Giudizio di appello

Giammarco Galdieri
06 Marzo 2017

Il giudizio di appello è instaurato a tutela della parte soccombente in primo grado che, impugnando la sentenza, può richiedere un riesame della controversia già decisa dalla CTP.Il gravame è introdotto dall'atto di appello proposto perentoriamente nei 60 giorni successivi alla notifica della sentenza tra le parti, ovvero, in assenza di tale notifica, nei sei mesi successivi al deposito della sentenza presso la segreteria della Commissione che l'ha pronunciata. La legge indica gli elementi essenziali dell'atto di appello, richiesti a pena di inammissibilità. Per incardinare il processo, l'appellante è tenuto a notificare il ricorso a controparte, nelle forme (i.e., tramite ufficiale giudiziario, consegna diretta o spedizione postale) di legge, nonché a costituirsi in giudizio nei 30 giorni successivi alla notificazione. L'appellato, con le proprie controdeduzioni, può proporre anche appello incidentale, in caso di soccombenza reciproca.Previo esame preliminare su possibili cause di manifesta inammissibilità, nonché di sospensione, interruzione o estinzione del processo, il Presidente della sezione assegnataria del ricorso in appello fissa, con proprio decreto, la trattazione della controversia, comunicata alle parti costituite almeno 30 giorni prima della data indicata. La trattazione avviene, di regola, in camera di consiglio, salvo che le parti non richiedano la trattazione in pubblica udienza. La controversia è decisa con sentenza che, in genere, sostituisce quella di primo grado, tuttavia, in alcuni casi tassativi (art. 59, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992), il giudice di secondo grado può rimettere la causa alla commissione che ha emesso la sentenza impugnata. In caso di sentenza d'inammissibilità non è possibile riproporre appello in nessun caso e passa in giudicato la sentenza di merito impugnata.
Inquadramento

In fase di aggiornamento autorale di prossima pubblicazione

Il giudizio di appello è instaurato a tutela della parte soccombente in primo grado che, impugnando la sentenza, può richiedere un riesame della controversia già decisa dalla CTP.

La richiesta di riesame dinanzi alla CTR ha la funzione di realizzare il principio del doppio grado di giurisdizione, per cui il giudizio di secondo grado è caratterizzato dall'effetto devolutivo, in forza del quale la causa decisa dalla CTP passa alla piena cognizione del giudice di appello, il quale la esamina con gli stessi poteri di decisione del giudice che ha emesso la sentenza.

I presupposti per impugnare la sentenza della CTP sono, essenzialmente, due:

  • essere stati parte formale del giudizio che si è concluso con la sentenza che si intende appellare;
  • avere l'interesse a impugnare (c.d. soccombenza).

In effetti, l'iniziativa per la proposizione dell'appello può essere presa solo dalle parti formali del giudizio concluso con la pronuncia contestata e, nello specifico, solo dalla parte che è risultata essere stata praticamente soccombente dinanzi alla CTP. Per valutare se una parte è soccombente bisogna riferirsi alla domanda proposta dalle parti in giudizio e quindi, nel giudizio tributario, all'accoglimento o al rigetto del ricorso. In questo senso, per esempio, il ricorrente che, in primo grado, si è visto accogliere la richiesta di annullamento dell'atto impugnato, ma che si è visto anche disattendere uno o più motivi di ricorso, non è legittimato a prendere l'iniziativa per appellare la sentenza di primo grado (in questo caso, si parla di soccombenza teorica o virtuale, che non legittima l'impugnazione).

Quando il giudice di prime cure accoglie/respinge parzialmente il ricorso e, dunque, annulla/conferma solo in parte l'atto impugnato si configura una soccombenza reciproca, per cui entrambe le parti sono legittimate a proporre appello.

L'appello, in genere, è un mezzo di impugnazione di tipo sostitutivo, ossia che apre un giudizio nel quale la CTR decide, nei limiti delle questioni devolute, il merito delle controversie già affrontate nel precedente grado di giudizio.

L'essenza dell'appello quale gravame sostitutivo è di fondamentale importanza in quanto, anche se con motivi di contestazione è necessario criticare la sentenza, l'oggetto della domanda, la cui specificazione è richiesta a pena di inammissibilità dall'art. 53, D.Lgs. n. 546/1992, è sempre l'annullamento dell'atto impugnato innanzi alla CTP. In effetti, un atto di appello con cui si richieda il mero annullamento della sentenza, sarebbe dichiarato inammissibile dalla CTR, in quanto si considererebbe assente l'oggetto della domanda.

In evidenza: proposizione dell'appello dinanzi a giudice incompetente

Dottrina dominante, nonché parte della giurisprudenza, sostengono che dalla proposizione dell'appello dinanzi a un giudice incompetente derivi la declaratoria di incompetenza con conseguente translatio iudicii ex art. 50, c.p.c. e non la più grave inammissibilità del gravame.

Giudice competente e termini di impugnazione

Sono assoggettabili all'appello tributario tutte le sentenze emesse dalle Commissioni Tributarie Provinciali. La competenza sul giudizio di gravame spetta alla CTR nella cui circoscrizione ha sede la CTP che ha emesso la sentenza impugnata - tale disposizione non si applica quando la parte contumace dimostri la nullità della notificazione dell'atto di appello e dell'effettiva ignoranza della pendenza del processo.

Le sentenze delle Commissioni Tributarie Provinciali devono essere appellate entro un termine perentorio, che può essere “breve” o “lungo” in base al fatto che la sentenza da impugnare sia stata o meno notificata da una delle parti: in particolare, il primo è di 60 giorni dalla notifica della sentenza (c.d. termine breve), mentre il secondo è di sei mesi dalla data di pubblicazione della sentenza appellata (c.d. termine lungo).

Per evitare di incorrere in possibili errori di calcolo dei termini, è bene precisare che dalla lettura combinata degli artt. 51 e 38, comma 3 D.lgs. 546/1992 e art. 327 c.p.c. emerge che indipendentemente dalla notificazione, l'appello non può essere proposto dopo il decorso di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza (). In altre parole, nel caso di sovrapposizione di termine “breve” e termine “lungo”, prevale quest'ultimo.

Esempio

la CTP con sentenza pubblicata il 10 settembre 2015 rigetta integralmente il ricorso del contribuente.

Caso A - l'Ufficio notifica al contribuente la sentenza della CTP, il 15 settembre:

In questo caso, l'ultimo giorno a disposizione del contribuente per la proposizione dell'appello è il 14 novembre 2015 (15 settembre 2015 + 60 giorni).

Caso B - l'Ufficio non notifica la sentenza della CTP:

In questo caso, l'ultimo giorno a disposizione del contribuente per la proposizione dell'appello è il 10 marzo 2016 (10 settembre 2015 + 6 mesi).

Caso C - l'Ufficio notifica la sentenza il 15 febbraio 2016:

Fuorviati dalla notificazione, si potrebbe essere indotti in errore e calcolare quale termine per la proposizione dell'appello il 15 aprile 2016 (ossia 60 giorni dopo la data della notifica). Tuttavia, in applicazione dell'art. 327, c.p.c., l'ultimo giorno utile per il contribuente per la proposizione dell'appello è perentoriamente il 10 marzo 2016, in quanto termine di decadenza dei sei mesi dalla pubblicazione della sentenza (sul punto, Cass., 27 marzo 1990, n. 2475).

Sul computo dei termini valgono i principi generali di cui all'art. 155 c.p.c., dunque, in caso di scadenza in giorno festivo, il termine slitta al primo giorno feriale seguente. Inoltre, anche i termini di impugnazione tributaria sono sottoposti alla sospensione feriale che, a partire dal 2015, va dal 1° al 31 agosto (cioè 31 giorni).

Termine breve: l'appello deve essere presentato entro 60 giorni a decorrere dalla notifica della copia autentica della sentenza, che deve avvenire a cura delle parti nelle modalità previste dall'art. 16 del D.Lgs. n. 546/1992, ossia (prima del 26 marzo 2010 e dell'effetto delle modifiche apportate dal D.L. 40/2010, la notifica della sentenza era possibile solo mediante ufficiale giudiziario):

  • con ufficiale giudiziario a norma dell'art. 137 e ss. c.p.c.;
  • a mezzo del servizio postale mediante spedizione della sentenza in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento;
  • se il soggetto notificante è il contribuente, mediante consegna diretta all'ufficio dell'amministrazione finanziaria nella persona dell'impiegato addetto che ne rilascia ricevuta sulla copia;
  • se il soggetto notificante è l'Ufficio, anche a mezzo del messo comunale o di un messo autorizzato dall'amministrazione finanziaria

La notifica della sentenza ha “valenza bilaterale”, nel senso che il termine di 60 giorni inizia a decorrere sia per il soggetto notificante che per il notificato; questa circostanza assume particolare rilevanza nei casi di soccombenza reciproca e, dunque, di appello incidentale. In tal caso, infatti, sia l'appellante principale che l'appellato devono notificare il proprio atto alla controparte rispettando il termine breve.

Termine lungo: il termine di impugnazione decorrente dalla pubblicazione della sentenza è stato ridotto da un anno a sei mesi dall'art. 46, comma 10, l. n. 69/2009 per i giudizi istaurati dopo la data di entrata in vigore della predetta disposizione. L'Agenzia delle Entrate, nella circolare n. 17/E del 2010 si è espressa sostenendo che la nuova disposizione si applica ai processi incardinati in primo grado dal 4 luglio 2009, mentre per quelli incardinati prima, continua ad applicarsi il vecchio termine lungo (i.e., un anno).

È importante sottolineare che il dies a quo coincide con il giorno in cui la sentenza è depositata nella segreteria della Commissione che l'ha pronunciata, senza che assuma alcun rilievo la comunicazione del relativo avviso da parte della segreteria, anche nell'ipotesi in cui la segreteria della commissione abbia omesso di comunicare alle parti costituite la data di trattazione della controversia e il dispositivo della sentenza (Cass. civ., sez. trib., 19112/2010). L'unico elemento essenziale per l'avvio del termine lungo, quindi, è il predetto deposito: tale adempimento deve essere attestato dalla firma e dalla data apposte sulla sentenza dal cancelliere.

Contenuto e forma dell'appello principale

L'art. 53, D.Lgs. 546/1992 stabilisce che l'atto di appello deve sempre indicare:

  1. la CTR cui è diretto;
  2. l'appellante e le altre parti nei cui confronti è diretto l'appello. Si ritiene che le informazioni necessarie per l'identificazione delle parti siano quelle indicate dall'art. 18, D.lgs. 546/1992.
  3. gli estremi della sentenza impugnata;
  4. l'esposizione sommaria dei fatti;
  5. l'oggetto della domanda;
  6. i motivi specifici dell'impugnazione.

Il ricorso in appello è inammissibile se manca o è assolutamente incerto uno degli elementi sopra indicati o se non è sottoscritto a norma dell'art. 18, comma 3 dello stesso D.lgs. 546/1992. Tuttavia, secondo un certo orientamento giurisprudenziale, l'omessa indicazione della Commissione Tributaria non è sufficiente a far dichiarare l'appello inammissibile, se sono presenti gli altri elementi per individuare la commissione competente (Comm. trib. reg. Sardegna, sez. IX, 20 marzo 2007, n.27). Anche riguardo all'indicazione degli estremi della sentenza impugnata, la giurisprudenza si è mostrata essere flessibile, laddove si è rilevato come si possa sopperire a un'insufficiente precisazione del provvedimento nel caso in cui ne risulti comunque possibile la facile identificazione (Cass. civ., 26 aprile 2001, n.6084).

Come è evidente dalla formulazione dell'art. 53, la forma dell'atto di appello riprende, in parte, quella del ricorso per l'impugnazione di primo grado. In questo caso, tuttavia, l'”atto impugnato” è la sentenza pronunciata dal giudice di primo grado, mentre l'oggetto della domanda è l'annullamento dell'atto amministrativo presupposto. Ne deriva che l'appellante deve richiedere l'annullamento integrale o parziale della sentenza, a seconda che sia stato soccombente in toto o in parte e, per l'effetto, deve richiedere l'annullamento dell'atto contestato dinanzi alla CTP.

Tra gli elementi essenziali del ricorso in appello, oltre all'oggetto della domanda, rivestono particolare importanza i motivi specifici. Anche nel giudizio tributario, infatti, vige il principio per cui il giudice è vincolato alle domande delle parti e ai motivi prospettati, non potendo decidere extra petita, ossia accogliere una domanda non formulata o motivi non dedotti (la decisione del giudice di appello su una questione oggetto del giudizio di primo grado e non devoluta dalla parte appellante comporta la cassazione senza rinvio del relativo capo della sentenza impugnata, Cass. civ., 24 maggio 2001, n. 7088).

Ne deriva che con i motivi specifici di impugnazione della sentenza, l'appellante delimita l'oggetto e l'ambito del riesame, denunciando gli errori in procedendo e in giudicando commessi dal giudice di primo grado: la CTR conosce la causa solo nei limiti di quanto “devoluto”, ovvero nei termini in cui le parti, censurando la sentenza impugnata e riproponendo le doglianze già sollevate in prima istanza, delineano il thema decidendum del processo (sul punto cfr. Cass. civ. n. 1200/2016 e sent/ord. n. 9558/2016)

Ulteriori indicazioni per la delimitazione della materia del contendere derivano degli artt. 56 e 57 del D.lgs. 546/1992. Tali norme, infatti, stabiliscono che:

  • le questioni non accolte nella sentenza della CTP, e che non sono specificatamente riproposte in appello, si intendono rinunciate formando il c.d. giudicato interno (art. 56);
  • nel giudizio di appello, non possono proporsi domande nuove, né nuove eccezioni, salvo quelle rilevabili d'ufficio (art. 57).

Di conseguenza, in caso di soccombenza parziale, l'appellante è chiamato a devolvere i motivi accolti in primo grado e impugnare la sentenza, con specifici motivi, nelle parti in cui è stato soccombente.

L'appello, quale mezzo di impugnazione a critica libera, può riguardare anche solo questioni processuali, a condizione (a pena di inammissibilità), che l'accoglimento di tali motivi comporti la remissione della lite in primo grado, ai sensi dell'art. 59, primo comma, D.Lgs. n. 546/1992.

Analogamente a quanto avviene in sede di stesura del ricorso introduttivo, l'atto d'appello può contenere, tra l'altro, la richiesta di discussione in pubblica udienza e la richiesta di sospensione dell'efficacia della sentenza impugnata.

Inoltre, ai sensi dell'art. 52 del D.Lgs. n. 546/1992, come modificato dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156 (“C.d. riforma del sistema tributario”), l'appellante può chiedere alla CTR di sospendere in tutto o in parte l'esecutività della sentenza di CTP, se sussistono gravi e fondati motivi o, comunque, se dall'esecuzione della sentenza può derivargli un danno grave e irreparabile.

Il presidente fissa con decreto la trattazione della istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima. Il collegio, sentite le parti in camera di consiglio e delibato il merito, provvede con ordinanza motivata non impugnabile.

Per quanto riguarda i requisiti formali, l'atto di appello deve essere sottoscritto dal difensore del contribuente. La sottoscrizione deve essere presente sia nell'originale notificato, spedito o consegnato alla controparte, sia nella copia depositata presso la segreteria della Commissione Tributaria adita.

Appello proposto dall'Ufficio

Nel caso di appello proposto dall'ufficio, la sottoscrizione deve essere apposta dal direttore titolare o da altro funzionario munito di apposita delega, senza la necessità di produrre apposita procura, salvo il diritto del contribuente a eccepire e dimostrare l'usurpazione del potere del firmatario (

ex multiis

,

Cass. civ., 18 ottobre 2011, n. 21546

).

Non è richiesta, infine, l'allegazione della sentenza impugnata, dato che il fascicolo di causa trasmesso dalla CTP alla CTR deve già contenere copia autentica della sentenza oggetto dell'impugnazione.

Modalità di proposizione dell'appello

L'atto che deve essere compiuto prima della scadenza del termine, per evitare la declaratoria di inammissibilità dell'appello, è la notifica dell'impugnazione, eseguita nei confronti della controparte con le modalità e nei luoghi di cui all'art. 16 e 17, D.Lgs. n. 546/1992.

In particolare, l'appello va proposto con le stesse modalità del ricorso in primo grado ovvero nei seguenti modi:

  • in doppio originale, tramite ufficiale giudiziario, che procede a consegnare copia del ricorso al resistente, attestando tale attività nella relazione di notifica sull'originale ex art. 137 e ss., c.p.c.;
  • con spedizione postale dell'originale del ricorso in plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento (sul punto, cfr. sent. n. 19864/2016);
  • tramite consegna diretta dell'originale (art. 16, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992)
Costituzione in giudizio dell'appellante

Entro 30 giorni dalla proposizione dell'appello (sul computo dei giorni, cfr. n. 23589/2016) l'appellante, a pena di inammissibilità, deve costituirsi in giudizio mediante deposito o spedizione postale (con plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento) alla Commissione di un fascicolo di parte, contenente:

  • l'appello originale recante la relata di notifica (in caso si proceda a mezzo ufficiale giudiziario) o in copia certificata conforme all'originale dal difensore, unitamente alla copia della ricevuta di deposito (in caso di consegna diretta) o spedizione (in caso d'invio postale il ricorrente può depositare l'avviso di ricevimento a riprova del buon fine della notifica dell'appello anche dopo la costituzione in giudizio, ma entro la data di pubblica udienza);
  • gli ulteriori documenti che si ritiene di produrre in giudizio;
  • la nota di iscrizione a ruolo, secondo il modello ministeriale (www.finanze.it).

Per la costituzione in giudizio è necessario il pagamento di un contributo unificato.

Dopo la costituzione in giudizio dell'appellante, la segreteria della CTR richiede alla segreteria della CTP la trasmissione del fascicolo del processo, che deve contenere copia autentica della sentenza di primo grado.

Costituzione dell'appellato, controdeduzioni e appello incidentale

Successivamente alla notifica dell'appello principale, l'appellato ha l'onere di costituirsi in giudizio mediante il deposito, presso la segreteria del giudice adito, delle controdeduzioni all'appello in tante copie quante sono le parti in causa. L'atto di controdeduzioni contiene l'esposizione delle difese in replica ai motivi dedotti dall'appellante e le eccezioni, processuali e di merito, che l'appellato intende sollevare. Inoltre, le controdeduzioni possono contenere anche l'appello incidentale (se ne ricorrono le condizioni) ovvero la riproposizione delle questioni assorbite in primo grado, per il c.d. “effetto devolutivo” dell'appello.

L'appellato ha l'onere di costituirsi entro 60 giorni, tale termine non è, però, perentorio (Cass. civ., 10 febbraio 2010, n. 64; Cass. civ., 10 giugno 2009, n. 13331). La stessa mancata costituzione non comporta, per la parte resistente, altra conseguenza se non la perdita di talune possibilità di difesa (e.g., preclusione deposito di atti/documenti) e di ricezione delle comunicazioni (e.g. avviso di trattazione udienza, comunicazione del dispositivo).

In caso di proposizione di appello incidentale, tuttavia, la costituzione deve essere sempre tempestiva, ossia entro il termine perentorio di 60 giorni dalla notifica dell'appello principale (Cass. civ., 14 gennaio 2011, n. 766).

Il fascicolo dell'appellato, deve contenere:

  • le controdeduzioni in tante copie quante sono le parti in giudizio;
  • i documenti che intende produrre secondo le disposizioni dell'art. 23, D.lgs. 546/1992

L'appello incidentale può essere proposto solo da chi ne abbia interesse, ossia solo se la parte è risultata soccombente limitatamente ad alcune questioni, anche se pregiudiziali o preliminari rispetto a una decisione favorevole nel merito (Cass. civ., Ord. 23 febbraio 2012, n. 2752). Nel caso entrambe in cui entrambe le parti propongano appello, all'insaputa l'una dell'altra, sarà considerato principale quello notificato per primo, mentre quello notificato cronologicamente più tardi, diventa incidentale.

Tra appello principale e incidentale tempestivo esiste una perfetta autonomia, pertanto l'inammissibilità dell'uno non inficia l'ammissibilità o la fondatezza dell'altro. Tale autonomia non si realizza tra appello principale e incidentale tardivo. Tale mezzo di impugnazione, che deve rispettare le stesse formalità (descritte sopra) degli artt. 53 e 54 del D.lgs. n. 542/1992, è quello proposto dalla parte che, ormai decaduta dal potere di appellare, viene rimessa in termini dalla proposizione dell'appello principale. In questi casi, se l'appello principale è dichiarato inammissibile, anche l'appello incidentale perde efficacia.

In evidenza

La logica sottostante è che la parte proponente appello tardivo, in realtà, non sarebbe interessata alla riforma della sentenza, visto che aveva lasciato decorrere inutilmente i termini di impugnazione.

Dall'assegnazione della controversia alla decisione

Ai sensi dell'art. 61, D.Lgs. n. 546/1992, nel procedimento di appello si applicano le norme dettate per il procedimento di primo grado, nei limiti di compatibilità. Pertanto, anche nel gravame di secondo il Presidente di Commissione assegna gli appelli alle sezioni, ben potendo, poi, disporre, in ogni momento, la riunione degli appelli che presentano stesso oggetto (i.e., stesso petitum) o un rapporto di “connessione” per identità delle questioni di fatto e/o di diritto, del fatto costitutivo o per pregiudizialità-dipendenza (P. Russo, Manuale di diritto tributario. Il processo tributario, Giuffrè Editore, 2013).

La segreteria della Commissione comunica alle parti costituite la data fissata per la trattazione almeno 30 giorni “liberi” prima (calcolati, cioè, senza considerare giorno “di partenza” e “d'arrivo”).

Il Presidente della sezione assegnataria dell'appello compie un esame preliminare dell'appello volto a valutarne l'ammissibilità e la procedibilità; nomina il relatore della causa e fissa l'udienza di trattazione.

La trattazione avviene, di regola, in camera di consiglio (i.e., in assenza delle parti e in modo non pubblico), salvo che non sia richiesta espressamente la trattazione in pubblica udienza, su istanza di parte, contestuale al ricorso (o ad altro atto processuale), ovvero formata con specifica richiesta separata, notificata alle controparti e depositata almeno 10 giorni “liberi” prima della data dell'udienza. In quest'ultimo caso, le parti sono ammesse alla discussione solo dopo la relazione di uno dei componenti del collegio giudicante. La Commissione decide sempre nel segreto della camera di consiglio.

Il contribuente può produrre documenti fino a 20 giorni “liberi” prima dell'udienza (termine perentorio) e memorie illustrative fino a 10 giorni “liberi” prima (termine perentorio). In caso di trattazione in Camera di Consiglio, possono essere presentate memorie di replica entro 5 giorni “liberi” prima dell'udienza.

La controversia è decisa con sentenza, la quale è resa pubblica mediante deposito del testo integrale della pronuncia presso la segreteria della Commissione, la quale provvede a comunicare alle parti (costituite) il dispositivo, entro 10 giorni dal predetto deposito.

Secondo una regola generale, il giudice d'appello decide il merito della controversia con una sentenza che si sostituisce a quella pronunciata dal giudice di prime cure. Tuttavia, nei casi tassativamente indicati nell'art. 59, primo comma, del D.Lgs. n. 546/1992, la CTR rimette la causa alla Commissione Provinciale che ha emesso la sentenza impugnata.

In evidenza: riassunzione ex officio

In questi casi non è necessaria la riassunzione a istanza di parte, considerato che dopo il passaggio in giudicato della sentenza, la Segreteria della CTR, nei successivi 30 giorni, trasmette d'ufficio il fascicolo del processo alla Segreteria della CTP, innanzi alla quale prosegue il processo.

In un ultimo caso, le sentenze del giudice di secondo grado possono essere fondate su motivi di mero rito attinenti al gravame: si tratta delle sentenze che dichiarano l'inammissibilità dell'appello o l'estinzione del giudizio di secondo grado. A tal proposito si rammenta che l'appello giudicato inammissibile non può essere riproposto in nessun caso e, pertanto, passa in giudicato la sentenza di merito impugnata.

Riferimenti

Normativi

D. Lgs. 24 settembre 2015, n. 156

Art. 53 ss., D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546

Art. 327 c.p.c.

Giurisprudenza

Cass. civ., sez. trib., 5 ottobre 2016, n. 19864

Cass. civ., sez. VI-T, 21 novembre 2016, n. 23589

Cass. civ., sez. trib., 18 ottobre 2011, n. 21546

Cass. civ., sez. trib., 6 settembre 2010, n. 19112

Cass. civ., sez. I, 10 febbraio 2010, n. 64

Cass. civ., sez. lav., 24 maggio 2001, n. 7088

Prassi

Agenzia delle Entrate, Circolare 31 marzo 2010, n. 17/E

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