Tutela cautelare

Elisa Manoni
07 Giugno 2016

Gli atti emessi dall'Ente impositore si caratterizzano per la loro esecutività in quanto, sebbene divengano oggetto di impugnazione, durante lo spatium temporis che intercorre tra l'instaurazione del giudizio e la sua conclusione con l'adozione della statuizione del giudice, l'Amministrazione Finanziaria può procedere alla riscossione di parte del quantum dovuto. Tale eventualità può venire scongiurata ricorrendo all'istituto della tutela cautelare, oramai operante anche in ambito tributario.
Inquadramento

Ai sensi dell'art. 21, comma 1 del D.Lgs. n. 546/1992, il ricorso avverso l'atto impositivo dell'Amministrazione Finanziaria deve essere proposto nel termine di sessanta giorni dalla notificazione dello stesso.

L'instaurazione del giudizio, di per sé sola, non fa, tuttavia, venir meno il potere dell'Ufficio di portare ad esecuzione l'atto impugnato in pendenza di gravame.

Ciò significa che l'Amministrazione può, comunque, esigere il pagamento di un terzo della pretesa recata nell'atto sub iudice (in primo grado), salvo il diritto del contribuente, all'esito del giudizio a lui favorevole, di chiedere il rimborso di quanto indebitamente versato.

Tuttavia, tale pretesa dell'Amministrazione può venire paralizzata dal contribuente chiedendo, ai sensi dell'art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992, la sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato.

Si tratta dell' istituto della tutela cautelare, che ha fatto il suo ingresso nel processo tributario solo con il D.Lgs. n. 546/1992, mancando tale strumento nel previgente sistema di cui al D.P.R. n. 636/1972.

Tale strumento è, quindi, funzionale a far sì che il contribuente non subisca pregiudizio nel tempo occorrente per giungere ad una sentenza definitiva, essendo suo onere fornire la prova della probabile fondatezza delle proprie ragioni (fumus boni iuris) e dell'irreparabilità e gravità del danno (periculum in mora) che subirebbe ove la sospensiva non venisse concessa (requisiti, quelli appena indicati, che debbono ricorrere congiuntamente).

La previsione della richiesta cautelare solo in primo grado ha, nel corso degli anni, sollevato critiche da parte degli operatori del diritto, i quali hanno rilevato la necessità di rendere la tutela cautelare pienamente efficace ed operante anche nei gradi successivi al primo.

Tale indirizzo è stato avallato solo di recente ad opera del D.Lgs. n. 156/2015.

La tutela cautelare in primo grado

Forma, modalità di presentazione dell'istanza e provvedimenti del Presidente

L'art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992 dal punto di vista del procedimento di sospensione e dell'efficacia del provvedimento si avvicina, indubbiamente, a quanto previsto nel processo civile, differenziandosi, invece, per quanto concerne l'esclusione della proposizione dell'istanza ante causam.

Nel processo tributario, infatti, la fase cautelare si colloca all'interno del giudizio di merito, assumendo carattere interinale.

Il ricorrente, se dall'atto impugnato può derivargli un danno grave ed irreparabile, può chiedere alla commissione tributaria provinciale la sospensione dell'esecuzione dell'atto stesso con istanza motivata proposta nel ricorso o con atto separato, notificato alle altre parti e depositato in segreteria sempre che siano osservate le disposizioni di cui all'art. 22 del D.Lgs. n. 546/1992.

Dalla lettura della norma emerge ictu oculi come due siano le modalità, concesse dalla legge, per l'attivazione del procedimento cautelare: tramite inserimento diretto della domanda nel ricorso introduttivo di lite o con istanza autonoma.

Se relativamente alla prima modalità non si pongono particolari problemi, altrettanto non può dirsi per la seconda, in riferimento alla quale è doveroso puntare l'attenzione.

La logica sottesa alla presentazione della domanda cautelare successivamente alla proposizione del ricorso è facilmente intelleggibile e risiede nell'esigenza di far fronte all'attualità del nocumento non appena esso si manifesti.

Il dato normativo non dice alcunchè sia in merito al dies a quem per la proposizione di tale autonoma istanza, sia in ordine alla forma che la predetta deve rivestire.

Relativamente alla prima questione si sono fatte strada due ipotesi, parimenti condivisibili e plausibili:

  • ritenere che il termine ultimo coincida con l'udienza di trattazione della causa nel merito;
  • affermare che tale termine si identifichi nel momento in cui viene fissata l'udienza di trattazione.

Per quanto concerne la forma, sembrerebbe corretto invocare il disposto di cui all'art. 18 del D.Lgs. n. 546 del 1992, il quale disciplina i requisiti del ricorso introduttivo di lite.

Pertanto, l'istanza dovrà contenere l'indicazione:

  • della commissione tributaria cui è diretta;
  • del ricorrente e del suo legale rappresentante, della relativa residenza o sede legale o del domicilio eventualmente eletto nel territorio dello Stato, nonché del codice fiscale e dell'indirizzo di posta elettronica;
  • dell'ufficio nei cui confronti è proposta;
  • dei motivi per cui la stessa è presentata e, quindi, del fumus boni iuris(il quale si risolve, quindi, nelle argomentazioni, in fatto ed in diritto, di cui al ricorso introduttivo di gravame) e (in particolare) del periculum in mora.

Il fumus boni iuris si risolve in un giudizio di probabilità e verosimiglianza delle argomentazioni poste a base del ricorso, non potendo la decisione cautelare concretizzarsi in un'anticipazione della sentenza definitiva.

In evidenza: giurisprudenza di merito

CTP Milano, 7 ottobre 1996, ha stabilito che il fumus boni iuris consiste nella “possibile fondatezza delle ragioni dedotte dal ricorrente nell'originario ricorso contro l'atto impugnato di cui ora teme gli effetti dell'esecutorietà” ed è un giudizio circa “l'attendibilità dei motivi dedotti in ricorso tendenti a caducare in tutto o in parte l'atto impugnato, valutando sul piano ipotetico il grado di probabilità del riconoscimento del diritto del ricorrente nella futura sentenza di merito”.

La delibazione sulla verosomiglianza della pretesa comporta una disamina necessariamente sommaria degli atti del processo, in quanto è “inibito ogni giudizio relativo al merito vero e proprio della controversia, che altrimenti costituirebbe un'illegittima anticipazione del giudizio finale” (CTP Reggio Emilia, 5 luglio 1996, n. 1).

Si ritiene che tale disamina abbia un campo di azione allargato, dovendo riguardare anche questioni di rito che, nel caso della richiesta ai sensi dell'art. 47, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992 (sospensione per eccezionale urgenza), viene già svolta dal Presidente.

Il periculum in mora si concretizza nella gravità ed irreparabilità del danno, id est è il pregiudizio che subirebbe il contribuente, data l'impossibilità di accellerare l'emanazione del provvedimento definitivo, ove non venisse disposta la misura cautelare. Pregiudizio irreparabile qualora il contribuente versi nell'impossibilità di far fronte alla pretesa erariale con le consuete modalità di ricorso al credito.

Appare indiscutibile che vi sia necessità di una valutazione comparativa degli interessi in gioco, che involge il danno cui è esposto il contribuente ed il danno da tardività dell'esazione che subirebbe l'Amministrazione, sicchè la gravità del pregiudizio subito dal contribuente si risolve in un'indagine positiva ogni qualvolta sia ravvisabile una sproporzione eccezionale dello stesso rispetto al vantaggio conseguito dall'Erario attraverso l'esecuzione immediata dell'atto.

Per quanto concerne il canone dell' “attualità” del danno, si ritiene che lo stesso non possa identificarsi con la già iniziata riscossione; il canone de quo esiste a monte ed a prescindere dall'avviata procedura esecutiva, in quanto “in qualsiasi momento” può essere intrapresa la riscossione.

Con l'avvio degli avvisi di accertamento esecutivi, il pericolo di un danno attuale ed imminente è in re ipsacon implicazioni sul piano della loro immediata sospendibilità.

In evidenza: giurisprudenza di merito

CTP Reggio Emilia, sez. VI, 7 maggio 1996, n. 1, secondo la quale è stato “ritenuto, altresì, non sussistente nemmeno la prova della possibilità del danno grave e irreparabile, non potendosi ritenere come tale il semplice richiamo dell'ammontare della somma da iscriversi a ruolo in via provvisoria”.

CTP Vicenza, sez. VII, 10 marzo 2008, n. 14, la quale ha affermato che “se il danno deve ai fini della proponibilità stessa della domanda di sospensione "esistere" sotto il profilo della sua imminenza, allorché tale "esistenza" non emerga in assenza del presupposto dell'indizio di una fase esecutiva diviene a rigore non necessario non soltanto come è più microscopicamente evidente il discendere sulla ravvisabilità del "fumus bon iuris" nel ricorso, ma anche, più sottilmente ma non meno certamente lo stesso analizzare il danno paventato abbia i caratteri della gravità e dell'irreparabilità”.

CTP Bari, sez. I, 4 maggio 1996, n. 1, ha ritenuto che “dall'esecuzione degli impugnati avvisi di accertamento (…) può derivare alla ricorrente un danno grave ed irreparabile, attesa l'entità delle somme pretese dall'Amministrazione finanziaria, il cui pagamento potrebbe essere effettuato soltanto ricorrendo a mezzi del tutto straordinari, quali l'alienazione del proprio patrimonio immobiliare, patrimonio, peraltro, difficilmente liquidabile in tempi brevi se non offrendolo ad un prezzo notevolmente inferiore a quello di mercato, anche in considerazione del fatto che, allo stato, il mercato degli immobili è in gravissima crisi, certamente insuperabile in tempi brevi anche a causa dell'imposizione fiscale che frequentemente ne assorbe l'intero reddito”.

CTR Veneto, 21 dicembre 2004, n. 68, la quale ha ravvisato il periculum nella possibile vendita all'asta dell'immobile, nel frattempo pignorato, “la cui perdita si palesa non suscettibile di risarcimento in forma specifica, data l'impossibilità di ripetere il bene nei confronti dell'eventuale acquirente e di considerare il ristoro patrimoniale equivalente al valore dell'immobile”.

La CTP Rovigo, 17 luglio 1996, n. 18, ha accordato la tutela cautelare in un caso in cui vi era la richiesta, da parte di istituti bancari, di "rientro" di affidamenti in precedenza concessi.

La CTP Reggio Emilia, 5 luglio 1996, n. 1, invece,ha ritenuto non sufficienteil limitarsi, da part del contribuente, “a far cenno genericamente ad una richiesta da parte dell' Ufficio di importo, a suo dire, assai elevato ed assolutamente arbitrario senza peraltro offrire prove di rilievo sulla sua situazione patrimoniale e sui rapporti economici che potrebbero trovare pregiudizio da tale iscrizione a ruolo”.

Eccezionalmente, la legge consente l'accoglimento dell'istanza in oggetto senza bisogno del riscontro dei requisiti di cui innanzi: si tratta dell'art. 19, comma 3, D.Lgs. n. 472/1997, a tenore del quale “la sospensione dei provvedimenti irrogativi di sanzioni deve essere concessa se viene prestata idonea garanzia anche a mezzo di fideiussione bancaria o assicurativa”.

L'istanza presentata successivamente al ricorso deve essere sottoscritta dal difensore, con indicazione della categoria alla quale lo stesso appartiene (ai sensi dell'art. 12 del D.Lgs. n. 546/1992), dell'indirizzo di posta elettronica certificata dello stesso.

Per quanto concerne la procura, si ritiene che la stessa non sia necessaria, essendo il procedimento cautelare un sub procedimento incidentale rispetto al giudizio di merito, potendo il difensore far riferimento a quella rilasciata in occasione di tale giudizio e contenuta nell'atto introduttivo dello stesso.

La necessità, disposta dalla littera legis, di notificare (con le modalità di cui all'art. 16, commi 2 e 3, D.Lgs. n. 564/1992) l'istanza de qua alle parti costituite, si spiega in ragione del fatto che in caso contrario le altre parti non sarebbero poste in grado di conoscere tale richiesta del contribuente, differentemente da quanto accade qualora la domanda di sospensione sia contenuta nel ricorso.

In evidenza: giurisprudenza di merito

Secondo la CTP Bologna, sez. I, 13 luglio 2005, la “legittimazione passiva non spetta solo all'ufficio impositore (….) ai fini della delibazione della detta domanda di sospensione, deve essere integrato il contraddittorio anche nei confronti del concessionario della riscossione, in qualità di litisconsorte necessario”.

Una volta notificata, l'istanza deve essere depositata nella segreteria della Commissione.

Il deposito può riguardare o l'originale dell'istanza notificata alle parti costituite, ovvero copia della stessa qualora sia stata consegnata o spedita per posta, con fotocopia della ricevuta di deposito o della spedizione con raccomandata a mezzo del servizio postale.

In evidenza: prassi

Circolare del Ministero dell'Economia e delle Finanze n. 1/DF del 21 settembre 2011: “Il contributo unificato non è dovuto per i seguenti atti e provvedimenti:

a) istanza di sospensione di cui all'art. 47 del D.Lgs. n. 546/92, anche nel caso in cui la stessa sia proposta con atto separato, sia antecedente che successivo alla proposizione del ricorso principale. Detta istanza, infatti, non si configura alla stregua di un vero e proprio giudizio cautelare, sebbene introduttiva di una fase incidentale del processo di primo grado i cui atti non sono assimilabili ad autonomi atti processuali o a quelli antecedenti, necessari o funzionali allo svolgimento del processo”.

Considerato che al momento della presentazione della domanda il ricorso è già stato assegnato ad apposita sezione, sembrerebbe doversi ritenere che la segreteria presso cui effettuare il deposito sia quella di tale sezione.

Quanto ai tempi di deposito, l'inciso “sempre che siano osservate le disposizioni di cui all'articolo 22” contenuto nel comma 1 dell'art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992, sembrerebbe doversi interpretare nel senso che il deposito della domanda debba avvenire nei trenta giorni successivi alla notifica della stessa.

In evidenza: giurisprudenza di merito

Sul punto si rinvia a quanto statuito dalla CTP Salerno, sez. I, 8 maggio 1996, n. 1, secondo cui la domanda di sospensione deve essere proposta “nel ricorso o con atto separato da notificarsi alle altre parti e da depositarsi in segreteria nei termini previsti per la costituzione in giudizio del ricorrente”.

Successivamente alla presentazione della domanda di sospensiva, “il presidente fissa con decreto la trattazione della istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima” (comma 2 dell'art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992).

In relazione a tale disposto, è necessario operare un distinguo tra il caso in cui la richiesta sia avanzata nel corpo del ricorso e quello in cui sia presentata con atto separato.

Nella prima ipotesi si ritiene che competente a decidere sulla concessione o meno della sospensione sia il Presidente della Commissione, salvo il caso in cui lo stesso non abbia già provveduto ad assegnare il ricorso ad una delle sezioni, secondo quanto disposto dall'art. 26 del D.Lgs. n. 546/1992.

Nella seconda ipotesi, invece, essendo già avvenuta l'assegnazione del ricorso, l'organo competente è, senza alcun dubbio, il Presidente di sezione.

In evidenza: prassi

Risoluzione del 9 dicembre 1997 del Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria, la quale ha sostenuto che “le istanze di sospensione cautelare del provvedimento impugnato andrebbero assegnate alla sezione presso la quale pende il ricorso cui l'istanza si riferisce, per poter essere inserite nello stesso fascicolo ed essere trattate nel primo collegio utile ai sensi dell'art. 47 d.lgs. n. 546 del 1992”.

Prima dell'udienza per la trattazione della richiesta cautelare, nonostante il dato positivo non dica nulla al riguardo, le parti possono presentare memorie e documenti.

La presentazione dei predetti può avvenire anche il giorno prima dell'udienza. Nella fattispecie in esame, infatti, non possono operare le scansioni temporali di cui all'art. 32 del D.Lgs. n. 546/1992.

Ciò per un'ovvia ragione: dovendo il decreto di fissazione di udienza essere notificato alle parti almeno dieci giorni liberi prima (così definibili in quanto non si computa né il dies a quo, né il dies a quem), diviene impossibile che il deposito dei documenti possa essere effettuato nei venti giorni liberi prima della predetta udienza e le memorie nei dieci giorni liberi prima della stessa.

Tuttavia, non viene meno la facoltà, in capo alla Commissione, di esercitare i poteri istruttori di cui all'art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992, al fine di valutare l'esistenza del fumus boni juris e del periculum in mora.

In virtù del rinvio disposto dall'art. 1, comma 2°, D.Lgs. n. 546/1992 alle norme del c.p.c., non sembrerebbero esserci ostacoli di sorta in ordine all'ammissibilità dell'istanza cautelare in fase di interruzione o sospensione del processo.

Sospensione provvisoria

Accanto a tale forma di sospensione al verificarsi di un “danno grave ed irreparabile”, l'ordinamento accorda al contribuente la possibilità di ottenere una sospensione provvisoria, in attesa dell'udienza ex comma 2 dell'art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992.

Tale tutela provvisoria viene accordata dal Presidente della Commissione o della sezione, in caso di eccezionale urgenza, previa delibazione del merito ed inaudita altera parte, il quale può disporre con decreto motivato la provvisoria sospensione dell'esecuzione fino alla pronuncia del Collegio (comma 3 dell'art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992).

La novella legislativa recata dal D.Lgs. n. 156/2015 ha riformulato il suddetto comma. Invero, mentre nella precedente versione del predetto comma tale facoltà andava esercitata con lo stesso decreto di fissazione dell'udienza per la trattazione dell'istanza di sospensione, l'intervento legislativo consente di disporre la sospensione “con decreto motivato”.

In evidenza: prassi

L'Agenzia delle Entrate, con Circolare del 30 dicembre 2015, n. 38/E, ha affermato che la concessione della sospensione con decreto motivato, implica che tale provvedimento sia “diverso da quello di fissazione dell'udienza ed eventualmente anteriore a questo. Per tale conclusione fa propendere la ratio della norma, identificabile nell'esigenza di non vanificare gli effetti della tutela cautelare a causa di una concessione tardiva della stessa, letta alla luce del criterio di delega relativo al rafforzamento dell'istituto”.

La legge non prevede un'apposita istanza di parte. Per tale ragione nella domanda di tutela cautelare contenuta nel ricorso introduttivo o proposta con atto autonomo, il contribuente deve espressamente indicare che la stessa si intende riferita ai commi 1 e 3 dell'art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992.

Diversamente da quanto previsto nel comma 1 dell'art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992, il legislatore, ai fini della concessione del provvedimento (nella specie, decreto) interinale, richiede la sussistenza di un requisito più pregnante, quello dell' “eccezionale urgenza”.

Ciò significa che si deve configurare una situazione tale che il pregiudizio, il quale subirebbe il contribuente nel caso in cui attendesse la pronuncia del Collegio, ai sensi del comma 2 dell'art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992, sarebbe irreversibile.

Il decreto con cui viene disposta la sospensione è destinato ad essere assorbito dall'ordinanza collegiale, che potrà confermarlo, revocarlo o modificarlo.

L'ordinanza collegiale

Tanto nel caso in cui sia stato pronunciato decreto interinale dal Presidente, valutata l' “eccezionale urgenza”, tanto nel caso in cui ciò non sia avvenuto, il collegio, sentite le parti in camera di consiglio e delibato il merito, provvede con ordinanza motivata non impugnabile (comma 4 dell'art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992), entro centottanta giorni dalla data di presentazione della stessa (comma 5-bis dell'art. 47).

Il riferimento alla delibazione del merito è di fondamentale importanza, in quanto il collegio effettua un primo esame della fattispecie oggetto di contestazione, seppur in termini meramente prognostici.

La previsione secondo cui l'ordinanza deve essere motivata va letta in combinato disposto con quanto previsto dal comma 1 dell'art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992, laddove viene previsto che l'istanza di sospensione presenti un adeguato apparato argomentativo.

Pertanto, il collegio dovrà parametrare tale motivazione alle circostanze, espresse dal contribuente nella propria richiesta di tutela cautelare, denotanti, asseritamente, l'esistenza del fumus boni juris e del periculum in mora. In tal caso, quindi, la motivazione investirà ragioni di merito.

Ciò non significa, tuttavia, che la stessa non possa investire anche questioni di rito: è quanto accade qualora l'istanza riguardi un atto non sospendibile, quale il diniego espresso o tacito di rimborsi, di agevolazioni, di definizioni agevolate di rapporti tributari.

In evidenza: prassi

Tali atti sono tutti accomunati dall'assenza di “imposizione”: in tal caso l'ordinanza di sospensione imporrebbe all'Amministrazione Finanziaria un obbligo di facere (Agenzia delle Entrate, Circolare 23 aprile 1996, n. 98/E).

Nella precedente versione dell'art. 47 del D.Lgs. in oggetto (ante D.Lgs. n. 156/2015), non vi era alcuna indicazione in merito ai tempi di pubblicazione ed alle forme di comunicazione dell'ordinanza.

Tale falla aveva creato un problema interpretativo ed applicativo di non poco conto, al quale si era cercato di sopperire facendo ricorso all'art. 37 del D.Lgs. n. 546/1992, disciplinante la pubblicazione e la comunicazione della sentenza.

Pertanto, l'ordinanza avrebbe potuto essere resa pubblica mediante deposito nella segreteria della commissione, entro trenta giorni dalla data della deliberazione (tuttavia, tale termine, considerata la finalità a cui è diretta l'ordinanza, si presentava come eccessivamente lungo); la comunicazione alle parti costituite sarebbe potuta avvenire, seguendo il percorso tracciato dall'art. 37 del D.Lgs. n. 546/1992, entro dieci giorni dal deposito in segreteria.

A seguito dell'intervento legislativo recato con il D.Lgs. n. 156/2015, tale problema è stato risolto, prevedendo, per tutti i giudizi pendenti alla data del 1° gennaio 2016, che tale ordinanza debba essere immediatamente comunicata alle parti in udienza.

La sospensione può anche essere parziale e subordinata alla prestazione della garanzia di cui all'art. 69, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992 (comma 5 dell'art. 47 D.Lgs. citato).

Le due condizioni devono leggersi disgiuntamente.

Per quanto concerne la tutela cautelare parziale, questa deve intendersi come limitazione sia ad alcuni aspetti dell'atto, sia ad un determinato importo.

In evidenza: giurisprudenza di merito

CTP Rimini, sez. I, 20 luglio 1996: “Ritenuto che l'accertamento impugnato si fonda e sulla plusvalenza realizzata ex art. 81 lettera h) d.P.R. n. 917/1986 e sulla omessa denuncia del reddito da fabbricati; ritenuto che, relativamente a quest' ultimo presupposto il ricorrente ammette la violazione pur lamentando che nel passivo aziendale non si è tenuto conto del mutuo di lire 147.000.000, mentre in questa fase di sommaria delibazione non è dato accertare l'esistenza del primo presupposto con riferimento, in particolare, alla qualità di imprenditore da parte del ricorrente; ritenuto che ricorre, pertanto, relativamente alla contestazione di cui all'art. 81 lett. h), d.P.R. n. 917/1986 il fumus boni iuris del merito del ricorso; ritenuto che l'atto impugnato va, pertanto, parzialmente sospeso nella misura che si ritiene fissare nel 50% del tributo ed accessori dovuti, ricorrendo in tali limiti il presupposto della gravità del danno”.

In evidenza: prassi

Come evidenziato dall'Agenzia delle Entrate nella Circolare n. 38/E del 2015, nella valutazione dei presupposti della sospensione, l'interesse del ricorrente va bilanciato con quello dell'ente impositore alla tutela del credito erariale: anche con riferimento all'esito di tale ponderazione va letta la previsione, invariata nell'attuale formulazione del comma 5, secondo cui "la sospensione può anche essere parziale"”.

Relativamente alla concessione di garanzia, il comma 5 dell'art. 47 D.Lgs. n. 546/1992 fa espresso rinvio al comma 2 dell'art. 69 del medesimo D.Lgs., laddove viene previsto che il contenuto della garanzia, la sua durata, nonché il termine entro il quale può essere escussa, a seguito dell'inerzia del contribuente in ordine alla restituzione delle somme garantite protrattasi per un periodo di tre mesi, saranno disciplinati da un decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze.

Tale previsione non può non suscitare delle perplessità, data da un'evidente contraddizione in termini.

Seppur sia vero che tale garanzia ha la funzione di tutelare la solvibilità dell'obbligato ove, in esito alla definizione della controversia, venisse a risultare fondata la pretesa impositiva dell'Amministrazione resistente, è altrettanto vero che la previsione della stessa viene a confliggere con la ratio dell'istituto della tutela cautelare.

La prestazione della stessa, infatti, rende difficilmente credibile che il contribuente, il quale avanzi domanda di sospensiva, versi in una situazione connotata da periculum in mora.

Seppur la legge nulla dica in proposito, essendo la garanzia strumento a tutela del resistente, sembrerebbe ragionevole che sia quest'ultimo a manifestare interesse alla concessione della stessa, sicchè, in assenza di un'istanza proposta dal predetto, il giudice non potrebbe provvedervi ex officio.

Dato il carattere subordinato della prestazione della garanzia rispetto alla concessione della sospensiva, ne deriva che se il contribuente è nell'impossibilità di prestarla, non avranno luogo nemmeno gli effetti sospensivi.

Con l'ordinanza che decide sull'istanza cautelare, la commissione provvede sulle spese della relativa fase. Tale pronuncia sulle spese conserva efficacia anche dopo il provvedimento che definisce il giudizio, salva diversa statuizione espressa nella sentenza di merito (comma 2-quater dell'art. 15 del D.Lgs. n. 546/1992, comma aggiunto dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156).

In evidenza: prassi

Secondo quanto chiarito dall'Agenzia delle Entrate con Circolare del 30 dicembre 2015, n. 38/E, il giudice conserva, invero, la possibilità di disporre diversamente in ordine alle spese della fase cautelare nel provvedimento adottato all'esito del giudizio. In questo caso, la sentenza che definisce il giudizio assorbe l'ordinanza sia sotto il profilo cautelare, che nella disposizione sulle spese di lite. La parte che intenda dolersi della condanna alle spese della fase cautelare potrà, quindi, impugnare la sentenza nel relativo capo.

Ove il giudice non provveda in sentenza sulle spese di lite della fase cautelare, l'ordinanza adottata in detta fase sarà assorbita dalla sentenza solo nella parte che ha deciso sull'istanza di sospensione, mentre conserverà la propria efficacia nel capo che dispone sulle spese del giudizio cautelare. La parte che intenda dolersi della condanna alla rifusione delle spese del giudizio cautelare (contenuta nella relativa ordinanza) potrà dunque, in tal caso, impugnare la sentenza in quanto ha omesso di disporre diversamente in merito alle spese della fase cautelare.

Rapporto tra fase cautelare e fase di merito

La funzione propulsiva del comma 6 dell'art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992 è ben evidente dalla stessa formulazione dello stesso, il quale dispone che “nei casi di sospensione dell'atto impugnato, la trattazione della controversia deve essere fissata non oltre novanta giorni dalla pronuncia”.

Dalla lettura della littera legis emerge come non sia sufficiente, affinchè sia rispettato tale termine, la semplice fissazione dell'udienza, dovendo, al contrario, intervenire la pronuncia definitiva entro tale arco temporale.

La natura ordinatoria di tale termine, desumibile da quanto disposto dall'art. 152, comma 2, c.p.c., secondo cui “i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori”, comporta che l'inosservanza dello stesso non produce conseguenze negative sul giudizio, ben potendo lo stesso svolgersi anche oltre tale intervallo temporale.

Resta ben fermo che l'instaurazione del processo oltre i novanta giorni stabiliti dal dato normativo non ha alcuna influenza sull'ordinanza di sospensione, la quale continua a produrre i propri effetti fino al momento in cui non venga pubblicata la sentenza di primo grado, così come disposto dal comma 7 dell'art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992.

In evidenza: Cassazione

In tema di contenzioso tributario, non viola il diritto di difesa del contribuente il giudice che, senza ritardo, decida il merito della causa, senza pronunciarsi sull'istanza di sospensione dell'atto impugnato, in quanto l'art. 47, comma 7, del D.Lgs. n. 546/1992 prevede che “gli effetti della sospensione cessano alla data di pubblicazione della sentenza di primo grado”, sicchè non è ipotizzabile alcun pregiudizio per la mancata decisione sull'istanza cautelare che, pur se favorevole, sarebbe comunque travolta dalla decisione di merito (Cass. civ., sez. trib., 9 aprile 2010, n. 8510).

Al momento della pubblicazione della sentenza, mediante suo deposito in segreteria, gli effetti della sospensione vengono assorbiti nella decisione definitiva.

Ciò significa che se il ricorso viene rigettato (sia per motivi di merito, che per ragioni di rito), verrà riattivata la fase di riscossione; al contrario, qualora il gravame venga accolto, l'annullamento dell'atto impositivo impedirà qualsiasi attività di riscossione.

Prima della pubblicazione della sentenza il provvedimento cautelare non è, comunque, intangibile.

In caso di mutamento delle circostanze la commissione, su istanza motivata di parte (quindi, non d'ufficio), può revocare o modificare il provvedimento cautelare, osservate, per quanto possibile, le forme di cui ai commi 1, 2, e 4.

L'inciso “mutamento delle circostanze” sembrerebbe potersi riferire tanto ai fatti storici sopraggiunti, tanto a quelli preesistenti ma non allegati, perché non conosciuti, i quali potrebbero dimostrare l'assenza o il diverso atteggiarsi del fumus boni iuris e del periculum in mora.

Tale previsione si spiega in ragione del fatto che è ben possibile che durante la fase di merito, a seguito della produzione di documenti e motivi aggiunti e dell'esercizio dei poteri istruttori di cui all'art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992, si manifestino i presupposti per un diverso apprezzamento dei requisiti alla base dell'istituto della tutela cautelare. Il dato normativo ingenera un interrogativo, relativo al fatto se la revoca o la modifica riguardino solo i provvedimenti positivi di sospensione o anche quelli negativi.

Considerato il fatto che l'ordinanza emessa dal collegio, al termine della fase cautelare, non è impugnabile, id est, non è reclamabile e posto che, qualora la stessa abbia contenuto negativo, l'ordinamento non riconosce la possibilità di riproporre la domanda, sembrerebbe che la possibilità di revocare o modificare la stessa si ponga nella direzione di rimediare a tali falle del sistema. L'istanza di revoca o modifica deve essere proposta secondo le forme di cui ai commi 1, 2 e 4 dell'art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992.

Tale riferimento deve intendersi cum grano salis per quanto concerne il comma 1. Essendosi il giudizio già instaurato, a seguito della costituzione delle parti, ne deriva, logicamente, come non valga la previsione secondo cui tale istanza possa essere contenuta nel ricorso introduttivo di lite, potendo, pertanto, assumere solo la forma di atto autonomo.

Altrettanto logico e comprensibile è il mancato richiamo al comma 3: essendosi di fronte ad un organo collegiale, diviene impraticabile l'invocazione dell' “eccezionale urgenza”, il cui riscontro compete al Presidente (della commissione o della sezione) e, quindi, ad un organo monocratico.

Rebus sic stantibus, attraverso lo strumento dell'istituto e della revoca e della modifica dell'ordinanza non si possono far valere circostanze (in fatto ed in diritto) deducibili ma non dedotte in fase cautelare, ma solo quelle non dedotte, né deducibili in quanto conosciute solo dopo il sub procedimento cautelare e ciò sia in caso di esito positivo, sia negativo del procedimento interinale.

Infine l'art. 47 è stato completato con l'aggiunta, a seguito del D.Lgs. n. 156/2015, del comma 8-bis, disposizione di natura sostanziale, più che processuale, nel quale si stabilisce che durante il periodo di sospensione si applicano gli interessi al tasso previsto per la sospensione amministrativa (al tasso di cui all'art. 6 del Decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze 21 maggio 2009).

In evidenza: prassi

L'Agenzia delle Entrate, con Circolare 30 dicembre 2015, n. 38/E, ha chiarito che “in tal modo viene espressamente recepito nel testo normativo l'orientamento, tanto di prassi quanto di giurisprudenza, incline ad uniformare il calcolo degli interessi nella sospensione accordata dal giudice e in quella accordata dall'Amministrazione Finanziaria”.

La tutela cautelare in secondo grado

La novella di cui al D.Lgs. n. 156/2015.

L'art. 49 del D.Lgs. n. 546/1992, nella formulazione ante novella di cui al D.Lgs. n. 156/2015, disponeva che “alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie si applicano le disposizioni del titolo III, capo I, del libro II del codice di procedura civile, escluso l'art. 337 e fatto salvo quanto disposto nel presente decreto”.

Il legislatore tributario, pertanto, operava un richiamo alle norme relative alle impugnazioni contenute nel c.p.c., ad eccezione dell'art. 337 c.p.c., il quale, rubricato “sospensione dell'esecuzione e dei processi”, prevede che “l'esecuzione della sentenza non è sospesa per effetto dell'impugnazione di essa, salve le disposizioni degli artt. 282, 373, 401 e 407”, id est delle disposizioni che regolano la sospensione della pronuncia impugnata in sede di appello, con ricorso per Cassazione, sottoposta a procedimento di revocazione, o avverso la quale sia stata proposta opposizione di terzo.

Relativamente all'interpretazione dell'esclusione di tale norma (l'art. 337 c.p.c.) nell'ambito del giudizio tributario, nel tempo sono emersi due orientamenti, non univoci, l'uno il quale affermava che al processo de quo non fosse applicabile l'art. 337 c.p.c. nella parte in cui contemplava l'esecutività delle sentenze, l'altro il quale riteneva che non fosse operante sia la regola generale (l'art. 337 c.p.c.), sia le eccezioni (artt. 282, 373, 401 e 407 c.p.c.).

In evidenza: giurisprudenza a favore della sospensione della sentenza nei gradi successivi al primo In evidenza: giurisprudenza a favore della non sospendibilità della sentenza nei gradi successivi al primo
CTR Roma, sez. I, 29 settembre 2010, n. 136, la quale ha affermato che “l'art. 49 del D.Lgs. n. 546/1992 è finalizzato a sancire esclusivamente l'inapplicabilità nel processo tributario della regola che attribuisce immediata e diretta efficacia alle sentenze civili, non già ad escludere l'operatività delle norme sulla sospensione che quella efficacia esecutiva presuppongono”. CTR L'Aquila, sez. III, 22 marzo 2008, n. 22, la quale ha ritenuto che “Nel contenzioso tributario non trova applicazione l'istituto della sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza di primo grado di cui all'art. 337 c.p.c.”.
CTR Trieste, 16 dicembre 1999, n. 15, la quale ha riconosciuto che “Nel processo tributario è applicabile l'art. 283 del codice di procedura civile, che attribuisce al giudice di appello il potere di sospendere l'efficacia esecutiva della sentenza impugnata”. Agenzia delle Entrate, Circolare 31 luglio 2001, n. 73/E, la quale ha chiarito che “posto che l'art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992, statuendo, al comma 7, che "Gli effetti della sospensione cessano dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado", limita espressamente la tutela cautelare al primo grado di giudizio, fatta eccezione, come detto, per le sole sanzioni pecuniarie. Inoltre, l'art. 49 del decreto in esame esclude inequivocabilmente l'applicabilità dell'art. 337 del codice di procedura civile e, quindi, anche delle norme da quest'ultimo richiamate, tra cui lo stesso art. 373 citato”.
CTR Puglia, 27 agosto 2001, che ha ritenuto: “se l'art. 49 del D.Lgs. n. 546/1992, nel richiamare le disposizioni del (Titolo III, Capo I, Libro II del) codice di procedura civile, esclude l'art. 337, ciò non vuol dire che abbia voluto escludere anche gli artt. 283, 373 e 401 per il solo fatto che da esso siano richiamati Corte cost., 21 gennaio 2000, n. 18, la quale ha escluso l'esistenza di un principio, costituzionalmente rilevante, di necessaria uniformità tra i vari tipi di processo.

Il D.Lgs. n. 156/2015 ha eliminato in radice il problema, operando una modifica caratterizzata da una significativa portata di carattere sistematico, tramite l'eliminazione, nell'art. 49 del D.Lgs. n. 546/1992 dell'inciso “escluso l'art. 337 c.p.c..

Tale riformulazione si è resa necessaria, oltre che per conformarsi alla pronunce giurisprudenziali che hanno affermato, sotto vari profili, l'applicabilità al processo tributario della predetta norma del c.p.c., anche (e soprattutto) per esigenze di coordinamento con il nuovo regime dell'esecutività delle sentenze tributarie, il quale riconosce l'“immediata esecutorietà, estesa a tutte le parti in causa, delle sentenze delle commissioni tributarie” (art. 67 bis del D.Lgs. n. 546/1992, introdotto dal D.Lgs. n. 156/2015).

Pertanto, alla luce di tale novità, il legislatore delegato ha riscritto l'art. 52 del D.Lgs. n. 546/1992.

Invariato rimane il primo comma dell'articolo in esame, che individua il giudice d'appello nella commissione tributaria regionale, rinviando per la determinazione della competenza territoriale all'art. 4, comma 2, del medesimo D.Lgs., ai sensi del quale “le commissioni tributarie regionali sono competenti per le impugnazioni avverso le decisioni delle commissioni tributarie provinciali, che hanno sede nella loro circoscrizione”.

Al contrario, nuova è la disciplina della fase cautelare, che ricalca la procedura prevista dall'art. 47 del medesimo D.Lgs., per la sospensione dell'atto impugnato in primo grado.

In particolare, ai sensi del comma 2 dell'art. 52 del D.Lgs. n. 546/1992, l'appellante può chiedere alla commissione regionale di sospendere in tutto o in parte l'esecutività della sentenza impugnata, se sussistono gravi e fondati motivi; il contribuente può comunque chiedere la sospensione dell'esecuzione dell'atto se da questa può derivargli un danno grave e irreparabile.

Pertanto, sulla base della littera legis risulta che:

  • si può chiedere la sospensione dell'esecuzione della sentenza al ricorrere di gravi e fondati motivi, analogamente a quanto disposto dall'art. 283 c.p.c.;
  • si può chiedere la sospensione dell'esecuzione dell'atto al ricorrere di un danno grave ed irreparabile, sulla base, cioè, “degli stessi presupposti previsti dall'art. 47 per la sospensione in primo grado” (Relazione Illustrativa al decreto di riforma).

L'ipotesi sub-b) si verifica quando in primo grado il ricorso venga rigettato totalmente o quando venga accolto in parte. In tal caso, infatti, l'agente della riscossione potrà esigere i due terzi del tributo (con i relativi interessi) dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale che respinge il ricorso (art. 68, comma 1, lettera a), D.Lgs. n. 546/1992) o l'ammontare risultante dalla sentenza di primo grado e, comunque, non oltre i due terzi, se la stessa accoglie parzialmente il ricorso (art. 68, comma 2, lettera b), D.Lgs. n. 546/1992).

La norma è composta di due periodi i quali, entrambi, pongono i presupposti della inibitoria.

Il primo periodo dispone che “l'appellante può chiedere alla commissione regionale di sospendere in tutto o in parte l'esecutività della sentenza impugnata, se sussistono gravi e fondati motivi”; per “appellante” si intende sia il contribuente che l'Amministrazione finanziaria.

Il secondo periodo prevede che qualora la parte soccombente in primo grado sia il contribuente, l'oggetto della sospensione non è la sentenza, ma l'atto originario; in tal caso, “il contribuente può comunque chiedere la sospensione dell'esecuzione dell'atto se da questa può derivargli un danno grave ed irreparabile”. Difficoltà interpretative sorgono con riferimento al significato da attribuire all'avverbio “comunque”.

L'Agenzia delle Entrate non ha ritenuto dirimente la questione, assegnando a tale avverbio un significato “cumulativo”.

In evidenza: prassi

Nella Circolare n. 38/E del 30 dicembre 2015, alla nota n. 67, l'Amministrazione Finanziaria afferma che “la facoltà, riconosciuta al contribuente di chiedere la sospensione dell'atto oppure della sentenza consente la tutela cautelare in diverse ipotesi; si pensi, ad esempio, al caso di una sentenza di rigetto del ricorso introduttivo, la cui sospensione lascerebbe comunque in piedi gli effetti dell'atto”.

La questione merita una precisazione.

Affinchè si possa parlare di “sospensione” è necessario che vi sia un provvedimento dotato di “efficacia esecutiva”, costituendo dei veri e propri titoli esecutivi.

Ne consegue, quindi, che “l'appellante” a cui si riferisce il primo periodo dell'art. 52, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992 debba essere identificato nella Parte pubblica, avuta considerazione del fatto che la sentenza può considerarsi esecutiva solo quando accolga le ragioni del contribuente, annullando l'atto impositivo (cfr. art. 69, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992, a tenore del quale “le sentenze di condanna al pagamento di somme in favore del contribuente e quelle emesse su ricorso avverso gli atti relativi alle operazioni catastali indicate nell'art. 2, comma 2, sono immediatamente esecutive”).

In tal caso, infatti, la sentenza costituisce “titolo” sulla base del quale “il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere rimborsato d'ufficio entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza” (art. 68, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992).

Nel caso in cui la sentenza favorevole al contribuente venga sospesa dal giudice di secondo grado ad istanza della Parte pubblica, ritorna a sopravvivere l'atto impugnato, nella sua esecutività, sicchè non potrebbe non affermarsi che il contribuente possa instare per chiedere la tutela inibitoria avverso lo stesso qualora possa arrecargli pregiudizio.

Al contrario, il secondo periodo dell'art. 52, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992, il quale ha quale destinatario il “contribuente” è da intendere nel senso che lo stesso possa chiedere al giudice del gravame la sola sospensione dell'esecutività dell'atto impositivo. In tal caso, infatti, la pronuncia di primo grado ha riscontrato l'infondatezza degli aspetti di illegittimità dell'atto impositivo dedotti in giudizio dal contribuente, sicchè è il predetto atto l'unico provvedimento dotato di “efficacia esecutiva”.

Alle predette conclusioni si giunge anche nel caso di accoglimento parziale del ricorso del contribuente: il titolo esecutivo suscettibile di essere sospeso è costituito da quella parte di atto impositivo rimasta “in vita” a seguito del titolo giudiziale che lo ha confermato.

Modalità di proposizione dell'istanza

Per quanto concerne le modalità di proposizione della domanda cautelare, la stessa potrà essere contenuta nell'atto di gravame, oppure potrà essere presentata con atto autonomo (questo ultimo redatto secondo quanto prescritto dall'art. 18 del D.Lgs. n. 546/1992).

Valgono le medesime considerazioni svolte per quanto concerne la richiesta di sospensione in primo grado (cfr. § 2.1), anche in materia di non debenza del contributo unificato.

Tuttavia, l'interesse ad avanzare richiesta di sospensiva potrà manifestarsi anche in sede di appello incidentale (art. 54 del D.Lgs. n. 546/1992), sia per quanto concerne il contribuente, nel caso in cui la sentenza di primo grado accolga parzialmente il ricorso, sia per quanto riguarda l'Amministrazione Finanziaria che, vittoriosa, potrebbe censurare la decisione nella parte in cui dispone la compensazione delle spese.

Pertanto, nell'atto di controdeduzioni, contenente l'appello incidentale, dovrà essere inserita la richiesta di sospensiva, con esplicitazione motivata del fumus e del periculum (“gravi e fondati motivi”).

Per quanto concerne la sospensione a cui si rivolge il secondo periodo dell'art. 52, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992, nel riferimento al “danno grave ed irreparabile” non compare il riferimento al fumus, lasciando intendere come il contribuente possa ottenere la sospensione dell'atto impositivo solo al ricorrere del “danno grave ed irreparabile”, senza dover fornire dimostrazione della verosimile fondatezza dell'impugnazione.

Al fine di comprendere appieno la disposizione occorre operare un distinguo.

Qualora il contribuente debba, al fine di evitare il pregiudizio verosimilmente derivante dalla conseguita esecutività dell'atto impositivo a seguito dell'ottenuta sospensione della sentenza di primo grado a lui favorevole, proporre istanza cautelare avverso detto atto, appare logico ritenere (e sul punto si spiega la predetta disposizione normativa) che non sia necessaria una valutazione del merito (vale a dire del fumus).

Ciò avuta considerazione del fatto che siffatto riscontro è già stato effettuato nel momento in cui la Parte pubblica (in quanto appellante) ha proposto istanza avente ad oggetto la sentenza.

Al contrario, ogni qualvolta il contribuente proponga domanda di sospensione che non sia incidentale al procedimento cautelare attivato dall'Amministrazione finanziaria, deve essere assolutamente comprovato il fumus, pena lo snaturare i presupposti della tutela cautelare.

Ai sensi dell'art. 23 del D.Lgs. n. 546/1992, al quale rinvia l'art. 54 del D.Lgs. in oggetto, tale atto dovrà essere depositato presso la segreteria della Commissione, secondo le modalità di cui all'art. 16 D.Lgs. n. 546/1992, in tante copie quanto sono le parti in giudizio, entro sessanta giorni dal dies in cui l'appello è stato notificato, consegnato o ricevuto a mezzo del servizio postale.

Considerato che al momento della presentazione della domanda il ricorso è già stato assegnato ad apposita sezione, sembrerebbe doversi ritenere che la segreteria presso cui effettuare il deposito sia quella di tale sezione.

Anche nel caso di appello incidentale, si ritiene che l'interesse ad avanzare richiesta di sospensiva possa sorgere successivamente alla proposizione dello stesso e, precisamente:

a) fino all'udienza di trattazione della causa nel merito;

b) fino al momento in cui viene fissata l'udienza di trattazione.

Procedimento cautelare

La disciplina ricalca, sostanzialmente, quella contenuta nell'art. 47 del medesimo D.Lgs (si rinvia, quindi, alle osservazioni svolte trattando la tutela cautelare di primo grado).

Pertanto:

  1. il presidente fissa con decreto la trattazione dell'istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile, disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima. In relazione a tale disposto, è necessario operare un distinguo tra il caso in cui la richiesta sia avanzata nel corpo del ricorso e quello in cui sia presentata con atto separato. Nella prima ipotesi si ritiene che competente a decidere sulla concessione o meno della sospensione sia il Presidente della Commissione, salvo il caso in cui lo stesso non abbia già provveduto ad assegnare il ricorso ad una delle sezioni, secondo quanto disposto dall'art. 26 del D.Lgs. n. 546/1992. Nella seconda ipotesi, invece, essendo già avvenuta l'assegnazione del ricorso, l'organo competente è, senza alcun dubbio, il Presidente di sezione;
  2. in caso di eccezionale urgenza, il presidente, previa delibazione del merito, può disporre con decreto motivato la sospensione dell'esecutività della sentenza fino alla pronuncia del collegio;
  3. il collegio, sentite le parti in camera di consiglio e delibato il merito, provvede con ordinanza motivata non impugnabile;
  4. la sospensione può essere subordinata alla prestazione della garanzia di cui all'art. 69, comma 2. Si applica la disposizione dell'art. 47, comma 8 bis (durante il periodo di sospensione cautelare, si applicano gli interessi al tasso previsto per la sospensione amministrativa).

Anche se non viene prevista espressamente la possibilità di revoca o modifica dell'ordinanza a seguito di mutamenti delle circostanze, come, invece, disposto dal comma 8 dell'art. 47, si ritiene che la presentazione di un'istanza di parte in tal senso non sia preclusa.

Con la concessione della sospensiva, le attività esecutive non vengono iniziate o, se già intraprese, si interrompono.

In evidenza: prassi

L'Agenzia delle Entrate, con Circolare del 30 dicembre 2015, n. 38/E, ha chiarito che “se la pronuncia che dispone la sospensione interviene prima che sia stata notificata al contribuente l'intimazione ad adempiere all'obbligo di pagare gli importi rideterminati in base alla suddetta sentenza, l'Ufficio dovrà astenersi dall'emettere tale intimazione.

Diversamente, se al momento della pronuncia di sospensione è già stata notificata l'intimazione, l'Ufficio procede all'affidamento del carico all'agente della riscossione, dando contestuale comunicazione a questo ultimo dell'intervenuta sospensione.

La sospensione impedisce anche la prosecuzione delle attività esecutive sulle somme dovute in via provvisoria nei precedenti gradi di giudizio e già affidati all'agente della riscossione.

Per tale motivo, la comunicazione che l'Ufficio indirizza all'agente della riscossione per richiedere la sospensione dell'attività esecutiva dovrà avere ad oggetto la totalità dei carichi affidati, relativi alla controversia interessata dalla sospensione”.

Per contro, nel caso in cui sia concessa, a richiesta dell'Ufficio, la sospensione di una sentenza favorevole al contribuente, viene inibita l'operatività delle nuove norme che ne disciplinano l'immediata esecutività e l'Ufficio è legittimato a non effettuate lo sgravio o il rimborso delle somme riconosciute non dovute in forza della stessa sentenza.

La tutela cautelare della sentenza impugnata per Cassazione (modalità di presentazione dell'istanza e procedimento cautelare)

Con l'introduzione dell'art. 62-bis nel D.Lgs. n. 546/1992 ad opera del D.Lgs. n. 156/2015 è divenuta pacifica la possibilità di chiedere la sospensione degli effetti esecutivi della sentenza impugnata con ricorso per Cassazione, così come avviene nel processo civile (art. 373 c.p.c.).

La parte che ha proposto ricorso per Cassazione può chiedere alla commissione che ha pronunciato la sentenza impugnata di sospenderne in tutto o in parte l'esecutività allo scopo di evitare un danno grave ed irreparabile.

La norma si discosta da quanto previsto dall'art. 52, comma 1, primo periodo, del D.Lgs. n. 546/1992, laddove il Legislatore fa riferimento ai “gravi e fondati motivi”.

La richiesta di sospensione può riguardare, altresì, l'atto, qualora l'esecuzione possa cagionare un danno grave ed irreparabile (art. 62-bis, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992).

Attesa l'identica formulazione di tale dato normativo e dell'art. 52, comma 1, del medesimo D.Lgs., si rimanda alle considerazioni svolte con riguardo a tale ultima disposizione.

Come chiarito nella Relazione Illustrativa al D.Lgs. n. 156/2015, alla Commissione di secondo grado, che ha emesso la decisione impugnata per ricorso per Cassazione, compete solo la valutazione del periculum in mora e non del fumus; tale ultimo elemento giudizio rimane riservato al giudizio della Cassazione.

In evidenza: prassi e giurisprudenza

Sul punto è intervenuta la stessa Agenzia delle Entrate con Circolare n. 38/E del 30 dicembre 2015, in cui viene affermato che“la formulazione dell'art. 62-bis in esame è analoga a quella contenuta nell'art. 373 c.p.c. e attribuisce rilievo al solo periculum in mora, senza possibilità di valutare il fumus boni iuris (…) tale ultimo elemento è stato, infatti, già valutato dallo stesso giudice che ha emesso la sentenza di cui si chiede la sospensione, impugnata innanzi alla Suprema Corte”.

Questa interpretazione è stata confermata dalla Cass. civ., ord. n. 377 del 19 aprile 2016; Id., ord. n. 217 del 25 febbraio 2016.

In evidenza: giurisprudenza

Corte cost., 9 giugno 2010, n. 217: “il consolidato orientamento giurisprudenziale (tale da costituire "diritto vivente"), secondo il quale l'"irreparabilità del danno" di cui all'art. 373 cod. proc. civ. va intesa, quantomeno, nel senso di un intollerabile scarto tra il pregiudizio derivante dall'esecuzione della sentenza nelle more del giudizio di cassazione e le concrete possibilità di risarcimento in caso di accoglimento del ricorso per cassazione”.

La CTR Torino, con ordinanza del 13 giugno 2014, n. 250, ha ritenuto sussistere il requisito del “grave ed irreparabile danno” quando il pagamento di quanto richiesto comporterebbe forti indebitamenti che si sommerebbero a quelli esistenti compromettendo la attività sociale.

La CTR Lecce, con ordinanza del 19 aprile 2016, n. 377, ha concesso la provvisoria sospensione della sentenza di secondo grado impugnata per Cassazione in quanto, la rata che il contribuente avrebbe dovuto pagare qualora fosse stata concessa la dilazione, sarebbe stata spropositata rispetto alla sua posizione reddituale.

L'ipotesi di richiesta di sospensione avente ad oggetto l'atto si verifica quando in secondo grado il ricorso venga rigettato totalmente o quando venga accolto in parte. In tal caso, infatti, l'agente della riscossione potrà esigere il residuo ammontare (con i relativi interessi) determinato nella sentenza di seconde cure (art. 68, comma 1, lettera c), D.Lgs. n. 546 del 1992). L'istanza cautelare, pertanto, avrà come effetto quello di sospendere l'esecuzione dell'atto, che ha ripreso ad avere efficacia a seguito della statuizione di secondo grado.

La sentenza di secondo grado costituisce titolo per l'iscrizione a ruolo del tributo e dei relativi interessi, sicchè, nel momento in cui il contribuente chiede ed ottiene la sospensione della sentenza, viene momentaneamente congelata anche l'efficacia dell'atto impositivo impugnato in primo grado, che aveva ripreso a produrre effetti proprio a seguito della pronuncia resa in appello. Sembrerebbe, quindi, che il contribuente, totalmente o parzialmente soccombente in secondo grado, possa chiedere, indifferentemente, la sospensione dell'esecuzione della sentenza o dell'atto impositivo.

In evidenza: prassi

Condivisibilmente, l'Agenzia delle Entrate, con Circolare del 30 dicembre 2015, n. 38/E, ha rilevato che la possibilità di chiedere la sospensione dell'atto nei gradi successivi al primo offre tutela al contribuente nelle ipotesi di sentenza di cassazione con rinvio, tenuto conto che, per consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, il giudizio di rinvio costituisce una fase nuova ed autonoma, funzionale ad una sentenza che non si sostituisce ad alcuna precedente pronuncia, riformandola, ma statuisce direttamente sulle domande proposte dalle parti. Dunque, dopo la cassazione con rinvio la sentenza di primo grado e la sentenza di appello cassata si trovano sempre esattamente nella stessa condizione di inefficacia, di impossibilità di reviviscenza e di insuscettibilità di passaggio in giudicato. Ciò comporta che l'Amministrazione è legittimata a riscuotere la pretesa erariale secondo le regole vigenti nella fase di impugnazione dell'atto impositivo (art. 68, comma 1, lettera c- bis), D.Lgs. n. 546/1992).

Nell'art. 62-bis del D.Lgs. n. 546/1992 non vi è alcun cenno in merito alle modalità di proposizione dell'istanza di sospensione.

Bisogna rifarsi, quindi, alle norme del D.Lgs. n. 546/1992 che regolano la costituzione in giudizio della parte ricorrente (artt. 53 e 22 D.Lgs. n. 546/1992).

Prevedendo la littera legis che “la parte che ha proposto ricorso per cassazione può chiedere alla commissione che ha pronunciato la sentenza impugnata” la sospensione dell'esecuzione dell'atto o della sentenza, presuppone che prima venga proposto ricorso alla Suprema Corte e, successivamente, venga avanzata richiesta di sospensiva alla Commissione di secondo grado.

In tal senso depone il comma 6 dell'art. 62-bis del D.Lgs. n. 546/1992, secondo cui la Commissione non può pronunciarsi sulla richiesta di sospensiva se la parte istante non dimostra di avere depositato il ricorso per Cassazione contro la sentenza.

Prova di tale deposito è data dalla ricevuta che viene rilasciata al momento della proposizione del ricorso per Cassazione.

L'istanza, da redigere secondo quanto contenuto nell'art. 18 D.Lgs. n. 546/1992 (non andranno, però, svolte argomentazioni in ordine al fumus boni iuris per le ragioni già supra esposte), deve essere sottoscritta dal difensore che presta il proprio patrocinio innanzi la Suprema Corte (dando luogo tale richiesta ad un sub procedimento funzionalmente collegato al processo di legittimità), con indicazione della categoria alla quale lo stesso appartiene (ai sensi dell'art. 12 del D.Lgs. n. 546/1992) e dell'indirizzo di posta elettronica certificata dello stesso. Si ritiene, inoltre, che non sia necessario il rilascio di una nuova procura, essendo il procedimento cautelare, appunto, un sub procedimento incidentale rispetto al giudizio di legittimità, sicchè il difensore può far riferimento a quella rilasciata in occasione di tale giudizio e contenuta nel ricorso introduttivo dello stesso.

Notificata l'istanza (con le modalità di cui all'art. 16, commi 2 e 3, D.Lgs. n. 564/1992) alle parti costituite, la stessa va depositata (in originale o in copia qualora sia stata consegnata o spedita per posta, con fotocopia della ricevuta di deposito o della spedizione con raccomandata a mezzo del servizio postale) va depositata nella segreteria della sezione della Commissione di secondo grado che ha pronunciato la sentenza gravata da ricorso per Cassazione.

Quanto ai tempi di deposito, si ritiene che lo stesso debba avvenire nei trenta giorni successivi alla notifica della stessa, secondo quanto prescritto dagli artt. 53 e 22 del D.Lgs. n. 546/1992.

Ne consegue, quindi, che la parte resistente (l'Amministrazione Finanziaria) si debba costituire secondo quanto previsto dal combinato disposto degli artt. 54 e 23 del D.Lgs. n. 546/1992.

Relativamente ai tempi di presentazione dell'istanza de qua, sembrerebbe che ciò debba avvenire prima della fissazione dell'udienza in Cassazione. Infatti, ai sensi dell'art. 377 c.p.c. (al quale rimanda l'art. 62 del D.Lgs. n. 546/1992) dell'udienza è data comunicazione dal cancelliere agli avvocati delle parti almeno venti giorni prima, mentre ex art. 62-bis, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992, il decreto di trattazione dell'istanza di sospensione deve essere comunicato alle parti almeno dieci giorni liberi prima. È evidente, pertanto, dalla lettura di tali due articoli come una volta fissata l'udienza in Cassazione non vi siano i tempi per la richiesta (e l'eventuale concessione) della sospensiva.

Per quanto concerne l'iter che conduce alla concessione o meno della sospensione, l'art. 62-bis ricalca quanto disposto dall'art. 52 D.Lgs. n. 546/1992 e, quindi, altresì, a quanto prescritto dall'art. 47 del medesimo D.Lgs. (si rinvia, pertanto, ai §§ 2.1 – 2.2 – 2.3) e, pertanto:

a) il presidente (di sezione) fissa con decreto la trattazione dell'istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile, disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima;

b) in caso di eccezionale urgenza, il presidente, previa delibazione del merito, può disporre con decreto motivato la sospensione dell'esecutività della sentenza fino alla pronuncia del collegio;

c) il collegio, sentite le parti in camera di consiglio e delibato il merito, provvede con ordinanza motivata non impugnabile;

d) la sospensione può essere subordinata alla prestazione della garanzia di cui all'art. 69, comma 2. Si applica la disposizione dell'art. 47, comma 8-bis (durante il periodo di sospensione cautelare, si applicano gli interessi al tasso previsto per la sospensione amministrativa).

Gli effetti della sospensione cessano alla data di pubblicazione della sentenza di Cassazione.

Prima della pubblicazione della sentenza il provvedimento cautelare non è, comunque, intangibile.

In caso di mutamento delle circostanze la Commissione, su istanza motivata di parte (quindi, non d'ufficio), potrà revocare o modificare il provvedimento cautelare, osservate, per quanto possibile, le forme di cui ai commi 1, 2, e 4 (sul punto, si rinvia al § 2.4.).

Osservazioni critiche alla disciplina

Il provvedimento con il quale le Commissioni tributarie si pronunciano sull'istanza di sospensione cautelare è fissato dal Legislatore nell' “ordinanza motivata non impugnabile”. La norma ha escluso qualsiasi rimedio di tipo impugnatorio contro la predetta ordinanza.

Con il comma 2-quater dell'art. 15 del D.Lgs. n. 546/1992 il Legislatore ha previsto che “con l'ordinanza che decide sulle istanze cautelari la commissione provvede sulle spese della relativa fase. La pronuncia delle spese conserva efficacia anche dopo il provvedimento che definisce il giudizio, salvo diversa statuizione espressa nella sentenza di merito”.

Come osservato da Illustre Dottrina (C. Glendi, “Fermenti legislativi processualtributaristici: lo schema di decreto delegato sul contenzioso”, in Corr. trib., n. 32/2015, pag. 2470 ss.), la previsione di un'autonoma pronuncia sulle spese, contro la quale non è previsto un gravame (in tal modo violando l'art. 111 della Costituzione) ed il riconoscimento di un'efficacia oltre il grado, salvo diversa statuizione espressa nella sentenza di merito, si pone “in netta contraddizione con le caratteristiche d'incidentalità e d'inautonomia, che connotano le preservate disposizioni del rimedio cautelare secondo l'art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992”.

Prestando, quindi, la norma il fianco a censure di legittimità costituzionale, si auspica un intervento normativo che prevede la possibilità di esperire il reclamo.

Riferimenti

Normativi:

Art. 15, comma 2-quater, D.Lgs. n. 546/1992

Art. 16 D.Lgs. n. 546/1992

Art. 18 D.Lgs. n. 546/1992

Art. 19 D.Lgs. n. 472/1997

Art. 22 D.Lgs. n. 546/1992

Art. 23 D.Lgs. n. 546/1992

Art. 26 D.Lgs. n. 546/1992

Art. 32 D.Lgs. n. 546/1992

Art. 37 D.Lgs. n. 546/1992

Art. 47 D.Lgs. n. 546/1992

Art. 49 D.Lgs. n. 546/1992

Art. 52 D.Lgs. n. 546/1992

Art. 53 D.Lgs. n. 546/1992

Art. 54 D.Lgs. n. 546/1992

Art. 62-bis D.Lgs. n. 546/1992

Art. 67-bis D.Lgs. n. 546/1992

Art. 68 D.Lgs. n. 546/1992

Art. 69 D.Lgs. n. 546/1992

Art. 337 c.p.c.

Art. 283 c.p.c.

Art. 152, comma 2, c.p.c.

D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156.

Giurisprudenza:

Cass. civ., 19 aprile 2016, n. 377;

Cass. civ., 25 febbraio 2016, n. 217;

CTR Lecce, 19 aprile 2016, n. 377

CTR Torino, 13 giugno 2014, n. 250

Cass. civ., sez. V, 9 aprile 2010, n. 8510

CTR Roma, 29 settembre 2010, n. 136

Corte cost., 9 giugno 2010, n. 217

CTR L'Aquila, 22 marzo 2008, n. 22

CTP Vicenza, 10 marzo 2008, n. 14

CTP Bologna. 13 luglio 2005

CTR Puglia, 27 agosto 2001

Corte cost., 21 gennaio 2000, n. 18

CTR Trieste, 16 dicembre 1999, n. 15

CTP Milano, 7 ottobre 1996

CTP Reggio Emilia, 5 luglio 1996, n. 1

CTP Bari, 4 maggio 1996, n. 1

CTR Veneto, 21 dicembre 2004, n. 68

CTP Rovigo, 17 luglio 1996, n. 18

CTP Salerno, 8 maggio 1996, n. 1

CTP Rimini, 20 luglio 1996

Prassi:

Agenzia delle Entrate, Circolare 30 dicembre 2015, n. 38/E

Risoluzione del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria del 9 dicembre 1997

Agenzia delle Entrate, Circolare 23 aprile 1996, n. 98/E

Ministero dell'Economia e delle Finanze, Decreto 21 maggio 2009

Agenzia delle Entrate, Circolare 31 luglio 2001, n. 73/E

Ministero dell'Economia e delle Finanze, Circolare 21 settembre 2011, n. 1/DF

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