Definizione delle liti pendenti: brevi considerazioni e principali criticità

03 Luglio 2017

Dai primi anni 2000 ad oggi contiamo tre manovre deflattive del contenzioso: una del 2003, una del 2011 ed una recentissima e che andrà ad impegnare gli addetti ai lavori almeno fino alla data del 30 settembre prossimo, termine ultimo fissato per la presentazione della domanda di definizione (articolo 11 D.L. 50 del 23 aprile 2017, convertito con L. 96 del 21 giugno 2017) e che si pone quasi “in affiancamento” rispetto alla c.d. rottamazione dei ruoli.

Nell'ultimo decennio, mentre da un lato abbiamo assistito allo sviluppo e all'introduzione di molteplici istituti volti alla definizione del rapporto tributario consensuale e preventiva rispetto alla fase contenziosa, dall'altro non possiamo non rilevare che il numero delle liti pendenti avanti i giudici tributari continua ad aumentare, alimentando notevoli arretrati che hanno, nel corso degli anni, spinto il legislatore all'introduzione di vari meccanismi volti ad un rapido e massiccio smaltimento delle controversie tributarie.

Dai primi anni 2000 ad oggi contiamo tre manovre deflattive del contenzioso, una del 2003 (articolo 16 L. 289 del 2002, Finanziaria 2003), una del 2011 (articolo 39 DL 98 del 2011 relativo alla definizione delle liti minori) ed una recentissima e che andrà ad impegnare gli addetti ai lavori almeno fino alla data del 30 settembre prossimo, termine ultimo fissato per la presentazione della domanda di definizione (articolo 11 D.L. 50 del 23 aprile 2017, così come convertito con L. 96 del 21 giugno 2017) e che si pone quasi “in affiancamento” rispetto alla cosiddetta rottamazione dei ruoli.

Preme evidenziare, da subito, la principale differenza tra l'odierno provvedimento ed i precedenti istituti.

Secondo l'art. 16 della L.289/2002 già citata, per definire la lite pendente il contribuente / ricorrente doveva pagare un importo fisso pari a 150 euro per la chiusura di liti di valore fino a 2.000 euro, ed un importo percentuale per le liti di valore maggiore. Tale percentuale variava a seconda dello stato della lite pendente ed era così determinata:

  • il 10 per cento del valore della lite in caso di soccombenza dell'Amministrazione nell'ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare resa sul merito ovvero sull'ammissibilità dell'atto introduttivo del giudizio, alla data di presentazione della domanda di definizione della lite;
  • il 50 per cento del valore della lite, nell'opposta ipotesi di soccombenza del contribuente nell'ultima o unica pronuncia giurisdizionale;
  • il 30 per cento del valore della lite nel caso in cui, alla medesima data della domanda di definizione , la lite pendesse ancora nel primo grado di giudizio e non fosse stata resa alcuna pronuncia giurisdizionale.

Allo stesso modo anche secondo l'articolo 39 del DL 98/2011 il pagamento necessario per la chiusura del contenzioso - previsto solo per le liti cosiddette minori, di valore fino a 20.000 euro - era graduato in relazione allo stato della controversia ed alla soccombenza o vittoria del soggetto che aveva facoltà di presentare la domanda di definizione.

L'art. 11 del DL 50/2017, al contrario, prevede che per tutte le liti, indipendentemente dal loro valore ma, soprattutto, indipendentemente dall'esito provvisorio della pendenza e della posizione delle parti, la chiusura possa avvenire con il pagamento di una quota pari al 100% dell'imposta pretesa e degli interessi di ritardata iscrizione.

Così, con un semplicissimo esempio, in caso di maggior imposta accertata pari a 1000, il contribuente Tizio - per ipotesi - vittorioso avanti la CTP ed in attesa di giudizio avanti la CTR per porre fine alla lite dovrà pagare 1000, così come pure, in maniera identica, Caio, invece soccombente sia in primo che secondo grado, che dovrà pagare ugualmente l'importo di 1000.

Non intendiamo in questa sede soffermarci sul valore diseducativo dei provvedimenti di “condono” o di “azzeramento delle sanzioni” che certamente inducono a condotte contrastanti con i doveri di etica fiscale e contributiva di cui tanto si parla e si discute, ma non possiamo non sottolineare come l'attuale manovra, ancor più di quelle passate, sia connotata da un evidente effetto premiale a favore dei soggetti che meno si sono attenuti al rispetto della norma.

Il contribuente che ha impugnato un atto impositivo per mero scopo dilatorio, o con motivazioni del tutto pretestuose, senza alcuna valida ragione, potrà ora definire la lite con il medesimo obbligo di pagamento del contribuente che, per ipotesi, ha visto accolte le proprie ragioni da uno o più giudici di merito, con conferma della bontà dei vizi dell'atto lamentati.

Evidente il possibile “effetto boomerang” della manovra sia nei confronti dei contribuenti più “virtuosi”, che in un momento futuro potrebbero sentirsi giustificati nel cominciare a violare la norma fiscale, che nei confronti dei contribuenti più “scaltri” che non possono che trovare nella sanatoria la conferma dello scarso disvalore attribuito alla condotta fiscale non lecita.

Effetto contrario, riteniamo, si avrà anche in relazione alla richiamata finalità deflattiva del contenzioso, poichè la manovra in commento – proprio per come è strutturata - conferma che è sempre “preferibile” alimentare i processi in corso, nella speranza di essere ricompresi nel periodico e ciclico sgravio delle sanzioni o nella loro notevolissima riduzione.

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