Rinuncia tardiva dell'eredità: i debiti non si trasmettono all'erede del de cuius
30 Marzo 2017
In tema di accettazione dell'eredità e dei debiti tributari ad essa collegati la Corte di Cassazione, con sentenza n. 8053/2017, ha statuito che il presupposto perché si possa rispondere dei debiti ereditari del de cuius è l'accettazione dell'eredità, "un'eventuale rinuncia, anche se tardivamente proposta, esclude che possa essere chiamato a rispondere dei debiti tributari il rinunciatario, sempre che egli non abbia posto in essere comportamenti dai quali desumere un'accettazione implicita dell'eredità, ma della relativa prova l'Amministrazione finanziaria è parte processualmente onerata".
Nella specie dopo la morte del contribuente, la ricorrente provvedeva tardivamente a rinunciare all'eredità (oltre, quindi il termine stabilito dall'art. 31 del T.U. n. 346/1990); quest'ultima, in particolare, sosteneva erronea la valutazione del giudice d'appello nella parte in cui avrebbe affermato che l'eccezione di carenza di legittimazione passiva sarebbe priva di fondamento, in ragione del fatto che "la rinuncia all'eredità, successiva alla pretesa erariale, si presenta del tutto irrilevante ai fini fiscali se non fatta seguire da denuncia rettificativa e/o modificativa da presentarsi al competente ufficio finanziario con le modalità previste dall'art. 28 del D.Lgs. n. 346/1990".
Innanzitutto i Supremi Giudici chiariscono che l'assunzione della qualità di erede non può essere una pura conseguenza dovuta alla mera chiamata all'eredità, l'accettazione all'eredità (che sia espressa o tacita) è l'unico elemento che permette di acquisire la qualità di erede. Pertanto si evince dalla lettura della sentenza in esame che in ipotesi di debiti del de cuius condizione imprescindibile è l'accettazione dell'eredità. Non può ritenersi obbligato chi abbia rinunciato all'eredità, ai sensi dell'art. 519 c.c. Ora, la questione da affrontare è la tempistica in cui la rinuncia è stata effettuata. Il contribuente presentava dichiarazione di rinuncia in data posteriore al termine di dieci anni per provvedere all'accettazione; dalla Corte però viene chiarito che ai sensi dell'art. 521 c.c., la rinuncia ha effetto retroattivo, pertanto, chi rinuncia all'eredità è considerato come se non fosse stato mai chiamato. Alla luce di tali principi pare chiaro che la denuncia di successione non ha alcun rilievo ai fini dell'accettazione dell'eredità, e quindi con riferimento all'assunzione della qualità di erede, le formalità espresse dall'art. 28, d.P.R. n. 360/1990, hanno una semplice funzione di "pubblicità/notizia" (nessuna natura costitutiva o integrativa dell'atto di dismisisone di un diritto). Perciò un atto di rinuncia tardivo, effettuato senza le formalità stabilite dalla legge, affinché possa essere considerato opponibile all'Amministrazione finanziaria, questa deve poter considerarsi legittimata a notificare al contribuente rinunciatario gli atti impositivi, sarà poi il contribuente che in sede di costituzione in giudizio farà valere il proprio difetto di legittimazione passiva e, quindi, l'estraneità ai debiti tributari del de cuius.
Cosa diversa sarà se l'Amministrazione vuol far valere la pretesa fiscale. In questo caso è onere suo provare che il contribuente è decaduto dal diritto di esercitare una valida rinuncia (es. atti incompatibili con la rinuncia all'eredità). A tale onere, nel caso qui in disamina, l'Amministrazione non ha ottemperato. La Cassazione accoglie dunque il ricorso del contribuente. |