Giudizio di rinvio
03 Giugno 2015
Inquadramento
Il giudizio di rinvio costituisce la fase “rescissoria”, in cui si esamina il merito della causa, del precedente giudizio di Cassazione, che ha annullato la sentenza impugnata (fase “rescindente”). In ambito tributario, il processo di rinvio è disciplinato dall'art. 63 D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. La parte interessata deve riassumere il giudizio entro il termine perentorio di un anno (nello schema di decreto legislativo recante “misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario”, approvato in via definitiva dal Governo il 22 settembre 2015, il novellato comma 1 dell'art. 63 del D. Lgs. n. 546/92 prevede, a partire dal primo gennaio 2016, un termine ridotto di sei mesi, per la riassunzione del giudizio) dalla pubblicazione della sentenza di cassazione con rinvio, nei confronti di tutte le altre parti personalmente, e nelle forme previste per il procedimento davanti alla Commissione tributaria a cui il processo è rinviato. Le parti conservano la stessa posizione processuale che avevano nel procedimento in cui è stata pronunciata la sentenza cassata e non possono formulare richieste diverse da quelle espresse in tale procedimento, salvo gli adeguamenti imposti dalla pronuncia del giudice di legittimità. Ai sensi dell'art. 384 c.p.c., il giudice del rinvio deve conformarsi al principio di diritto affermato dalla Suprema Corte. Il rinvio conseguente i vizi di cui ai nn. 3 e 5 dell'art. 360 c.p.c. (c.d. “proprio”) ha un carattere “prosecutorio”, rappresentando il proseguimento del giudizio della Cassazione, finalizzato all'emanazione di una nuova sentenza che statuirà direttamente sulle domande proposte dalle parti. Negli altri casi, il rinvio (c.d. “improprio”) ha un carattere “restitutorio”, poiché il processo retrocede alla fase in cui si è verificato il vizio procedimentale. In base al secondo comma dell'art. 63 D.Lgs. n. 546/1992, se la riassunzione non è effettuata tempestivamente, o se per una qualsiasi causa si verifica l'estinzione del giudizio di rinvio, “l'intero processo si estingue”, con conseguente definitività dell'atto impositivo impugnato ed esigibilità del tributo. Ne consegue la caducazione sia della sentenza di primo grado, sostituita da quella di appello, sia della sentenza di secondo grado, annullata dalla Cassazione. Sopravvivono soltanto le parti delle sentenze non oggetto di impugnazione e, quindi, coperte dal giudicato c.d. “interno”, e le questioni che costituiscono il necessario presupposto logico – giuridico della pronuncia di annullamento della Suprema Corte (giudicato c.d. “implicito”). Le questioni c.d. “assorbite”, invece, devono essere riproposte al giudice del rinvio, dalla parte che vi ha interesse, altrimenti si intendono rinunciate. Premessa
Il giudizio di rinvio, dopo la cassazione della sentenza impugnata, costituisce una fase ulteriore dell'originario processo che si svolge davanti al giudice al quale la Suprema Corte ha rimesso la causa. Eccetto le fattispecie di cassazione senza rinvio, per le ragioni processuali di cui all'art. 382 c.p.c., nonché di cassazione sostitutiva nel merito ai sensi dell'art. 384, comma 2, c.p.c., la Corte cassa con rinvio, cioè annulla la decisione gravata con rimessione della causa ad altro giudice del merito, che provvederà alla pronuncia di una nuova sentenza destinata a sostituirsi a quella cassata. Il giudizio di rinvio, però, non è una prosecuzione dell'appello ed è circoscritto, in linea generale, alla valutazione dei fatti di causa in osservanza del principio di diritto enunciato dal giudice delle leggi. Per tale motivo, le parti non possono sollevare nuove questioni rispetto a quelle originariamente contestate (le parti, però, possono formulare nuove tesi difensive, se non si alterano i temi di decisione, cfr. Cass. civ., sez. trib., 4 luglio 2014, n. 15330). Il giudizio di rinvio in ambito tributario
Nell'ambito del contenzioso tributario, il processo di rinvio è disciplinato dall'art. 63 D.Lgs. n. 546/1992, ed in via residuale dalle norme del codice di procedura civile. Se il termine per la riassunzione non viene rispettato, o se si verifica una causa di estinzione del giudizio riassunto, l'intero processo si estingue, con il definitivo consolidamento del provvedimento impositivo impugnato. Il processo di rinvio può essere così schematizzato:
Riassunzione del giudizio
Il comma 3 dell'art. 63, D.Lgs. n. 546/1992 stabilisce che in sede di rinvio si osservano le forme che regolano la disciplina del processo avanti alla Commissione tributaria (provinciale o regionale) alla quale il processo è rinviato, “in quanto applicabili”, vale a dire con gli opportuni adattamenti. L'atto di riassunzione, quindi, deve essere redatto come un ricorso introduttivo del giudizio o un appello, ai sensi degli artt. 18, 20 e 53, D.Lgs. n. 546/1992. Successivamente alla notifica, la parte istante deve provvedere alla costituzione in giudizio, secondo gli artt. 22 e 53, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992. La mancata osservanza del termine perentorio per la riassunzione determina l'estinzione dell'intero processo e la definitività dell'atto impositivo.
Ai fini della riassunzione del processo non è necessario il conferimento di un'ulteriore procura, in quanto il rinvio determina la continuazione del giudizio conclusosi con la sentenza cassata (cfr. Cass. 6 ottobre 2004, n. 19937 e Cass. 1 aprile 2007, n. 7983). L'art. 63, D.Lgs. n. 546/1992, impone che la riassunzione venga effettuata da ciascuna parte nei confronti di tutte le altre e, pertanto, se instaurato solo nei confronti di una, il giudizio può legittimamente proseguire, ai sensi degli artt. 331 e 332 c.p.c., se il giudice adito ordina l'integrazione del contraddittorio e la parte intimata ottempera tale comando. L'atto di riassunzione deve essere notificato alle parti personalmente, quindi presso la loro residenza o sede, e non al domicilio eletto ex art. 17 D.Lgs. n. 546/1992. Pertanto, la notifica eseguita al domiciliatario o al difensore costituito nelle pregresse fasi di merito, anziché alla parte personalmente, è nulla, ma non inesistente, data la possibilità di ricollegare tali soggetti con precedenti designazioni della parte stessa. Ne consegue che, in tale ipotesi, il giudice del rinvio non può dichiarare l'estinzione del processo, ma deve ordinare la rinnovazione della notifica ai sensi dell'art. 291 c.p.c., salvo che la parte intimata non si sia già costituita in giudizio, sanando la nullità (cfr., Cass. civ., sez. trib., 30 marzo 2007, n. 7970 e Cass. civ., sez. trib., 1 dicembre 1998, n. 12197).
L'art. 63 D.Lgs. n. 546/1992 dispone che le parti conservino la stessa posizione processuale che avevano nel procedimento in cui è stata pronunciata la sentenza cassata e che non possano formulare richieste diverse da quelle espresse in tale procedimento, salvo gli adeguamenti imposti dalla sentenza di cassazione.
Pertanto, il giudizio di rinvio ha un carattere “chiuso” (cfr. Cass. civ., sez. I, 7 marzo 2011, n. 5381; Cass. civ., sez. I, 9 gennaio 2009, n. 341; Cass. civ., sez. lav., 17 febbraio 2004, n. 3109), nel senso che le parti non possono ampliare il thema decidendum, produrre nuovi documenti (nel giudizio di rinvio è ammessa la produzione di nuovi documenti se sono decisivi e la parte non ha potuto produrli prima per causa di forza maggiore, cfr. Cass. civ., sez. VI, 29 settembre 2014, n. 20535), chiedere nuovi mezzi di prova, salvo che ciò sia reso necessario dalle statuizioni della Cassazione. Il processo riassunto, infatti, è preordinato esclusivamente a sostituire la sentenza annullata con un'altra pronuncia, sulla base degli stessi presupposti di fatto della decisione cassata, e nel rispetto del principio di diritto enunciato dal giudice di legittimità. Il carattere “chiuso” del processo di rinvio esclude che possano essere sollevate questioni rilevabili d'ufficio, ma non considerate in sede di legittimità (cfr. Cass. civ., sez. lav., 21 agosto 2004, n. 16518), e preclude la proposizione di un'eventuale querela incidentale di falso contro documenti già acquisiti nella fase processuale definita con la sentenza poi cassata (non avrebbe, peraltro, effetto neppure l'accoglimento della querela di falso proposta in via principale ovvero in altra sede processuale, atteso che, in nessun caso, tale accoglimento potrebbe avere riflessi diretti nel giudizio di rinvio, nel quale il documento sia stato prodotto e non tempestivamente impugnato ai sensi degli artt. 221 e ss. del c.p.c..).
Le parti, però, possono far valere il mutamento della legge posta a fondamento del ragionamento della Cassazione (cfr. Cass. civ., sez. I, 23 marzo 2001, n. 4176), essendo consentite, in tal caso, ulteriori attività assertive o probatorie, e dunque nuove conclusioni. Rileva, altresì, la sopravvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma alla base della sentenza cassata (cfr. Cass. civ., sez. lav., 9 luglio 2008, n. 18824). Il revirement della giurisprudenza di legittimità, invece, è irrilevante per il giudice del rinvio, che dovrà attenersi al principio di diritto contenuto nella pronuncia della Cassazione anche se, nelle more del giudizio riassunto, è venuta meno l'interpretazione giurisprudenziale della norma applicata. Al giudice del rinvio, quindi, non è consentito sindacare l'esattezza del principio affermato dal giudice di legittimità, neppure se il nuovo indirizzo interpretativo derivi dalle Sezioni Unite (cfr. Cass. civ., sez. I, 8 ottobre 1999, n. 11290; Cass. civ., 21 agosto 1994, n. 16518; Cass. civ., sez. III, 31 luglio 2006, n. 17442; Cass. civ., 25 gennaio 2013, n. 4049). Il vincolo del principio di diritto
Il giudice del rinvio, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., deve conformarsi al principio di diritto affermato dalla Suprema Corte, altrimenti la sua decisione è impugnabile, per violazione di legge. La cognizione di tale giudice è, però, strettamente connessa al motivo del rinvio ovvero al vizio censurato dalla Cassazione.
In caso di:
In base ai motivi di ricorso per Cassazione, si distinguono due tipi di rinvio:
- errata interpretazione delle norme sulla giurisdizione; La giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 27 febbraio 2008, n. 5087) ritiene che il rinvio “proprio” sia regolato dal primo comma dell'art. 384 c.p.c, e che abbia una funzione c.d. “prosecutoria”, poiché finalizzato ad una nuova sentenza di merito che sostituisca quella cassata, in applicazione dei criteri fissati dalla Cassazione o previa correzione dei vizi motivazionali da quest'ultima riscontrati. Il rinvio “improprio” è, invece, quello di cui al terzo comma dell'art. 384 c.p.c., ed ha un carattere c.d. “restitutorio”, in quanto determinato da un error in procedendo, che impone la regressione del processo alla fase in cui si è verificato tale vizio, con limiti piuttosto contenuti per il giudice di rinvio, costituiti da quelle direttive del diritto processuale che la Suprema Corte ha ritenuto violate dalla sentenza cassata. La mancata o tardiva riassunzione della causa determinano, ai sensi dell'art. 63, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992, l'estinzione dell'intero processo, con conseguente definitività dell'atto impugnato ed esigibilità del tributo (lo schema di decreto legislativo recante “misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario”, approvato in via definitiva dal Governo il 22 settembre 2015, ha introdotto la lettera c-bis) all'art. 68, comma 1, del D. Lgs. n. 546/92, proprio allo scopo di precisare che, dopo la sentenza di cassazione con rinvio, è dovuto l'importo esigibile in pendenza del giudizio di primo grado, mentre in caso di mancata riassunzione si dovrà versare l'intero importo indicato nell'atto impositivo). Analoghi effetti comporta l'estinzione del giudizio di rinvio per altre cause (ad esempio, per l'intervenuta rinuncia). L'estinzione del processo, derivante dall'omessa o intempestiva riassunzione, opera di diritto e può essere accertata, incidentalmente, anche da un giudice diverso da quello del rinvio (cfr. Cass. civ., sez. trib., 11 dicembre 2012, n. 22548). Tale estinzione determina, automaticamente, la caducazione di tutte le sentenze emesse nel corso del procedimento e quindi travolge anche l'eventuale pronuncia del giudice di merito di annullamento dell'atto impositivo. Tale effetto, nel caso di rinvio in senso “proprio”, deriva dal fatto che il giudizio riassunto non costituisce una vera prosecuzione della pregressa fase di merito. Non è, quindi, destinato a riformare o confermare la sentenza di primo grado, ma rappresenta un'autonoma fase, che ha natura “rescissoria” (ovviamente nei limiti della pronuncia “rescindente”), funzionale all'emanazione di una sentenza che statuisce direttamente sulle domande proposte dalle parti (in tal senso si è espressa la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza 28 gennaio 2005, n. 18).
Nel processo tributario, quindi, non è applicabile l'art. 310, comma 1, c.p.c., in virtù del quale “l'estinzione del processo non estingue l'azione”, perché la definitività dell'atto impositivo che ha dato origine al processo estinto, per mancata riassunzione, di norma, esclude la possibilità di incardinare un nuovo processo sullo stesso atto. Per lo stesso motivo, non risulta pienamente applicabile neppure l'art. 393 c.p.c., nonostante l'art. 63 del D.Lgs. n. 546/1992 ne riproduca il contenuto, salvo che per la parte relativa all'efficacia vincolante della sentenza della Cassazione “nel nuovo processo che sia instaurato con la riproposizione della domanda”. Considerato, infatti, che nel processo tributario l'estinzione del giudizio determina il consolidamento dell'atto impugnato, non ci sarebbe spazio per un'eventuale sopravvivenza del principio di diritto enunciato dal giudice di legittimità.
Eccetto il caso sopra evidenziato, è palese, però, che di regola l'interesse a riassumere il processo è in capo al contribuente, mentre l'Amministrazione finanziaria, qualunque sia stato l'esito dei precedenti gradi di giudizio, può limitarsi ad attendere la scadenza del termine per la riassunzione.
In sostanza, l'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità ritiene che l'estinzione dell'intero processo, a causa della mancata riassunzione, con la conseguente definitività dell'atto impugnato, si traduca nell'integrale accoglimento delle ragioni erariali, rendendo così priva di qualsiasi interesse un'eventuale riassunzione da parte dell'Amministrazione finanziaria.
L'estinzione del processo disposta dal primo comma dell'art. 63, D.Lgs. n. 546/1992, costituisce la diretta applicazione del c.d. “effetto sostitutivo” della sentenza di secondo grado rispetto a quella di primo, con la conseguenza che vengono travolte tutte le precedenti pronunce del giudice del merito. Ne deriva, altresì, che sopravvivono soltanto le parti delle sentenze non oggetto di impugnazione e, quindi, coperte da giudicato - principio della c.d. “formazione progressiva del giudicato” - (cfr., tra le altre, Cass. civ., sez. II, 13883/2005, n. 6911/2002, n. 3475/2001 e n. 14892/2000. “Non è, infatti, applicabile l'art. 338 c.p.c. dettato per la diversa ipotesi del procedimento di impugnazione” (Cass. civ., 6 dicembre 2012, n. 17372), nel senso che nell'ambito del giudizio di rinvio non vale il principio della c.d. “consumazione processuale”, secondo il quale l'estinzione del processo di impugnazione ordinaria determina il passaggio in giudicato della sentenza impugnata). L'effetto estintivo conseguente la mancata riassunzione, quindi, riguarda l'intero processo, comporta la definitività dell'atto impugnato, ma con il limite del giudicato c.d. “interno”: i capi della sentenza di primo grado, eventualmente favorevoli al contribuente, se non appellati, diventano definitivi.
Debbono, quindi, ritenersi definitivamente decise tutte le questioni che costituiscono il necessario presupposto della pronuncia di annullamento della Cassazione nonché quelle coperte dal giudicato, in quanto non impugnate. Il carattere “chiuso” del giudizio di rinvio non preclude, invece, la riproposizione delle questioni c.d. “assorbite”. Si tratta delle eccezioni o delle domande subordinate sulle quali il giudice di merito ha omesso di pronunciarsi, proprio in quanto assorbite dalle statuizioni conclusive dei gradi di giudizio antecedenti la sentenza cassata, oppure delle questioni oggetto dei motivi di ricorso per Cassazione espressamente dichiarati assorbiti dal giudice delle leggi. Tali questioni, non essendo state decise, devono essere riproposte al giudice del rinvio, dalla parte che vi ha interesse, altrimenti si intendono rinunciate (cfr. Cass. civ., sez. I, 18 aprile 2013, n. 9479; Cass. civ., sez. II, 2 settembre 2010, n. 19015) . Riscossione del tributo in caso di rinvio
Il consolidamento dell'atto impositivo originario, a seguito della mancata o tardiva riassunzione, rende esigibile il relativo tributo, per l'intera pretesa erariale, ai sensi dell'art. 14 D.P.R. n. 602/1973, salvo i limiti dell'eventuale giudicato. Infatti, l'art. 68 del D.Lgs. n. 546/1992, attualmente in vigore, non indica espressamente quale sia la misura dell'iscrizione a ruolo successiva alla sentenza di cassazione con rinvio. Lo schema di decreto legislativo recante “misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario”, approvato in via definitiva dal Governo il 22 settembre 2015, ha invece introdotto la lettera c-bis) al comma 1 dell'art. 68 del D. Lgs. n. 546/92 (la nuova disposizione si applicherà ai giudizi pendenti al primo gennaio 2016), proprio allo scopo di precisare che, dopo la sentenza di cassazione con rinvio, è dovuta l'imposta esigibile in pendenza del giudizio di primo grado, mentre in caso di mancata riassunzione, si dovrà versare l'intero importo indicato nell'atto impositivo.
Si è in tal modo colmata una lacuna legislativa in ordine ai poteri degli enti impositori di riscuotere il tributo dopo una sentenza della Cassazione di annullamento con rinvio, che aveva indotto gli uffici dell'Amministrazione finanziaria ad agire in modo diversificato: talvolta, con l'iscrizione a ruolo dell'intero tributo, altre volte con l'iscrizione di un terzo. Del resto, la dottrina maggioritaria, la prassi, e la giurisprudenza di legittimità, si erano già espresse in tal senso, in quanto l'inefficacia dei giudizi precedenti il rinvio della Cassazione, determina una situazione analoga a quella esistente prima dell'inizio dell'intera vicenda processuale.
Riferimenti
Normativi: Legge 18 giugno 2009, n. 69 Art. 63, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546
Giurisprudenza: Cass. civ., sez. trib., 4 luglio 2014, n. 15330 Cass. civ., sez. trib., 18 giugno 2014, n. 13808 Cass. civ., sez. trib., 11 dicembre 2012, n. 22548 Cass. civ., sez. II, 12 gennaio 2010, n. 327 Cass. civ., Sez. Un., 27 febbraio 2008, n. 5087
Prassi: Circolare Agenzia del Territorio 20 giugno 2007, n. 8/T
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