Cessioni a Paesi extraeuropei, stretta sul divieto all’imponibilità
24 Aprile 2015
Accertata la fittizia localizzazione all'estero della società e affermata la sua residenza fiscale in Italia, non si può, solo per questo, assoggettare ad IVA le cessioni di beni esportati verso i paesi extracomunitari, senza preventivamente valutare la sussistenza del presupposto fondamentale dell'imponibilità IVA: la presenza dei beni in Italia e la circostanza che detti beni, ai sensi dell'art. 8 del D.P.R. 633/72, non siano oggetto di cessione a paesi extra-europei. Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza del 22 aprile scorso, n. 8196, frenando i Giudici di merito che, troppo frettolosamente, facevano discendere l'imponibilità IVA delle esportazioni dall'effettiva sede in Italia della società che si professava statunitense.
I fatti di causa La copiosa documentazione ritrovata in un immobile sito in Puglia di una società newyorchese, faceva ritenere all'Amministrazione il carattere fittizio della localizzazione negli Stati Uniti e la conseguente residenza fiscale in Italia. I relativi avvisi di accertamento venivano confermati dalla CTR che ammetteva l'assoggettamento ad IVA di tutte le cessioni di beni mobili (comprese le esportazioni extra –UE) effettuate nell'esercizio d'impresa in Italia in virtù dell'accertata residenza fiscale e del fatto che verosimilmente i contratti si erano perfezionati in Puglia. Quando, nel nostro ordinamento tributario, per ritenere effettuate le cessioni in Italia, occorre guardare al luogo in cui si trovano i beni all'atto della cessione (non al luogo di residenza del cedente o al luogo in cui si è perfezionato il contratto). |