Contraddittorio

Francesco Pedaccini
01 Agosto 2015

Con l'espressione "contraddittorio" si fa riferimento nell'ambito tributario alla partecipazione del contribuente alla fase istruttoria del procedimento (prima, cioè, dell'emissione dell'atto impositivo finale), mediante la presentazione di documenti, memorie e informazioni di vario genere. Si tratta, perciò, di un contraddittorio “procedimentale”, che precede (e aspira ad eliminare) il contraddittorio giudiziale.Simile partecipazione è preordinata alla migliore realizzazione del diritto di difesa del contribuente e, al contempo, è funzionale all'efficienza, all'imparzialità e al buon andamento dell'azione amministrativa, che deve tendere all'emissione di accertamenti ben fatti, non suscettibili di essere sconfessati in sede contenziosa.
Inquadramento
Le varie ipotesi di contraddittorio procedimentale – ossia di partecipazione del contribuente alla fase istruttoria del procedimento tributario – contemplate dal nostro ordinamento sono riconducibili a due modelli: la “partecipazione-collaborazione” e la “partecipazione-contraddittorio”.

Nel primo caso, il contribuente si limita a presentare informazioni e documenti all'Ufficio impositore, ma risulta estromesso dalla fase successiva di verifica della sussistenza del presupposto d'imposta e di determinazione del quantum della pretesa, che resta di esclusiva pertinenza dell'Amministrazione finanziaria.

Il secondo modello prevede invece il coinvolgimento del soggetto passivo anche in tale successiva fase: il privato è, cioè, titolare di un vero e proprio diritto ad intervenire nel procedimento accertativo, con i corrispondenti obblighi per l'Amministrazione finanziaria di permettere tale partecipazione e di tenere conto di quanto addotto dal contribuente, pena la nullità del successivo atto impositivo; ne costituisce esempio emblematico l'art. 12, comma 7, L. n. 212/2000.

Peraltro, proprio sull'art. 12 cit. si è innestato negli ultimi anni un vivace dibattito riguardo all'esistenza, nell'ordinamento nazionale, di un principio generale del contraddittorio endoprocedimentale; dibattito che, nonostante la presa di posizione espressa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 24823/2015 e l'introduzione, ad opera del D.L. n. 34/2019, dell'art. 5-ter, D.Lgs. n. 218/1997, appare lontano dal trovare un assetto definitivo.

Introduzione

Parlando di contraddittorio in diritto tributario, si fa riferimento alla partecipazione del contribuente alla fase istruttoria del procedimento (prima, cioè, dell'emissione dell'atto impositivo finale), mediante la presentazione di documenti, memorie e informazioni di vario genere. Si tratta, perciò, di un contraddittorio “procedimentale”, che precede (e aspira ad eliminare) il contraddittorio giudiziale: per tale ragione, quest'ultimo fuoriesce dall'oggetto della presente trattazione.

La partecipazione di cui si tratta è preordinata alla migliore realizzazione del diritto di difesa del contribuente e, al contempo, è funzionale all'efficienza, all'imparzialità e al buon andamento dell'azione amministrativa, che deve tendere all'emissione di accertamenti ben fatti e, come tali, non suscettibili di essere sconfessati in sede contenziosa.

La funzione e il ruolo del contraddittorio nell'ambito del procedimento tributario sono alcuni dei profili più controversi nel dibattito legislativo, giurisprudenziale e dottrinale degli ultimi cinquant'anni. E oggi più che mai – sul contraddittorio convergono le spinte evolutive del sistema verso una rinnovata concezione dei rapporti tra Fisco e contribuente, che sia improntata a reciproca e leale collaborazione.

Il contraddittorio nel diritto positivo

Come accennato, il Legislatore ha nel tempo previsto vari istituti volti a consentire la partecipazione del contribuente all'istruttoria tributaria. Essi danno vita a un sistema disorganico e frammentario, che risente tanto dell'evolversi della concezione dell'attività amministrativa nella materia di interesse, quanto delle contingenti esigenze che, di volta in volta, sono state alla base della loro introduzione.

In evidenza: contraddittorio in funzione di collaborazione

In particolare, fino all'inizio degli anni '90, gli istituti partecipativi sono stati ispirati, in via pressoché esclusiva, alla logica della cosiddetta “partecipazione-cooperazione”.

Tale espressione mette in luce la funzione meramente servente assolta dall'intervento del soggetto passivo rispetto all'attività autoritativa di indagine posta in essere dall'Amministrazione finanziaria: nel corso dell'istruttoria, il privato può cioè al più essere chiamato a presentare informazioni, documenti e quant'altro possa occorrere in vista della corretta determinazione del proprio debito; tuttavia, egli risulta del tutto estromesso dalla successiva fase, nella quale l'Ente impositore procede in via unilaterale alla determinazione della pretesa.

Costituiscono esempi emblematici di questa forma di cooperazione le previsioni recate, in materia di imposte sui redditi, dall'art. 32, comma 1, nn. 2), 3) e 4), d.P.R. n. 600/1973 che contemplano la facoltà dell'Amministrazione di «invitare» i contribuenti a «fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell'accertamento nei loro confronti» e a «esibire o trasmettere atti e documenti» utili agli stessi fini, nonché la possibilità di «inviare ai contribuenti questionari relativi a dati e notizie di carattere specifico». In tal senso, si è del resto a più riprese pronunciata la giurisprudenza di legittimità: si vedano, ad esempio, Cass. civ., sez. trib., 25 gennaio 2006, n. 1439; 10 dicembre 2007, n. 25730; 23 gennaio 2008, n. 1405; 27 settembre 2011, n. 19692, tutte in Banca Dati DeJure.

Tratto comune a queste ipotesi è l'indubbia superiorità della posizione spettante all'Amministrazione finanziaria rispetto a quella di soggezione in cui versa il privato: alla facoltà della prima di convocare il contribuente per reperire il materiale probatorio corrisponde l'obbligo di quest'ultimo di fornire quanto richiesto a pena di sanzioni dirette (ai sensi dell'art. 11, D.Lgs. n. 471/1997, da 258 a 2.065 euro) e indirette (ai sensi dell'art. 32, comma 3, d.P.R. n. 600/1973, per cui non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente - né in sede amministrativa, né in sede contenziosa - le notizie, i dati e ogni altro documento non esibito in risposta alle richieste istruttorie dell'Ente impositore). Inoltre, coerentemente con tale impostazione, al soggetto passivo non è riconosciuta alcuna posizione soggettiva tutelabile giudizialmente.

Solo intorno alla fine degli anni ‘80, cominciano a comparire forme di partecipazione del contribuente in chiave (non più collaborativa, bensì) prettamente difensiva, destinate poi a proliferare nei primi anni del nuovo secolo: si parla, in questi casi, di “partecipazione–contraddittorio”.

In evidenza: contraddittorio in funzione difensiva

In queste ipotesi, è riconosciuto al privato un vero e proprio diritto di divenire parte attiva nel procedimento accertativo, cui fa da pendant l'obbligo dell'Amministrazione finanziaria di coinvolgerlo e di tenere conto di quanto da costui addotto; con i corollari della nullità degli atti emessi in assenza della prescritta partecipazione, della necessità di una motivazione “rafforzata” in relazione agli elementi forniti dal contribuente, dell'assenza di preclusioni/sanzioni in caso di mancata partecipazione.

Tale nuovo paradigma di partecipazione fu inaugurato dalla «richiesta di chiarimenti» prevista, a pena di nullità, dall'art. 2, comma 29, L. n. 17/1985 per gli accertamenti presuntivi adottati nei confronti dei piccoli imprenditori.

Oggi – e senza alcuna pretesa di esaustività – sono riconducibili a questo schema, seppur con sfumature diverse, la richiesta di chiarimenti che deve procedere la notifica dell'accertamento “anti-abuso” (art. 10-bis, comma 6, L. n. 212/2000), la partecipazione all'istruttoria prevista per gli accertamenti sintetici (art. 38, comma 7, d.P.R. n. 600/1973) ovvero da studi di settore (artt. 62-sexies, D.L. n. 331/1993 e 10, L. n. 146/1998, riguardo ai quali si vedano Cass. civ., sez. un., 18 dicembre 2009, n. 26638 e da ultimo Cass. civ., sez. trib., 12 giugno 2015, n. 12290) o, ancora, quella prevista per le ipotesi di controllo formale e liquidazione delle dichiarazioni dei redditi (artt. 36-bis e 36-ter, d.P.R. n. 600/1973), così come nell'ambito del procedimento di irrogazione delle sanzioni amministrative (art. 16, D.lgs. n. 472/1997).

Rispetto a questa evoluzione, un impatto limitato nella materia di interesse ha avuto la Legge n. 241/1990, recante «Nuove norme in materia di procedimento amministrativo», attesa l'espressa esclusione della materia tributaria - ad opera degli artt. 13, comma 2, e 24 - dal campo di applicazione degli istituti partecipativi difensivi (comunicazione dell'avvio del procedimento, intervento nel procedimento, diritto di accesso) ivi previsti.

Né effetti decisivi ha avuto l'introduzione dello Statuto dei Diritti del Contribuente (L. n. 212/2000), che – anziché introdurre una norma espressa di portata generale in tema di contraddittorio - si è limitato a prevedere ulteriori fattispecie tipiche di partecipazione difensiva, in aggiunta a quelle già note all'ordinamento. Basti pensare all'art. 6, comma 5, relativo al controllo formale della dichiarazione qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della stessa, e – sopratutto - all'art. 12, comma 7, ai sensi del quale il contribuente ha facoltà di comunicare, nel termine di 60 giorni dal rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni di verifica, osservazioni e richieste agli uffici impositori, che sono valutate da questi ultimi; solo in casi di «particolare e motivata urgenza», l'avviso di accertamento può essere emanato prima della scadenza del predetto termine.

Proprio l'art. 12, comma 7, della L. n. 212/2000, è stato alla base dei tentativi ermeneutici di affermare l'esistenza, all'interno dell'ordinamento, di un diritto del contribuente a prendere parte in ogni caso - e perciò anche al di fuori delle ipotesi tipizzate dal legislatore - al procedimento accertativo. Ma, dopo un'iniziale apertura, la Corte di Cassazione è più di recente tornata sui suoi passi, negando l'esistenza di un generale principio di osservanza del contraddittorio endoprocedimentale. Le vicende giurisprudenziali che negli ultimi anni hanno interessato il principio del contraddittorio sono riassunte nei paragrafi che seguono.

Il contraddittorio nel diritto dell'Unione Europea
Nel dibattito che ha interessato il diritto al contraddittorio, un ruolo fondamentale ha avuto la giurisprudenza della Corte di Giustizia, che a più riprese ne ha riconosciuto il rango di principio fondamentale del diritto europeo.

Da un punto di vista normativo, tale principio rinviene il proprio fondamento negli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che garantiscono il rispetto dei diritti della difesa e il diritto a un equo processo in qualsiasi procedimento giurisdizionale, e nell'art. 41 della stessa Carta, che tutela il diritto ad una buona amministrazione.

Come dicevamo, particolarmente significativa è l'interpretazione che di tali disposizioni ha offerto la Corte di Giustizia.

Il precedente senz'altro più noto è il caso Sopropé (sentenza 18 dicembre 2008, causa C-349/07, in Banca Dati DeJure), concernente la congruità dei termini a disposizione di un'impresa portoghese per presentare le proprie osservazioni in vista dell'adozione di un provvedimento di recupero di diritti doganali. Non essendo previsto alcunché dai regolamenti comunitari, si trattava di stabilire se ogni Stato potesse discrezionalmente decidere di riconoscere ai contribuenti una tale facoltà – e, quindi, disciplinarne le relative modalità d'esercizio - o se, piuttosto, esistevano dei principi generali europei in materia, ai quali i singoli Paesi membri dovevano conformarsi.

In evidenza: Corte di Giustizia, sentenza Sopropé (CGUE, 18 dicembre 2008, C-349/07)
In quell'occasione, la Corte chiarì che il diritto di difesa costituisce un principio generale del diritto comunitario, desunto dalle «tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri», che viene in rilievo non solo in sede giurisdizionale, ma anche nella fase amministrativa precedente l'adozione di ogni provvedimento lesivo della sfera giuridica del contribuente. In forza di esso, i destinatari di decisioni rientranti nella sfera d'applicazione del diritto comunitario «devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l'Amministrazione intende fondare» il proprio operato (al riguardo, si vedano anche le sentenze CGUE, 24 ottobre 1996, C-32/95 (Lisrestal); 21 settembre 2000, C-462/98 (Mediocurso); 12 dicembre 2002, causa C-395/00 (Cipriani), in Banca Dati DeJure).

Oltre a tutelare gli interessi del soggetto inciso dal provvedimento, il diritto in questione è funzionale anche ad assicurare il buon andamento dell'Amministrazione finanziaria. Essa è tenuta infatti ad esaminare «con tutta l'attenzione necessaria, le osservazioni della persona o dell'impresa coinvolta», poiché solo mediante tale ponderazione è possibile «tenere conto di tutti gli elementi del caso» e, in definitiva, stabilire se la decisione debba essere effettivamente adottata «ovvero abbia un contenuto piuttosto che un altro».

Peraltro, in assenza di espresse previsioni da parte delle fonti comunitarie, spetta ai singoli Stati membri disciplinare le concrete modalità di esercizio del diritto di difesa nell'accezione qui in rilievo. In ogni caso, tali modalità non devono essere tali da renderne eccessivamente difficile o praticamente impossibile l'esercizio.

I medesimi principi hanno trovato ulteriore specificazione nella sentenza del 22 ottobre 2013, causa C-276/2012, Sabou, avente ad oggetto la richiesta di un contribuente di prendere parte alla procedura di reciproca assistenza tra le Amministrazioni finanziarie degli Stati membri.

In essa è stato, tra l'altro, chiarito che il rispetto dei diritti della difesa si impone solo nella «fase contraddittoria» che ha avvio con l'invio al contribuente «di una proposta di rettifica», mentre non si estende alla «fase d'indagine, nel corso della quale vengono raccolte le informazioni», per cui l'Amministrazione è tenuta «a conoscere il punto di vista» del contribuente solo nella prima ipotesi (la fase contraddittoria), ma non anche nella seconda (la fase d'indagine).

In evidenza: sentenze Kamino Internationale e Datema Hellman
Importanti precisazioni sono offerte pure dalla sentenza CGUE 3 luglio 2014, cause riunite C-129/13 e C-7130/13. Anche in questo caso, era in discussione il diritto di uno spedizioniere doganale olandese di esporre le proprie osservazioni difensive prima dell'emissione di un'intimazione di pagamento. Richiamando i propri precedenti, i Giudici europei ribadiscono la centralità dei diritti della difesa fin dalla fase amministrativa del procedimento. Tuttavia, precisano che l'eventuale violazione di tali diritti «determina l'annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento amministrativo … soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso».

Sebbene valevoli esclusivamente nell'area dei tributi “armonizzati”, le tre pronunce ora ricordate hanno avuto un rilevantissimo impatto sul piano sistematico, favorendo l'avvio di una lenta revisione di alcuni consolidati orientamenti della giurisprudenza nazionale in tema di contraddittorio.

Il contraddittorio nella giurisprudenza della Cassazione

In effetti, la giurisprudenza di legittimità ha per lungo tempo negato l'esistenza nell'ordinamento di un generale diritto del contribuente a intervenire nella fase che precede l'emissione di un atto impositivo.

In evidenza: Corte di Cassazione
Precisamente, fino a tempi recenti l'intervento del privato nel procedimento è stato considerato «una mera eventualità», dipendente «esclusivamente dalla rilevanza riconosciuta a tale intervento dalle singole norme di legge che prevedono e disciplinano lo specifico procedimento amministrativo», siccome questo costituisce «un rapporto che non è paritetico, ma di supremazia/soggezione» (Cass. civ., 3 agosto 2012, n. 14026, e 12 febbraio 2014, n. 3142, ma in senso analogo si vedano anche Cass. 26 settembre 2012, n. 16354, 2 aprile 2014, n. 7598, 13 giugno 2014, n. 13588, 8 luglio 2014, n. 15583, che hanno negato l'applicabilità delle garanzie previste dall'art. 12, comma 7, della L. n. 212/2000 alle verifiche fiscali “a tavolino”, in Banca Dati DeJure).

A questo primo orientamento è andato nel tempo contrapponendosene un altro, che ha esteso l'ambito di applicazione del contraddittorio ad ogni tipo di procedimento tributario: in questa direzione, le disposizioni che espressamente prevedono il coinvolgimento del soggetto passivo nella fase di accertamento costituiscono un mero sintomo (e, dunque, non possono ritenersi esaustive) di un principio generale immanente all'ordinamento, volto a garantire il contribuente e, al contempo, ad assicurare il miglior esercizio della potestà impositiva.

Due snodi fondamentali in questa evoluzione sono costituiti dalle pronunce delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 29 luglio 2013, n. 18184 e 18 settembre 2014, n. 19667 (ma si vedano pure, nello stesso senso, 5 febbraio 2014, n. 2594, 7 marzo 2014, n. 5367, 7 marzo 2014, n. 5373, 4 aprile 2014, n. 7960, 14 gennaio 2015, n. 406, tutte in Banca Dati DeJure).

Con la prima, le Sezioni Unite hanno sancito l'illegittimità dell'avviso di accertamento emesso, a seguito di accesso presso i locali del contribuente, senza il rispetto del termine dilatorio previsto dall'art. 12, comma 7, L. n. 212/2000, atteso che tale disposizione costituisce espressione «dei diritti costituzionali di buon andamento e imparzialità dell'amministrazione, di capacità contributiva e di uguaglianza, intesa sotto il profilo della ragionevolezza» e, quindi, in definitiva, di «alcuni dei fondamenti dello Stato di diritto»; con ciò, tra l'altro, superando il precedente orientamento che escludeva l'invalidità dell'atto impositivo “anticipato”, adducendo in tal senso l'assenza di una specifica norma comminatoria della nullità.

Ancor più significativamente, la seconda sentenza ha riconosciuto l'esistenza di «un principio fondamentale immanente nell'ordinamento tributario che prescrive la tutela del diritto di difesa del contribuente mediante l'obbligo di attivazione da parte dell'Amministrazione del contraddittorio endoprocedimentale ogni volta che debba essere adottato un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente medesimo».

In evidenza:

Cass. civ., sez. un., 18 settembre 2014, n. 19667
In particolare, tale regola costituisce diretta derivazione del diritto di difesa (art. 24 Cost.) e del buon andamento dell'Amministrazione (art. 97 Cost.), oltre che dei principi di diritto europeo ripetutamente affermati dalla Corte di Giustizia. Di modo che il suo rispetto «è dovuto da parte dell'Amministrazione indipendentemente dal fatto che ciò sia previsto espressamente da una norma positiva» e la sua «violazione determina la nullità dell'atto lesivo che sia stato adottato senza la preventiva comunicazione al destinatario».

Il modello della “partecipazione–contraddittorio” sembrava così assurgere a regola generale, richiedendo in ogni caso – e, perciò, anche al di fuori delle ipotesi espressamente enucleate dal Legislatore – una fase intermedia di confronto tra l'ultimazione dell'istruttoria e l'emissione dell'atto di accertamento.

Questa impressione è, tuttavia, presto svanita. Chiamate nuovamente a pronunciarsi sulla questione, le Sezioni Unite, con la sentenza 9 dicembre 2015, n. 24823, hanno infatti fortemente ridimensionato la portata delle proprie precedenti pronunce, segnando un netto ritorno al passato.

In evidenza: Cass. civ., ss.uu. 9 dicembre 2015, n. 24823

Nello specifico, le Sezioni Unite hanno affermato che un diritto generale al contraddittorio endoprocedimentale può dirsi esistente solo nell'ordinamento europeo e non anche nell'ordinamento nazionale; cosicché:

(i) rispetto ai tributi nazionali (“non armonizzati”), il contraddittorio può trovare applicazione solo ove espressamente previsto dalla legge (ad esempio, in tema di abuso del diritto ex art. 10-bis, comma 6, L. n. 212/2000; non, invece, in caso di verifiche “a tavolino”, non menzionate dall'art. 12, comma 7, L. n. 212/2000);

(ii) rispetto ai tributi di matrice europea (“armonizzati”, qual è ad esempio l'IVA), il contraddittorio deve sempre trovare applicazione, ma la sua omissione comporta la nullità dell'atto solamente nel caso in cui il contribuente possa dimostrare che le ragioni che avrebbe voluto/potuto far valere non sono puramente pretestuose, in linea a quanto statuito dalla Corte di Giustizia nelle sentenze Kamino International e Datema Hellmann

Questa impostazione è stata a più ripresa ribadita nelle successive decisioni rese dalle Sezioni semplici della Corte: a titolo esemplificativo, si vedano Cass. civ., 3 febbraio 2017, n. 2875, Cass. civ., 20 aprile 2017, n. 10030, Cass. civ., 8 giugno 2017, n. 21071, Cass. 5 settembre 2017, n. 20799, Cass. 11 settembre 2017, n. 21071, Cass. civ., 14 novembre 2017, n. 26943, Cass. civ., 17 gennaio 2018, n. 998.

L'obbligo di invito al contraddittorio (art. 4-octies, D.L. n. 34/2019)

Con l'obiettivo di colmare le lacune nell'applicazione del contraddittorio aperte dalla sentenza 9 dicembre 2015, n. 24823, è stato di recente introdotto, ad opera del D.L. n. 34/2019 (cd. “Decreto Crescita”), l'art. 5-ter, D.Lgs. n. 218/1997 (“Invito obbligatorio”).

La norma - che trova applicazione agli avvisi di accertamento emessi dal 1° luglio 2020 (art. 4-octies, comma 2, D.L. n. 34/2019) – prevede, per le ipotesi in cui non sia stato elevato un processo verbale di constatazione (si pensi alle verifiche “a tavolino”), che l'Ufficio inviti il contribuente a comparire per dare avvio al procedimento di accertamento con adesione. In caso di mancata adesione, l'avviso di accertamento dovrà essere motivato in relazione ai chiarimenti e ai documenti forniti dal contribuente nel corso del contraddittorio. Qualora, invece, non sia notificato l'invito, il contribuente potrà eccepire l'invalidità dell'atto (salvi i casi di particolare urgenza, specificamente motivata, o fondato pericolo per la riscossione), purché dimostri le ragioni concrete che avrebbe potuto far valere in sede di contraddittorio.

Tuttavia, l'obiettivo non può dirsi del tutto raggiunto. In particolare, la criticità maggiore sembra consistere nell'esclusione dall'ambito di applicazione della disciplina delle ipotesi di accertamento parziale di cui all'art. 41-bis, d.P.R. n. 600/1973 e 54, commi 3 e 4, d.P.R. n. 633/1972. Non solo, ma l'invalidità dell'atto di accertamento è condizionata al superamento di una prova di resistenza non contemplata dall'art. 12, comma 7, L n. 212/2000, né dalle norme che, in fattispecie tipiche, contemplano la partecipazione del contribuente all'accertamento (ad esempio, l'art. 10, comma 6, L. n. 212/2000 per gli accertamenti “anti-abuso”, l'art. 38, comma 7, d.P.R. n. 600/1973 per gli accertamenti sintetici, l'art. 16, D.Lgs. n. 472/1997 in tema di irrogazione delle sanzioni).

In evidenza: l'assetto dopo il Decreto Crescita

In sintesi, il quadro che si delinea per effetto della nuova disposizione è riassumibile nei termini seguenti:

(i) in caso di verifica chiusa con il rilascio del processo verbale di chiusura delle operazioni di controllo, il contribuente ha sempre a disposizione (salva la ricorrenza della particolare e motivata urgenza) 60 giorni per presentare le osservazioni di cui all'art. 12, comma 7, L. n. 212/2000 e l'eventuale atto impositivo emesso ante tempus è nullo;

(ii) laddove manchi il processo verbale di chiusura delle operazioni di controllo e non si sia al cospetto di accertamenti parziali (né ricorra la particolare urgenza), l'Amministrazione finanziaria è tenuta ad assumere l'iniziativa del contraddittorio, notificando al contribuente l'invito di cui all'art. 4-octies, D.L. n. 34/2019;

(iii) nelle ipotesi di accertamento parziale non preceduto da processo verbale di constatazione, il diritto al contraddittorio resta presidiato dai soli principi europei e, per i tributi non armonizzati, dalle norme interne che prevedono forme specifiche di intervento del contribuente.

Conclusioni

Il coinvolgimento del contribuente nell'istruttoria tributaria è, dunque, lontano dall'essere generalizzato. Nell'assetto attuale, le garanzie del soggetto passivo d'imposta variano, in effetti, a seconda del luogo in cui si svolge la verifica (in loco ovvero “a tavolino”), del tipo di accertamento (ordinario ovvero parziale), dell'eventuale presenza di norme speciali che sanciscano forme ad hoc di contraddittorio.

Manca, insomma, una disposizione che sancisca, in via definitiva, il diritto del contribuente ad essere sentito prima dell'emissione dell'atto impositivo finale. Da questo punto di vista, sembra anzi persistere – e il recente art. 5-ter, D.Lgs. n. 218/1997 offre una conferma in questo senso - una certa diffidenza verso questa eventualità, quasi che l'intervento del contribuente assuma rilievo non in sé (quale espressione del diritto di difesa costituzionalmente riconosciuto), quanto quale mero strumento per addivenire ad una corretta applicazione dei tributi.

Un simile assetto mal si concilia, però, con la tendenza per altri versi in atto nel sistema verso la promozione di rapporti tra parti dell'obbligazione d'imposta basati su dialogo, lealtà e reciproca collaborazione, anche in funzione di stimolo della tax compliance; e questa tensione induce a ritenere il dibattito sul contraddittorio ancora lontano dall'essere sopito.

Riferimenti

Normativi

D.L. n. 34/2019 (cd. “Decreto Crescita”)

Art. 12, comma 7, L. n. 212/2000

Art. 32, d.P.R. n. 600/1973

Art. 10-bis

, comma 6, L. n. 212/2000

Art. 5-ter, D.Lgs. n. 218/1997

Giurisprudenza:

Cass. SS.UU., 29 luglio 2013, n. 18184

Cass. SS.UU., 18 settembre 2014, n. 19667

Cass. SS.UU., 9 dicembre 2015, n. 24823

CTR Toscana, ordinanza del 18 gennaio 2016

CGUE, sentenza 18 dicembre 2008, causa C-349/07

Sommario