Nello specifico: "il fermo amministrativo di beni mobili registrati ha natura non già di atto di espropriazione forzata, ma di procedura a questa alternativa, trattandosi di misura puramente afflittiva volta ad indurre il debitore all'adempimento, sicché la sua impugnativa, sostanziandosi in un'azione di accertamento negativo della pretesa creditoria, segue le regole generali del rito ordinario [...]". Si evince, dunque, che la conclusione raggiunta dalle Sez. Unite è quella per la quale il fermo amministrativo è estraneo alla procedura di espropriazione forzata, in quanto atto di una procedura alternativa a quest'ultima, definito "misura puramente afflittiva".
Con riferimento all'illegittima condanna al risarcimento del danno non patrimoniale – liquidato in via equitativa – in assenza di qualsiasi allegazione e prova da parte del preteso danneggiato, i Giudici richiamano il terzo comma dell'art. 96 del c.p.c. il quale recita: "in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell'art. 91, il giudice, anche d'ufficio, può condannare la parte soccombente al pagamento di una somma equitativamente determinata a favore della controparte". Quindi si coglie che :
Alla luce di queste considerazioni la Corte si discosta dalla decisione presa nel precedente grado di giudizio, sottolinenando come sia errato accomunare sia la condotta di imposizione del fermo amministrativo sia la condotta processuale dell'Agente della riscossione. L'errore applicativo consiste nella confusione dei presupposti e delle conseguenze applicative delle fattispecie disciplinate da ciascuno dei comma di cui è composto l'art. 96 c.p.c., che vanno invece tenute distinte.
È dunque corretto identificare il fermo amministrativo come misura cautelare. Di conseguenza, per il risarcimento dei danni provocati dalla sua imposizione, è presupposto indefettibile che venga riconosciuta "l'inesistenza del diritto per cui è stato eseguito" il fermo e che l'Agente della riscossione abbia "agito senza la normale prudenza". In conclusione si ricava la possibilità di azionare la condanna d'ufficio e nella non necessarietà della quantificazione del danno.
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