Giudizio di appello
06 Marzo 2017
Inquadramento
In fase di aggiornamento autorale di prossima pubblicazione
Il giudizio di appello è instaurato a tutela della parte soccombente in primo grado che, impugnando la sentenza, può richiedere un riesame della controversia già decisa dalla CTP. La richiesta di riesame dinanzi alla CTR ha la funzione di realizzare il principio del doppio grado di giurisdizione, per cui il giudizio di secondo grado è caratterizzato dall'effetto devolutivo, in forza del quale la causa decisa dalla CTP passa alla piena cognizione del giudice di appello, il quale la esamina con gli stessi poteri di decisione del giudice che ha emesso la sentenza. I presupposti per impugnare la sentenza della CTP sono, essenzialmente, due:
In effetti, l'iniziativa per la proposizione dell'appello può essere presa solo dalle parti formali del giudizio concluso con la pronuncia contestata e, nello specifico, solo dalla parte che è risultata essere stata praticamente soccombente dinanzi alla CTP. Per valutare se una parte è soccombente bisogna riferirsi alla domanda proposta dalle parti in giudizio e quindi, nel giudizio tributario, all'accoglimento o al rigetto del ricorso. In questo senso, per esempio, il ricorrente che, in primo grado, si è visto accogliere la richiesta di annullamento dell'atto impugnato, ma che si è visto anche disattendere uno o più motivi di ricorso, non è legittimato a prendere l'iniziativa per appellare la sentenza di primo grado (in questo caso, si parla di soccombenza teorica o virtuale, che non legittima l'impugnazione). Quando il giudice di prime cure accoglie/respinge parzialmente il ricorso e, dunque, annulla/conferma solo in parte l'atto impugnato si configura una soccombenza reciproca, per cui entrambe le parti sono legittimate a proporre appello. L'appello, in genere, è un mezzo di impugnazione di tipo sostitutivo, ossia che apre un giudizio nel quale la CTR decide, nei limiti delle questioni devolute, il merito delle controversie già affrontate nel precedente grado di giudizio. L'essenza dell'appello quale gravame sostitutivo è di fondamentale importanza in quanto, anche se con motivi di contestazione è necessario criticare la sentenza, l'oggetto della domanda, la cui specificazione è richiesta a pena di inammissibilità dall'art. 53, D.Lgs. n. 546/1992, è sempre l'annullamento dell'atto impugnato innanzi alla CTP. In effetti, un atto di appello con cui si richieda il mero annullamento della sentenza, sarebbe dichiarato inammissibile dalla CTR, in quanto si considererebbe assente l'oggetto della domanda.
Giudice competente e termini di impugnazione
Sono assoggettabili all'appello tributario tutte le sentenze emesse dalle Commissioni Tributarie Provinciali. La competenza sul giudizio di gravame spetta alla CTR nella cui circoscrizione ha sede la CTP che ha emesso la sentenza impugnata - tale disposizione non si applica quando la parte contumace dimostri la nullità della notificazione dell'atto di appello e dell'effettiva ignoranza della pendenza del processo. Le sentenze delle Commissioni Tributarie Provinciali devono essere appellate entro un termine perentorio, che può essere “breve” o “lungo” in base al fatto che la sentenza da impugnare sia stata o meno notificata da una delle parti: in particolare, il primo è di 60 giorni dalla notifica della sentenza (c.d. termine breve), mentre il secondo è di sei mesi dalla data di pubblicazione della sentenza appellata (c.d. termine lungo). Per evitare di incorrere in possibili errori di calcolo dei termini, è bene precisare che dalla lettura combinata degli artt. 51 e 38, comma 3 D.lgs. 546/1992 e art. 327 c.p.c. emerge che indipendentemente dalla notificazione, l'appello non può essere proposto dopo il decorso di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza (). In altre parole, nel caso di sovrapposizione di termine “breve” e termine “lungo”, prevale quest'ultimo.
Sul computo dei termini valgono i principi generali di cui all'art. 155 c.p.c., dunque, in caso di scadenza in giorno festivo, il termine slitta al primo giorno feriale seguente. Inoltre, anche i termini di impugnazione tributaria sono sottoposti alla sospensione feriale che, a partire dal 2015, va dal 1° al 31 agosto (cioè 31 giorni).
Termine breve: l'appello deve essere presentato entro 60 giorni a decorrere dalla notifica della copia autentica della sentenza, che deve avvenire a cura delle parti nelle modalità previste dall'art. 16 del D.Lgs. n. 546/1992, ossia (prima del 26 marzo 2010 e dell'effetto delle modifiche apportate dal D.L. 40/2010, la notifica della sentenza era possibile solo mediante ufficiale giudiziario):
La notifica della sentenza ha “valenza bilaterale”, nel senso che il termine di 60 giorni inizia a decorrere sia per il soggetto notificante che per il notificato; questa circostanza assume particolare rilevanza nei casi di soccombenza reciproca e, dunque, di appello incidentale. In tal caso, infatti, sia l'appellante principale che l'appellato devono notificare il proprio atto alla controparte rispettando il termine breve.
Termine lungo: il termine di impugnazione decorrente dalla pubblicazione della sentenza è stato ridotto da un anno a sei mesi dall'art. 46, comma 10, l. n. 69/2009 per i giudizi istaurati dopo la data di entrata in vigore della predetta disposizione. L'Agenzia delle Entrate, nella circolare n. 17/E del 2010 si è espressa sostenendo che la nuova disposizione si applica ai processi incardinati in primo grado dal 4 luglio 2009, mentre per quelli incardinati prima, continua ad applicarsi il vecchio termine lungo (i.e., un anno). È importante sottolineare che il dies a quo coincide con il giorno in cui la sentenza è depositata nella segreteria della Commissione che l'ha pronunciata, senza che assuma alcun rilievo la comunicazione del relativo avviso da parte della segreteria, anche nell'ipotesi in cui la segreteria della commissione abbia omesso di comunicare alle parti costituite la data di trattazione della controversia e il dispositivo della sentenza (Cass. civ., sez. trib., 19112/2010). L'unico elemento essenziale per l'avvio del termine lungo, quindi, è il predetto deposito: tale adempimento deve essere attestato dalla firma e dalla data apposte sulla sentenza dal cancelliere. L'art. 53, D.Lgs. 546/1992 stabilisce che l'atto di appello deve sempre indicare:
Il ricorso in appello è inammissibile se manca o è assolutamente incerto uno degli elementi sopra indicati o se non è sottoscritto a norma dell'art. 18, comma 3 dello stesso D.lgs. 546/1992. Tuttavia, secondo un certo orientamento giurisprudenziale, l'omessa indicazione della Commissione Tributaria non è sufficiente a far dichiarare l'appello inammissibile, se sono presenti gli altri elementi per individuare la commissione competente (Comm. trib. reg. Sardegna, sez. IX, 20 marzo 2007, n.27). Anche riguardo all'indicazione degli estremi della sentenza impugnata, la giurisprudenza si è mostrata essere flessibile, laddove si è rilevato come si possa sopperire a un'insufficiente precisazione del provvedimento nel caso in cui ne risulti comunque possibile la facile identificazione (Cass. civ., 26 aprile 2001, n.6084). Come è evidente dalla formulazione dell'art. 53, la forma dell'atto di appello riprende, in parte, quella del ricorso per l'impugnazione di primo grado. In questo caso, tuttavia, l'”atto impugnato” è la sentenza pronunciata dal giudice di primo grado, mentre l'oggetto della domanda è l'annullamento dell'atto amministrativo presupposto. Ne deriva che l'appellante deve richiedere l'annullamento integrale o parziale della sentenza, a seconda che sia stato soccombente in toto o in parte e, per l'effetto, deve richiedere l'annullamento dell'atto contestato dinanzi alla CTP.
Tra gli elementi essenziali del ricorso in appello, oltre all'oggetto della domanda, rivestono particolare importanza i motivi specifici. Anche nel giudizio tributario, infatti, vige il principio per cui il giudice è vincolato alle domande delle parti e ai motivi prospettati, non potendo decidere extra petita, ossia accogliere una domanda non formulata o motivi non dedotti (la decisione del giudice di appello su una questione oggetto del giudizio di primo grado e non devoluta dalla parte appellante comporta la cassazione senza rinvio del relativo capo della sentenza impugnata, Cass. civ., 24 maggio 2001, n. 7088). Ne deriva che con i motivi specifici di impugnazione della sentenza, l'appellante delimita l'oggetto e l'ambito del riesame, denunciando gli errori in procedendo e in giudicando commessi dal giudice di primo grado: la CTR conosce la causa solo nei limiti di quanto “devoluto”, ovvero nei termini in cui le parti, censurando la sentenza impugnata e riproponendo le doglianze già sollevate in prima istanza, delineano il thema decidendum del processo (sul punto cfr. Cass. civ. n. 1200/2016 e sent/ord. n. 9558/2016)
Ulteriori indicazioni per la delimitazione della materia del contendere derivano degli artt. 56 e 57 del D.lgs. 546/1992. Tali norme, infatti, stabiliscono che:
Di conseguenza, in caso di soccombenza parziale, l'appellante è chiamato a devolvere i motivi accolti in primo grado e impugnare la sentenza, con specifici motivi, nelle parti in cui è stato soccombente. L'appello, quale mezzo di impugnazione a critica libera, può riguardare anche solo questioni processuali, a condizione (a pena di inammissibilità), che l'accoglimento di tali motivi comporti la remissione della lite in primo grado, ai sensi dell'art. 59, primo comma, D.Lgs. n. 546/1992.
Analogamente a quanto avviene in sede di stesura del ricorso introduttivo, l'atto d'appello può contenere, tra l'altro, la richiesta di discussione in pubblica udienza e la richiesta di sospensione dell'efficacia della sentenza impugnata. Inoltre, ai sensi dell'art. 52 del D.Lgs. n. 546/1992, come modificato dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156 (“C.d. riforma del sistema tributario”), l'appellante può chiedere alla CTR di sospendere in tutto o in parte l'esecutività della sentenza di CTP, se sussistono gravi e fondati motivi o, comunque, se dall'esecuzione della sentenza può derivargli un danno grave e irreparabile. Il presidente fissa con decreto la trattazione della istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima. Il collegio, sentite le parti in camera di consiglio e delibato il merito, provvede con ordinanza motivata non impugnabile.
Per quanto riguarda i requisiti formali, l'atto di appello deve essere sottoscritto dal difensore del contribuente. La sottoscrizione deve essere presente sia nell'originale notificato, spedito o consegnato alla controparte, sia nella copia depositata presso la segreteria della Commissione Tributaria adita.
Non è richiesta, infine, l'allegazione della sentenza impugnata, dato che il fascicolo di causa trasmesso dalla CTP alla CTR deve già contenere copia autentica della sentenza oggetto dell'impugnazione. L'atto che deve essere compiuto prima della scadenza del termine, per evitare la declaratoria di inammissibilità dell'appello, è la notifica dell'impugnazione, eseguita nei confronti della controparte con le modalità e nei luoghi di cui all'art. 16 e 17, D.Lgs. n. 546/1992. In particolare, l'appello va proposto con le stesse modalità del ricorso in primo grado ovvero nei seguenti modi:
Entro 30 giorni dalla proposizione dell'appello (sul computo dei giorni, cfr. n. 23589/2016) l'appellante, a pena di inammissibilità, deve costituirsi in giudizio mediante deposito o spedizione postale (con plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento) alla Commissione di un fascicolo di parte, contenente:
Per la costituzione in giudizio è necessario il pagamento di un contributo unificato. Dopo la costituzione in giudizio dell'appellante, la segreteria della CTR richiede alla segreteria della CTP la trasmissione del fascicolo del processo, che deve contenere copia autentica della sentenza di primo grado. Successivamente alla notifica dell'appello principale, l'appellato ha l'onere di costituirsi in giudizio mediante il deposito, presso la segreteria del giudice adito, delle controdeduzioni all'appello in tante copie quante sono le parti in causa. L'atto di controdeduzioni contiene l'esposizione delle difese in replica ai motivi dedotti dall'appellante e le eccezioni, processuali e di merito, che l'appellato intende sollevare. Inoltre, le controdeduzioni possono contenere anche l'appello incidentale (se ne ricorrono le condizioni) ovvero la riproposizione delle questioni assorbite in primo grado, per il c.d. “effetto devolutivo” dell'appello. L'appellato ha l'onere di costituirsi entro 60 giorni, tale termine non è, però, perentorio (Cass. civ., 10 febbraio 2010, n. 64; Cass. civ., 10 giugno 2009, n. 13331). La stessa mancata costituzione non comporta, per la parte resistente, altra conseguenza se non la perdita di talune possibilità di difesa (e.g., preclusione deposito di atti/documenti) e di ricezione delle comunicazioni (e.g. avviso di trattazione udienza, comunicazione del dispositivo). In caso di proposizione di appello incidentale, tuttavia, la costituzione deve essere sempre tempestiva, ossia entro il termine perentorio di 60 giorni dalla notifica dell'appello principale (Cass. civ., 14 gennaio 2011, n. 766). Il fascicolo dell'appellato, deve contenere:
L'appello incidentale può essere proposto solo da chi ne abbia interesse, ossia solo se la parte è risultata soccombente limitatamente ad alcune questioni, anche se pregiudiziali o preliminari rispetto a una decisione favorevole nel merito (Cass. civ., Ord. 23 febbraio 2012, n. 2752). Nel caso entrambe in cui entrambe le parti propongano appello, all'insaputa l'una dell'altra, sarà considerato principale quello notificato per primo, mentre quello notificato cronologicamente più tardi, diventa incidentale. Tra appello principale e incidentale tempestivo esiste una perfetta autonomia, pertanto l'inammissibilità dell'uno non inficia l'ammissibilità o la fondatezza dell'altro. Tale autonomia non si realizza tra appello principale e incidentale tardivo. Tale mezzo di impugnazione, che deve rispettare le stesse formalità (descritte sopra) degli artt. 53 e 54 del D.lgs. n. 542/1992, è quello proposto dalla parte che, ormai decaduta dal potere di appellare, viene rimessa in termini dalla proposizione dell'appello principale. In questi casi, se l'appello principale è dichiarato inammissibile, anche l'appello incidentale perde efficacia.
Ai sensi dell'art. 61, D.Lgs. n. 546/1992, nel procedimento di appello si applicano le norme dettate per il procedimento di primo grado, nei limiti di compatibilità. Pertanto, anche nel gravame di secondo il Presidente di Commissione assegna gli appelli alle sezioni, ben potendo, poi, disporre, in ogni momento, la riunione degli appelli che presentano stesso oggetto (i.e., stesso petitum) o un rapporto di “connessione” per identità delle questioni di fatto e/o di diritto, del fatto costitutivo o per pregiudizialità-dipendenza (P. Russo, Manuale di diritto tributario. Il processo tributario, Giuffrè Editore, 2013). La segreteria della Commissione comunica alle parti costituite la data fissata per la trattazione almeno 30 giorni “liberi” prima (calcolati, cioè, senza considerare giorno “di partenza” e “d'arrivo”). Il Presidente della sezione assegnataria dell'appello compie un esame preliminare dell'appello volto a valutarne l'ammissibilità e la procedibilità; nomina il relatore della causa e fissa l'udienza di trattazione.
La trattazione avviene, di regola, in camera di consiglio (i.e., in assenza delle parti e in modo non pubblico), salvo che non sia richiesta espressamente la trattazione in pubblica udienza, su istanza di parte, contestuale al ricorso (o ad altro atto processuale), ovvero formata con specifica richiesta separata, notificata alle controparti e depositata almeno 10 giorni “liberi” prima della data dell'udienza. In quest'ultimo caso, le parti sono ammesse alla discussione solo dopo la relazione di uno dei componenti del collegio giudicante. La Commissione decide sempre nel segreto della camera di consiglio. Il contribuente può produrre documenti fino a 20 giorni “liberi” prima dell'udienza (termine perentorio) e memorie illustrative fino a 10 giorni “liberi” prima (termine perentorio). In caso di trattazione in Camera di Consiglio, possono essere presentate memorie di replica entro 5 giorni “liberi” prima dell'udienza. La controversia è decisa con sentenza, la quale è resa pubblica mediante deposito del testo integrale della pronuncia presso la segreteria della Commissione, la quale provvede a comunicare alle parti (costituite) il dispositivo, entro 10 giorni dal predetto deposito. Secondo una regola generale, il giudice d'appello decide il merito della controversia con una sentenza che si sostituisce a quella pronunciata dal giudice di prime cure. Tuttavia, nei casi tassativamente indicati nell'art. 59, primo comma, del D.Lgs. n. 546/1992, la CTR rimette la causa alla Commissione Provinciale che ha emesso la sentenza impugnata.
In un ultimo caso, le sentenze del giudice di secondo grado possono essere fondate su motivi di mero rito attinenti al gravame: si tratta delle sentenze che dichiarano l'inammissibilità dell'appello o l'estinzione del giudizio di secondo grado. A tal proposito si rammenta che l'appello giudicato inammissibile non può essere riproposto in nessun caso e, pertanto, passa in giudicato la sentenza di merito impugnata. Riferimenti
Normativi D. Lgs. 24 settembre 2015, n. 156 Art. 53 ss., D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 Art. 327 c.p.c.
Giurisprudenza Cass. civ., sez. trib., 5 ottobre 2016, n. 19864 Cass. civ., sez. VI-T, 21 novembre 2016, n. 23589 Cass. civ., sez. trib., 18 ottobre 2011, n. 21546 Cass. civ., sez. trib., 6 settembre 2010, n. 19112 Cass. civ., sez. I, 10 febbraio 2010, n. 64 Cass. civ., sez. lav., 24 maggio 2001, n. 7088
Prassi Agenzia delle Entrate, Circolare 31 marzo 2010, n. 17/E
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