La prescrizione quinquennale delle cartelle esattoriali
06 Febbraio 2017
La vicenda processuale e la decisione delle Sezioni Unite
La sentenza in commento ha il grande merito di aver dipanato le diffuse “disarmonie” riscontrate tra le pronunce delle diverse Sezioni semplici della Corte di cassazione e di aver affermato esplicitamente principi di diritto che differenziano i termini prescrizionali in virtù della natura giurisdizionale o amministrativa dell'atto da cui scaturisce la pretesa impositiva. La decisione della Suprema Corte risolve la “disarmonia” (Cass. civ., ss.uu., 17 novembre 2016, n. 23397) venutasi a creare nella giurisprudenza di merito a seguito “dell'erronea determinazione” del contenuto della sentenza della Corte di Cassazione n. 17051/2004 a proposito della riscossione mediante ruolo dei crediti previdenziali, sanzioni amministrative pecuniarie e/o violazioni di norme tributarie. Inoltre la decisione è di appena sei giorni successiva a quella di segno diametralmente opposto, pronunciata l'11 novembre 2016 dalla Cassazione in materia di tassa sui rifiuti (la Sentenza citata afferma che gli avvisi di intimazione e di mora relativi alle cartelle notificate in materia di TARSU e contributo sanitario nazionale, notificati nel termine decennale decorrente dalla definitività delle cartelle, erano tempestivi). La Corte ripercorre il solco già tracciato dalla sentenza delle Cass. civ., sez. Unite, 10 dicembre 2009, n. 25790 che richiedeva, per l'applicabilità della conversione del termine prescrizionale ai sensi dell'art. 2953 c.c., l'esistenza di un provvedimento giurisdizionale quale una sentenza passata in giudicato tra le parti o un decreto ingiuntivo che avesse acquisito efficacia di giudicato formale o sostanziale e non anche una dichiarazione di estinzione del processo tributario per inattività delle parti o atti amministrativi che legittimano la riscossione coattiva dei crediti dell'erario e/o degli enti previdenziali (cfr. Cass. civ., 16 novembre 2006, Cass. civ., 25 maggio 2007, n. 12263).
L'iter alla Suprema Corte ha inizio con l'ordinanza interlocutoria datata 29 gennaio 2016 n. 1799 della Corte di Cassazione, in quanto l'Inps sosteneva essenzialmente l'applicazione analogica dell'art. 2953 c.c. alle cartelle di pagamento notificate dall'ADR, sostituite dal 1° gennaio 2011 dall'avviso di addebito, e ciò a fronte dell'operatività della conversione del termine di prescrizione breve (art. 3, commi 9 e 10, Legge n. 335/1995) in quello ordinario decennale a seguito della non impugnabilità della stessa; in senso opposto il contribuente propendeva per la mancanza di attitudine dell'atto amministrativo ad acquistare efficacia di giudicato.
La consumazione del termine per l'impugnazione, sosteneva il contribuente, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, non determinava dunque alcun effetto processuale, restando fermo l'effetto sostanziale dell'irretrattabilità del credito. Presupposte le rispettive ragioni, le motivazioni della statuizione sono di palmare chiarezza e vengono illustrate dalla Cassazione lambendo anche la differenza tra la categoria dei “c.d. titoli esecutivi paragiudiziali” (cfr. Cass. civ., sez. I, 12 novembre 1992, n. 12189; Cass. civ., sez. I, 1 aprile 2004, n. 6362; Cass. civ., sez. II, 27 luglio 2012, n. 13516) e quella con titoli giudiziali, atti a divenire definitivi ed incontrovertibili a fronte della mancata o tardiva opposizione (cfr. Cass. civ., 24 settembre 1991, n. 9944; Cass. civ., 2 ottobre 1991, n. 10269; Cass. civ., 26 ottobre 1993, n. 11421).
Dando per assodato che la cartella di pagamento e gli altri titoli che legittimano la riscossione coattiva dei crediti dell'Erario e/o degli enti previdenziali hanno natura di atti amministrativi, la loro non attitudine ad acquisire efficacia di giudicato (cfr. Cass. civ. 25 maggio 2007, n. 12263; Cass. civ. 16 novembre 2006, n. 24449; Cass. civ. 26 maggio 2003, n. 8335) produce unicamente il risultato di rendere la pretesa incontrovertibile, qualora la parte onerata non abbia rispettato la perentorietà del termine di cui all'art. 24 del D.Lgs. n. 46/1999 nel caso di contributi previdenziali (cfr. Cass. civ. 14 ottobre 2009, n. 21790).
Oltre alla cristallizzazione del credito contributivo in capo alla parte, l'omessa tempestiva impugnazione è funzionale anche ad una “rapida riscossione” (cfr. Cass. civ. 25 giugno 2007, n. 14692; Cass. civ. 12 marzo 2008, n. 6674; Cass. civ. 5 febbraio 2009, n. 2835; Cass. civ. 15 ottobre 2010, n. 21365; Cass. civ. 19 aprile 2011, n. 8931; Cass. civ., 8 giugno 2015, n. 11749; Cass civ., 15 marzo 2016 n. 5060) da parte dell'Ente previdenziale oltre a garantire il contribuente da un “imprevisto allungamento del termine di prescrizione del credito, quale originariamente stabilito”.
Il medesimo orientamento è stato seguito, continuano gli estensori della sentenza in commento “pure per le iscrizioni a ruolo delle imposte dirette ed indirette”, con il riconosciutodell''esistenza della categoria dei titoli esecutivi formati sulla base di un mero procedimento amministrativo dell'ente impositore” (cfr. Cass. civ., sez. lav., 9 febbraio 2010, n. 7667).
In caso contrario si porrebbe in essere “un contrasto con la ratio della perentorietà del termine per l'opposizione”, difatti l'allungamento immotivato del termine prescrizionale porrebbe il debitore in una “perenne incertezza in una materia governata dal principio di legalità cui per primi sono tenuti ad uniformarsi gli stessi Enti della riscossione e creditori”. La soluzione della vicenda processuale ruota dunque, attorno la natura autoritativa (cfr. Sentenza in commento pag. 3 “pur avendo natura di atto amministrativo con le caratteristiche del titolo esecutivo (ed eventualmente anche del precetto, come accade per la cartella di pagamento de qua), tuttavia privo di attitudine ad acquistare efficacia di giudicato perché è espressione del potere di autoaccertamento e di autotutela della P.A.”) dell'atto amministrativo che essendo emanato da un ente pubblico è quindi privo di un giudizio e/o verifica sulla propria legittimità da parte di un giudice terzo ed imparziale e al di fuori dei principi dell'art. 111 Cost. Privato di una tal essenziale verifica giurisdizionale che garantisca sulla fondatezza della pretesa tributaria, l'atto d'ingiunzione è relegato a mero atto di parte e conseguentemente privo degli effetti propri riservati ai provvedimenti scaturenti dal contraddittorio innanzi al giudice, quali l'attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Medesima soluzione per l'avviso di addebito INPS, che dal 1° gennaio 2001, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale (art. 30 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla Legge n. 122/2010).
La Cassazione, nella sentenza in commento applica un principio a carattere generale secondo il quale la scadenza del termine perentorio stabilito per opporsi o per impugnare un atto di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva produce soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, ma non determina anche l'effetto della c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell'art. 2953 c.c..
Il principio opera per tutti gli atti della riscossione quali: riscossione coattiva di crediti previdenziali, crediti erariali, tributari ed extratributari, crediti delle Regioni, delle Provincie, dei Comuni e degli Enti Locali, sanzioni tributarie o amministrative. Inoltre l'evidente inapplicabilità del dettato codicistico sopra indicato all'ingiunzione fiscale in quanto atto di natura amministrativa, può dedursi anche dall'evoluzione normativa in materia; l'art. 2, 2° comma, R.D. 14 aprile 1910, n. 639 stabiliva che “l'ingiunzione è vidimata e resa esecutiva dal pretore nella cui giurisdizione risiede l'Ufficio che la emette (…)”, il visto del Pretore era quindi indispensabile al fine di conferire esecutorietà all'atto e vimare la relativa sottoscrizione. Con l'avvento dell'esecutorietà di diritto, ad opera del D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 è orami manifesta la natura dell'ingiunzione fiscale quale atto amministrativo, da un lato, e di atto di accertamento e titolo esecutivo, dall'altro (cfr. Cass. civ., 2 giugno 1999, n. 5350; Cass. civ., 23 giugno 1995, n. 7141; Cass. civ., 9 maggio 2000, n. 5906 per la quale “ l'ingiunzione fiscale in argomento si configura come atto complesso, cumulante in se la duplice natura e funzione di titolo fiscale, formato unilateralmente dall'amministrazione finanziaria nell'esercizio del suo peculiare potere di autoaccertamento e di autotutela, da un lato, e di atto prodomico all'inizio dell'esecuzione coattiva, equipollente al precetto nella esecuzione disciplinata dal codice di rito civile”).
La sentenza in commento offre l'occasione per affrontare la complessa problematica del termine prescrizionale da applicare all'obbligazione tributaria, in quanto se pur con incertezze si stanno chiarendo ad opera del legislatore, ed in parte della giurisprudenza, le discipline dei termini di decadenza per l'esercizio del potere impositivo con riguardo agli avvisi di accertamento (art. 43 del d.P.R. n. 600/1973 per le imposte dirette e art. 57 del d.P.R. n. 633/1972 per l'IVA, come modificati dai commi 130, 131 e 132 della Legge di Stabilità 2016 - Legge 208/2015), alle cartelle di pagamento (art. 25 del d.P.R. n. 602/1973 anche alla luce della Corte Cost. 15 luglio 2005, n. 280 e della Legge 31 luglio 2005, n. 156), agli avvisi di rettifica e di accertamento dei tributi locali (Legge 27 dicembre 2006, n. 296, Finanziaria 2007), nonché, al provvedimento di irrogazioni delle sanzioni (art. 20, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 472/1997). Non vi è un corpo normativo di riferimento sul termine di prescrizione per la riscossione, qualora il potere impositivo sia stato esercitato nel rispetto degli ordinari termini decadenziali, eccetto per quanto riguarda le sanzioni amministrative per violazioni tributarie, di cui si parlerà nel proseguo della trattazione. Come noto, per prescrizione si intende il venir meno di un diritto a causa del mancato esercizio da parte del titolare; l'art. 2934, comma 1 c.c. dispone che “ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge”. La ratio della norma è dunque quella di assicurare certezza e stabilità ai rapporti giuridici, facendo sì che l'inerzia del titolare per un lasso di tempo determinato produca conseguentemente la perdita di “forza” del diritto.
La durata del termine prescrizionale è stabilita dalla legge. In estrema sintesi e per quanto qui d'interesse:
La prescrizione può essere sospesa o interrotta quando si verificano alcune circostanze: nello specifico, il decorso del termine è sospeso art. 2941 c.c. quando ricorrono particolari rapporti tra il creditore ed il debitore, quali parentela, tutela ecc., ed è interrotto quando il creditore notifichi al debitore un atto giudiziario per far valere il suo diritto art. 2943, comma 1, c.c. o compia “ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore” art. 2943, comma 4, c.c.. L'interruzione della prescrizione può avvenire anche da un espresso riconoscimento del diritto da parte di colui contro il quale può essere fatto valere art. 2944 c.c.. L'effetto giuridico dell'interruzione è quello di annullare il periodo di tempo già trascorso e il termine prescrizionale inizia a decorrere ex novo (art. 2945, comma 1, c.c.). A fronte della coesistenza nel nostro ordinamento di due tipologie di prescrizione, l'una c.d. “ordinaria”, e l'altra c.d. “breve” appare utile far riferimento ai principi sanciti dalla Corte di Cassazione nella sentenza del 4 luglio 1983, n. 4461 (cfr. “il legislatore non ha inteso affatto stabilire un termine generale di prescrizione, derogandovi soltanto in talune ipotesi eccezionali, ma ha, invece, preferito adottare una pluralità di regolamentazioni al fine di adeguare il più possibile la durata del periodo di prescrizione alle esigenze logico-giuridiche delle fattispecie legali concretamente considerate" e, pertanto, “in tal contesto l'art. 2946 c.c. assume la chiara funzione di una norma di chiusura, alla quale l'interprete può ricorrere soltanto se non ravvisi nel sistema altra disposizione particolare nel cui ambito sia compresa la fattispecie in esame”).
Il sistema tributario omette una regolamentazione specifica dell'istituto della prescrizione, e sovente si fa ricorso alle disposizioni di estrazione civilistica* che tuttavia, non trovano agevole coordinamento ai crediti tributari aventi a oggetto la riscossione dell'imposta accertata, ovvero, la sanzione irrogata (cfr. M.C. Fregni, Obbligazione tributaria e codice civile, Torino, 1996).
L'annosa questione su cui le parti del rapporto tributario debbono necessariamente confrontarsi attiene dunque all'applicazione alla materia tributaria del termine prescrizionale di dieci anni, cui l'art. 2946 c.c., ovvero quello breve quinquennale di cui all'art. 2948, c.c., n. 4. L'unica norma organica a carattere generale in tema di prescrizione, riferita agli atti di contestazione o di irrogazione delle sanzioni. È l'art. 20 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472* in cui vengono indicati oltre il termine di decadenza per la notifica dell'atto di contestazione o di irrogazione delle sanzioni, anche il termine di prescrizione per la riscossione della sanzione irrogata. Il disposto normativo, inoltre, prevede l'interruzione del termine prescrizionale qualora venga impugnato il provvedimento d'irrogazione della sanzione che riprende a decorrere dalla definizione del procedimento.
La prescrizione dei tributi
Per i tributi, superata la nozione di “periodicità” tributaria del debito d'imposta esclusa dalla Suprema Corte in differenti pronunce (cfr. Cass. civ., sez. trib., 9 febbraio 2007, n. 2941; Cass. civ., 8 settembre 2004, n. 18110; Cass. civ.,12 novembre 2010, n. 22977. Nello stesso senso, v. D. Coppa, La prescrizione del credito tributario, Torino, 2006), in quanto non collimante con la nozione risultante dalla disciplina civilistica e stante l'autonomia dei periodi d'imposta nonché, delle relative obbligazioni, subordinate ad una valutazione periodica sulla sussistenza dei presupposti, non può che trovare applicazione il termine prescrizionale di dieci anni.
Il d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 TUIR, successivamente all'indicazione dei termini di decadenza dell'azione della finanza e dell'azione del contribuente al rimborso di cui agli artt. 76 e 77, l'art. 78 dispone che "il credito dell'Amministrazione finanziaria per l'imposta definitivamente accertata si prescrive in dieci anni" e così testualmente dispone anche l'art. 41, comma 2, del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346*, Testo Unico sulle imposte di successione e donazione. Infine, l'art. 13 del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347**, sulle imposte ipotecarie e catastali, rimanda per la prescrizione alle disposizioni relative all'imposta di registro e all'imposta sulle successioni e donazioni.
In assenza dunque di norme specifiche, per le restanti imposte, dovrà farsi riferimento alla disciplina generale prevista all'art. 2946 c.c. dove “salvi i casi in cui la legge dispone diversamente, i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni”. La prescrizione breve individuata nella disciplina codicistica all'art. 2948, c.c., n. 4 dove “si prescrivono in cinque anni …gli interessi e, in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi” secondo una interpretazione di derivazione civilistica viene applicata alle prestazioni caratterizzate dalla continuità nei rapporti, che richiedono e consentono una verifica tempestiva dell'avvenuta esecuzione delle singole prestazioni nonché l'inpregiudicabilità dell'adempimento qualora le restanti obbligazioni non siano prescritte.
Se per i tributi erariali resta fermo il principio dell'autonomia dei singoli periodi d'imposta, diverso trattamento è riservato ai tributi locali, nella specie tassa per lo smaltimento rifiuti, per l'occupazione di suolo pubblico, per concessione di passo carrabile e contributi di bonifica, perché essi sono "elementi strutturali di un rapporto sinallagmatico caratterizzato da una «causa debendi' di tipo continuativo, suscettibile di adempimento solo con il decorso del tempo, in relazione alla quale l'utente è tenuto ad una erogazione periodica, dipendente dal prolungarsi sul piano temporale della prestazione erogata dall'ente impositore, o del beneficio dallo stesso concesso". [cfr. Cass. Civ. sez. trib., 23 febbraio 2010, n. 4283: “i tributi locali (nel caso di specie tassa smaltimento rifiuti solidi urbani, tributo per occupazione di aree pubbliche e passi carrabili, contributo per consorzio di bonifica) rientrano nell'ambito di applicabilità dell'art. 2948, n. 4, c.c., che prevede una prescrizione quinquennale per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi. Invero i tributi locali in esame sono elementi strutturali di un rapporto sinallagmatico caratterizzato da una "causa debendi" di tipo continuativo suscettibile di adempimento solo con il decorso del tempo in relazione alla quale l'utente è tenuto ad una erogazione periodica, dipendente dal prolungarsi sul piano temporale della prestazione erogata dall'ente impositore, o del beneficio dallo stesso concesso”].
La Corte ha evidenziato che l'utente corrisponde una somma determinata dall'Ente locale, che costituisce il corrispettivo di un servizio periodico (cfr. Cass. civ. n. 2941/2007, n. 4271/2003; Cass. civ., ss.uu. n. 10955/2002) reso o richiesto e tale somma si giustifica “in quanto anno per anno il corrispondente servizio venga erogato”. La Corte inoltre ha escluso in materia di tributi locali il riesame del presupposto impositivo allo scadere dell'anno, in quanto l'utilità all'utilizzo del servizio, persiste fino a che l'utilizzatore non modifichi la sua situazione di fatto che giustifica il servizio erogato; peraltro l'importo dei pagamenti annuali o infrannuali può variare nel tempo “in quanto tali variazioni non dipendono da una nuova negoziazione del rapporto, che rimane stabile, ma da variazioni del costo dei servizi prestati, il cui addebito da parte degli enti impositori discende da considerazioni di politica fiscale ed economica rapportata alla generalità degli utenti del servizio ed indipendenti dalla volontà del singolo contribuente”.
Secondo il Supremo Collegio i tributi locali possono essere assimilati ai pagamenti dovuti per l'utilizzodel servizio elettrico o idrico, per i quali vale la prescrizione quinquennale, osservando come l'obbligo previsto per l'ADR di conservare per cinque anni copia delle cartelle di pagamento e degli attestati di ricevimento, di cui all'art. 26, comma 5, del d.P.R. n. 602/1973, per quanto di rilevanza contenuta, costituisca comunque indizio a favore della prescrizione quinquennale dei suddetti tributi (cfr. Cass. civ. 23 febbraio 2010, n. 4283 “Nessun rilievo può darsi alla osservazione che l'importo dei pagamenti annuali ed infrannuali possa variare nel tempo, in quanto tali variazioni non dipendono da nuova negoziazione del rapporto, che rimane stabile, ma da variazioni del costo dei servizi prestati, il cui addebito da parte degli enti impositori discende da considerazioni di politica fiscale ed economica rapportata alla generalità degli utenti del servizio ed indipendenti dalla volontà del singolo contribuente. In sostanza, quindi, la ipotesi considerata è assimilabile ai pagamenti che integrano corrispettivo di forniture elettriche od idriche, sopra menzionati, con l'unica differenza che, in ragione della natura impositiva del rapporto, i corrispettivi che integrano i tributi in esame non sono immediatamente legati alla entità del beneficio conseguito dal contribuente od alla entità dei consumi dello stesso. Peraltro, la osservazione del ricorrente relativa all'obbligo per il concessionario di conservare copia delle cartelle di pagamento e dei relativi attestati di ricevimento per cinque anni, di cui al d.P.R. n. 602/1973, art. 26, per quanto di rilevanza contenuta, può essere assunta come indizio di una presunzione del legislatore di prescrizione quinquennale dei crediti azionati, fra cui rientrano quelli oggi considerati”). La prescrizione dei contributi di bonifica
Ultimo spunto di riflessione del presente elaborato è riservato ai termini di prescrizione del credito per i contributi di bonifica.
Come noto il pagamento dei contributi in questione è obbligatorio ai sensi dell'art. 860 c.c. e, pertanto, è oramai pacifica la loro natura di tributi locali (cfr. Cass. civ., ss.uu., 23 settembre 1998, n. 9493. Nello stesso senso Corte cost., 3 maggio 1963, n. 55). Le modalità della fase di esazione nei confronti dei soggetti passivi del rapporto tributario sono disciplinate dall' art. 21 del R.D. 13 febbraio 1933, n. 215, Testo delle norme sulla bonifica integrale mezzo ruolo; nulla viene però disciplinato a proposito delle modalità di accertamento. La Corte di Cassazione ha stabilito che “la riscossione non è qui preceduta da un accertamento (o dalla notifica di un atto impositivo) al quale, come nelle imposte nelle imposte dirette (o come per l'esecuzione coattiva dei tributi di esclusiva competenza degli enti locali), debba seguire la riscossione entro i termini di decadenza di cui al D.P.R. n. 602, art. 25” [cfr. Cass. civ., sez. trib., 11 giugno 2014, n. 13165: “La riscossione dei contributi di bonifica è assoggettata solo al termine di prescrizione poiché va effettuata, ai sensi dell'art. 21 R.D. 13 febbraio 1933, n. 215, mediante ruolo con la semplice notifica della cartella, senza necessità di un preventivo accertamento, cui debba seguire la riscossione nel termine di decadenza ex art. 25 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602. (Cassa e decide nel merito, CTR Basilicata, 03 giugno 2010)].
Secondo i giudici di legittimità è inoltre esclusa l'applicazione delle disposizioni in tema di riscossione recate dall'art. 1 della Legge n. 296/2006, poiché tale corpus normativo “presuppone necessariamente la preventiva notificazione di atti impositivi, laddove invece la riscossione dei contributi di bonifica avviene mediante ruolo, con sola notificazione di cartella”.Mancando la fase propedeutica dell'accertamento, il contributo consortile viene immediatamente riscosso con il provvedimento di esazione, che comporta quale conseguenza, la necessaria notifica dell'atto all'interno di termini prescrizionali del diritto di credito dell'Ente di bonifica, non potendosi ravvisare alcun termine decadenziale. Difatti come statuito dalla sentenza Cass. civ. sez. trib., 10 dicembre 2014, n. 26013 “I contributi consortili di bonifica sono tributi locali che si strutturano come prestazioni periodiche, con connotati di autonomia, nell'ambito di una "causa debendi" di tipo continuativo, in quanto l'utente è tenuto al pagamento di essi in relazione al prolungarsi, sul piano temporale, della prestazione erogata dall'ente impositore o del beneficio da esso concesso, senza che sia necessario, per ogni singolo periodo contributivo, un riesame dell'esistenza dei presupposti impositivi. Essi, quindi, vanno considerati come obbligazioni periodiche o di durata e sono sottoposti alla prescrizione quinquennale di cui all'art. 2948 cod. civ., n. 4 (Cassa con rinvio, CTR Toscana, 19 febbraio 2008)”; “il diritto al pagamento dei contributi consortili è unicamente assoggettato al termine di prescrizione”; la S.C., senza discostarsi da precedenti pronunce, fa riferimento al termine di prescrizione applicabile ai contributi consortili che fissa in quello di cinque anni previsto dall'art. 2948, comma 4, c.c. per ciò che devi pagarsi periodicamente, trattandosi di un debito periodico annuale. I contributi di bonifica possono essere equiparati alla TARSU e alla TOSAP e sono caratterizzati dalla periodicità nell'erogazione del servizio da parte dell'Ente locale senza necessità di un sistematico riesame sui presupposti impositivi. Per concludere la valida interruzione della prescrizione può intervenire con il recapito al contribuente di atti di messa in mora da parte dell'Ente nel corso del quinquennio ai sensi dell'art. 2943, comma 4, c.c..
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