Raddoppio dei termini: profili applicativi e disciplina transitoria

05 Ottobre 2015

Sono stati modificati gli artt. 43 del D.P.R. n. 600/1973 e 57 del D.P.R. n. 633/1972 relativi ai termini di decadenza per l'esercizio dell'attività accertatrice. In particolare, l'art. 37 del D.L. n. 223/2006 ha raddoppiato, in caso di violazione che comportasse l'obbligo di denuncia ai sensi dell'art. 331 del c.p.p. per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74/2000, i termini ordinari di decadenza relativamente al periodo di imposta in cui era stato commesso l'illecito.
La disciplina previgente

Recependo alcune critiche, anche della dottrina, a suo tempo sono stati modificati gli artt. 43 del D.P.R. n. 600/1973 (ai fini delle imposte sui redditi) e 57 del D.P.R. n. 633/1972 (ai fini dell'imposta sul valore aggiunto), relativi ai termini di decadenza per l'esercizio dell'attività accertatrice. In particolare, l'art. 37 del D.L. n. 223/2006 ha raddoppiato, in caso di violazione che comportasse l'obbligo di denuncia ai sensi dell'art. 331 del c.p.p. per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74/2000, i termini ordinari di decadenza relativamente al periodo di imposta in cui era stato commesso l'illecito.

Ma anche la novellata disciplina non ha eliminato tutti gli inconvenienti emersi dalla pratica operativa; anzi, erano sorte nuove criticità con particolare riferimento ai seguenti profili: giusta durata del processo; eccessiva discrezionalità dell'Amministrazione finanziaria; presunti coinvolgimenti dell'Autorità giudiziaria al solo fine di allungare i termini di decadenza; violazione del principio dell'affidamento e della buona fede; incertezza del rapporto giuridico, ecc.
La rilevanza della materia e i reiterati contrasti giurisprudenziali - di legittimità e di merito - hanno determinato, tra l'altro, l'interessamento della Corte Costituzionale che si è pronunciata con sentenza n. 247 del 25 luglio 2011 (la Corte ha ritenuto legittima la disciplina per la gravità delle fattispecie interessate, delineando non una proroga di termini, ma una fattispecie autonoma, perfezionata in base all'obbligo astratto di denuncia, a prescindere dalla fattispecie di reato (da dichiarazione o da riscossione), dall'imposta accertata e dagli esiti delle indagini preliminari o del processo penale. Si vedano anche le Circolari n. 28/E del 2006 e n. 54/E del 2009 dell'Agenzia delle Entrate).


In sostanza, nella vigenza della precedente formulazione dei citati articoli, il raddoppio dei termini non era necessariamente subordinato alla effettiva presentazione dell'informativa alla Magistratura, assumendo rilevanza già la sua “presentabilità” o la presunta consumazione di un illecito penale.
Conseguentemente, non assumevano alcun rilievo il momento di invio della denuncia, l'eventuale esercizio dell'azione penale o l'esito del relativo procedimento.

Il nuovo “raddoppio” e le questioni interpretative

La posizione della dottrina è stata fortemente critica traendo spunto soprattutto da alcuni casi di assoluzione, ritenendo ingiustificato il “vantaggio” riconosciuto all'Amministrazione finanziaria che si garantiva tempi di accertamento raddoppiatianche al costo di alterare la normale attività di controllo” (per tutti si veda E. Della Valle, Non si ha raddoppio dei termini di accertamento quando il giudice tributario ritiene infondata la “notitia criminis”, in “GT - Riv. Giur. Trib.”, n. 4/2011, pag. 353 e ss). Nello stesso senso si è espressa la Giurisprudenza di merito (cfr ad es. Comm. Trib. Reg. Puglia, Sez. V, 7 ottobre 2013, n. 75).

Nel riconoscere sussistenti i presupposti per un ulteriore intervento normativo, con l'art. 8, comma 2, della Legge 11 marzo 2014, n. 23, il Legislatore ha delegato il Governo a ridisciplinare, tra l'altro, anche l'istituto in esame.
Il citato art. 8 ha dettato precisi criteri direttivi sul raddoppio dei termini di decadenza dell'accertamento tributario e ha incaricato l'Esecutivo di definirne la portata delimitando il ricorso all'istituto ai casi di effettiva denuncia all'Autorità Giudiziaria, da formalizzarsi non oltre lo scadere del termine ordinario di decadenza (sono fatti comunque salvi gli effetti degli atti di controllo già notificati alla data di entrata in vigore dei decreti attuativi).

Il Legislatore delegante si è quindi fatto carico di circoscrivere, in modo puntuale, l'ambito applicativo del raddoppio, per evidenti finalità di certezza e stabilità dell'ordinamento tributario, fattori essenziali nella competizione fiscale tra Paesi e, allo stesso tempo, garanzia della buona fede e dell'affidamento del contribuente.
In sede di attuazione della delega, sono stati valutati anche i potenziali riflessi negativi sui procedimenti amministrativi e penali in essere, a rischio caducazione qualora si fosse riscontrato un invio della denuncia tardivo (rispetto alla nuova previsione normativa).
In particolare, con l'art. 2, commi 1, 2 e 3 del D.lgs. 5 agosto 2015, n. 128 - con effetti dallo scorso 2 settembre - è stata posta, quale condizione essenziale affinché operi l'istituto del raddoppio, la tempestività della denuncia, vale a dire la sua presentazione o trasmissione da parte degli Organi dell'Amministrazione finanziaria entro il termine ordinario di decadenza dell'accertamento. Conseguentemente, la notitia criminis deve essere inviata in Procura:

  • entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata prodotta la dichiarazione;
  • nell'ipotesi di dichiarazione omessa o nulla, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui il modello dichiarativo avrebbe dovuto essere presentato.


La normativa vigente fa coincidere, pertanto, il termine di decadenza ordinario dell'azione di accertamento con quello entro cui l'Amministrazione finanziaria invia la notizia di reato all'Autorità Giudiziaria.
Ne deriva che il raddoppio non si applicherà più “automaticamente” (e retroattivamente) in presenza di violazioni che implichino l'obbligo di denuncia penale, ma solo ove intervenga, non oltre la scadenza dei termini per l'accertamento amministrativo, l'effettiva trasmissione della denuncia, come specificato nel periodo che i commi 1 e 2 dell'art. 2 del D.lgs. 128/2015 hanno aggiunto al terzo comma degli articoli 43 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 57 del D.P.R. n. 633 del 1972.

In base alla precedente formulazione, invece, ogni qual volta i pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico servizio (ovvero, anche i funzionari dell'Amministrazione finanziaria) avevano notizia, nell'esercizio delle loro funzioni o del loro servizio, di uno dei reati perseguibili d'ufficio di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, dovevano farne denuncia all'Autorità Giudiziaria e il termine per l'accertamento fiscale raddoppiava rispetto a quello ordinario.
In queste ipotesi, l'Amministrazione poteva notificare gli avvisi di accertamento entro il 31 dicembre dell'ottavo anno successivo a quello in cui era stata presentata la dichiarazione e, nel caso di omessa presentazione o di presentazione di dichiarazione nulla, fino al 31 dicembre del decimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata, sia ai fini delle imposte sui redditi che dell'I.V.A.

Lo scopo della modifica introdotta con il D.L. n. 223/2006 era quello di garantire all'Amministrazione finanziaria, in presenza di fattispecie aventi rilevanza penale, l'utilizzabilità degli elementi istruttori eventualmente emersi nel corso delle indagini condotte dall'Autorità Giudiziaria per un periodo di tempo più ampio rispetto a quello ordinariamente previsto a pena di decadenza per l'accertamento (cfr. Agenzia delle Entrate, Circolare n. 28/E/2006).

L'orientamento della Corte Costituzionale

Con la citata la sentenza n. 247 del 2011, la Corte costituzionale ha respinto le varie questioni di legittimità costituzionale sollevate nel tempo, precisando che i termini raddoppiati di accertamento non costituiscono una “proroga” di quelli ordinari, di cui l'Amministrazione si avvarrebbe discrezionalmente e al ricorrere di eventi peculiari ed eccezionali. Al contrario, tali termini sono fissati direttamente dalla legge e operano, automaticamente, in presenza di una speciale condizione obiettiva (allorché, cioè, sussista l'obbligo di una denuncia penale per i reati tributari previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000), senza che all'Amministrazione residui alcun margine di scelta.
Anche sotto il profilo della possibile lesione del diritto alla difesa, la Corte ha affermato che il termine non è né indeterminato né irragionevolmente ampio. Secondo i Giudici, infatti, il raddoppio consegue dal mero riscontro di fatti comportanti l'obbligo di denuncia penale, indipendentemente (all'epoca) dall'effettiva presentazione della denuncia o dall'inizio dell'azione penale, tant'è che il pubblico ufficiale, acquisita la notitia criminis, non può liberamente valutare se e quando presentare la denuncia ma deve inoltrarla prontamente, pena la commissione del reato previsto e punito dall'art. 361 c.p. nel caso di omissione o ritardo.

Quanto all'ipotetica incontrollabilità dell'apprezzamento degli Organi accertatori circa la sussistenza del reato tributario, la Corte ha obiettato che il sistema processuale tributario consente, in realtà, un adeguato controllo di legittimità da parte del Giudice, il quale, attraverso l'attento e doveroso riscontro dei presupposti sottesi alla denuncia (ove annoverati tra i motivi di impugnazione), può verificare se l'Amministrazione finanziaria abbia effettivamente agito con imparzialità ovvero abbia fatto un uso strumentale delle disposizioni per fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento.

All'Amministrazione tributaria era stato, inoltre, contestato di avere applicato illegittimamente la norma sul raddoppio dei termini al fine di estendere l'accertamento amministrativo oltre il termine quadriennale anche ad aspetti della posizione fiscale estranei ai profili penalistici ovvero nei casi di reati tributari prescritti, notizie di reato non allegate e archiviazione da parte del Giudice penale.
Relativamente a quest'ultimo aspetto, tra i più ricorrenti nella prassi, è recentemente intervenuta la Suprema Corte (Cass. civ., sez. trib., 15 maggio 2015, n. 9974). Al riguardo, mentre una parte dei giudici tributari ha espresso l'avviso che l'esito del procedimento penale eventualmente instauratosi non può assumere alcuna importanza, stante il “doppio binario” tra contenzioso tributario e processo penale (CTP Treviso, n. 44/2012), altri hanno ritenuto che, nel caso in cui la notizia di reato si riveli infondata o non vi siano elementi sufficienti per sostenere l'accusa in giudizio, il raddoppio dei termini di accertamento fiscale non può operare (CTP Torino, n. 97/2011).

Comm. trib. prov., Treviso, 11 aprile 2012, n. 44
Nella sentenza si afferma che il D.L. n. 223/2006 non ha affatto introdotto una pregiudiziale penale e che “spetta quindi al Giudice tributario, ove poi la denuncia penale non abbia avuto esito, valutare, alla luce dei fatti di causa, se il fatto addebitato dall'Ufficio configurava un reato tributario e se l'Amministrazione abbia agito con imparzialità”. I giudici, inoltre, richiamano il “doppio binario” concludendo che il raddoppio è legittimo nella misura in cui sussistano i presupposti per l'invio della denuncia. Per questo motivo, è stato ritenuto privo di rilievo il decreto di archiviazione del procedimento penale.

Comm. trib. prov., Torino, 8 giugno 2011, n. 97
I Giudici hanno evidenziato che non si tratta di valutare se sussista una violazione del “doppio binario”, quanto, piuttosto, di considerare il motivo per cui il procedimento/processo penale ha avuto esito favorevole al contribuente. In particolare, la Commissione Tributaria ha sancito che, nella specie, il G.I.P. aveva decretato l'archiviazione “in quanto trattasi di notizia di reato infondata e non vi sono sufficienti elementi per sostenere l'accusa in giudizio ex art. 125 Disp. Att.” e non può di sicuro avere rilievo il diverso parere dell'Agenzia delle Entrate con riferimento all'applicabilità del termine raddoppiato. È vero, cioè, che il raddoppio opera a prescindere dall'esito del processo penale, ma ciò deve essere interpretato nel senso che se un fatto non costituisce reato, non sussiste nemmeno l'obbligo di invio della denuncia. Inoltre, non è possibile ritenere che l'organo verificatore sia libero di definire o meno il rilievo penale di una condotta, “come - in ultima analisi - non si può ritenere lo stesso fatto penalmente irrilevante sul piano oggettivo ed invece rilevante sul piano soggettivo (cioè della personale convinzione dell'ufficio)”.

Con la sentenza in esame, la Cassazione ha preso definitivamente posizione nel merito ribadendo quanto già stabilito dalla Consulta con la più volte citata sentenza n. 247 del 2011, ovvero che il raddoppio dei termini di accertamento fiscale “scatta” in presenza dell'obbligo di presentazione della notizia di reato, a prescindere dal fatto che essa sia stata effettivamente inoltrata all'Autorità giudiziaria e, tanto più, dall'esito dell'eventuale procedimento penale instauratosi, sul punto, inoltre, la Circolare n. 54/E del 2009 evidenzia che “Tale interpretazione risulta conforme ai criteri ermeneutici fissati dall'art. 12, comma 1, delle disposizioni sulla legge in generale, che, nello stabilire il primato dell'interpretazione letterale sugli altri criteri ermeneutici (in claris non fit interpretatio), prevede che «nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del Legislatore». Anche utilizzando il diverso - e sussidiario - criterio interpretativo della mens legis, ossia della finalità della disposizione, si giunge alle medesime determinazioni, non sembrando ragionevole ipotizzare che il Legislatore abbia voluto subordinare l'efficacia del procedimento tributario di accertamento - e delle risultanze istruttorie ivi raccolte - al verificarsi di una fattispecie successiva ed eventuale, quale la pronuncia di condanna penale del contribuente”.

Ad avviso della Corte sussiste l'obbligo di presentazione della notitia criminis quando il pubblico ufficiale ravvisi nel fatto quantomeno il fumus del reato, ovvero quando il fatto sia riconducibile ad una fattispecie illecita, non essendo necessaria la certezza circa l'esistenza del reato.
È compito del Giudice tributario, poi, vagliare la sussistenza degli elementi minimi richiesti dall'art. 331 c.p.p. per la presentazione della notizia di reato, avendo cura di negare l'operatività del raddoppio ove tali elementi siano palesemente carenti, ciò al fine di evitare che lo “strumento” si presti a iniziative di denunzia palesemente pretestuose da parte del Fisco.
Con riferimento alle citate disposizioni recate dalla delega fiscale, le stesse sono state ritenute una conferma di queste conclusioni e fissano, in aggiunta, più stringenti limiti temporali per l'operatività del termine raddoppiato, con la conseguenza che il raddoppio dei termini decadenziali non potrà operare ove eventuali ipotesi di reato siano riscontrate, come detto, dopo lo spirare del termine ordinario di decadenza dell'attività accertatrice.

In conclusione, anche se con l'attuazione della delega fiscale viene dato rilievo al momento di presentazione della notitia criminis, nulla cambia, invece, con riferimento al “doppio binario” tra procedimento penale e tributario e, quindi, all'irrilevanza dell'esito del giudizio penale eventualmente instauratosi (cfr. Alessandro Borgoglio, L'assoluzione in sede penale non pregiudica il raddoppio dei termini per l'accertamento, ne Il fisco n. 23 del 2015, pag. 1-2282).

L'aver rimesso al Giudice tributario la valutazione ex post in ordine ai presupposti per l'inoltro dell'informativa alla Procura della Repubblica determina un rilevante profilo di criticità, in considerazione degli effetti che ne potrebbero derivare.
È evidente, cioè, che laddove li si ritenga insussistenti e l'atto impositivo sia stato notificato dopo lo spirare degli ordinari termini di decadenza, oltre a verificarsi la soccombenza dell'Amministrazione finanziaria, potrebbero essere sollevati rilievi in termini di responsabilità dei funzionari.
La conclusione, quindi, può essere solo in parte condivisa posto che la competenza “naturale” a vagliare la fondatezza o meno dei presupposti per informare il Magistrato non può che essere ricondotta al Giudice penale, senza contare che valutazioni postume non sempre riescono a predeterminare il contesto che a suo tempo aveva indotto il pubblico ufficiale a orientarsi per la sussistenza della notitia criminis che, si badi bene, come avvertono i manuali non può essere inquadrata in un rigido schema definitorio.

La disciplina transitoria

La nuova disposizione di cui all'art. 2 del D.lgs. 5 agosto 2015, n. 128 fa espressamente salvi gli effetti dei seguenti atti, purché entro la predetta data il destinatario ne abbia avuto formale conoscenza e i conseguenti provvedimenti impositivi o sanzionatori gli vengano notificati entro il 31 dicembre 2015 (a tal proposito occorre tenere presente che, ai sensi dell'art. 12, comma 7, dello Statuto dei diritti del contribuente (legge 27 luglio 2000, n. 212), dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori e l'avviso di accertamento non potrà essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza):

  1. avvisi di accertamento,
  2. provvedimenti di irrogazione di sanzioni amministrative tributarie,
  3. altri atti impugnabili emessi dall'Agenzia delle Entrate e recanti pretese impositive o sanzionatorie,
  4. inviti a comparire finalizzati alla definizione dell'accertamento ex art. 5 del D.lgs. n. 218/1997,
  5. nonché dei processi verbali di constatazione di cui all'art. 24 della Legge 7 gennaio 1929, n. 4.

Ai fini dell'applicazione del regime transitorio, che riguarda esclusivamente gli atti menzionati dalla norma (di conseguenza non si applica, ad esempio, ai questionari inviati al contribuente e agli inviti al medesimo a fornire dati e notizie o a esibire atti e documenti, ai sensi dell'art. 32 del D.P.R. 600/1973), è dunque importante stabilire il momento in cui il contribuente ne abbia avuto “formale conoscenza”, che coincide con quello della consegna dell'atto - che nel caso del verbale, ad esempio, avviene al termine dell'attività ispettiva - o della sua notifica, in quest'ultimo caso si pensi, tra le altre, all'ipotesi di irreperibilità del destinatario di un controllo o di una verifica (in tema di perfezionamento della notifica, cfr. Corte Cost. 26 novembre 2002, n. 477 e Cass. civ., sez. V, 25 novembre 2011 n. 24928).
Altro elemento di criticità rilevato prima della riforma è legato al momento di consumazione del reato tributario, che varia a seconda della fattispecie del D.lgs. 74/2000 presa in considerazione, potendo coincidere con:
  • la data di presentazione della dichiarazione (artt. 2, 3 e 4);
  • lo spirare del novantesimo giorno successivo alla scadenza fissata per produrre la dichiarazione (art. 5);
  • il momento di realizzazione della condotta penalmente rilevante (artt. 8 e 11);
  • l'accertamento fiscale, trattandosi di reato “permanente” la cui condotta di occultamento/distruzione perdura sino al momento del controllo ispettivo (art. 10);
  • il termine di presentazione della dichiarazione annuale del sostituto d'imposta (art. 10-bis);
  • il 27 dicembre dell'annualità d'imposta successiva a quella cui si riferisce l'I.V.A. non versata (art. 10-ter);
  • il momento in cui viene effettuata la compensazione tra debito fiscale e credito non spettante o inesistente (art. 10-quater).

Al riguardo, l'Amministrazione finanziaria, interpretando la ratio della norma sul raddoppio dei termini, ha preso in considerazione l'annualità alla quale la violazione si riferisce superando, di fatto, il dato testuale del “periodo d'imposta in cui è stata commessa la violazione” (sul punto, P. Borrelli - C. Di Gesù, Asimmetrie sanzionatorie nel sistema penal-tributario, ne Il fisco, n. 38/2014, hanno auspicato che, in sede di attuazione della legge delega per la riforma del sistema tributario, vi fosse l'introduzione di una norma di interpretazione autentica nel senso prospettato dall'Agenzia delle Entrate).

In conclusione

In conclusione, il principio dell'autonomia dei procedimenti non è un “concetto elastico”, interpretabile a seconda della convenienza.
Di qui la necessità di compiere una scelta definitiva, di cui dovranno essere accolte tutte le conseguenze. D'altra parte, che l'autonomia dei procedimenti abbia da sempre sollevato problemi è una realtà innegabile. Parimenti, però, affidare al Giudice tributario valutazioni circa gli elementi alla base della notitia di reato è una soluzione altrettanto foriera di conseguenze negative, quale è certamente quella in argomento.

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