Liquidatore giudiziale, litisconsorzio necessario e legittimazione ad impugnare

Alessandro Lendvai
03 Ottobre 2017

In caso di intervenuta ammissione del debitore al concordato preventivo con cessione dei beni, la qualità del liquidatore giudiziale di litisconsorte necessario in un giudizio concernente domande idonee ad influire sul riparto lo legittima, nel caso in cui sia stato indebitamente pretermesso, a far valere le ragioni della società in concordato preventivo soltanto attraverso l'opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. oppure con l'intervento volontario ex art. 105 c.p.c., ma non tramite autonoma impugnazione della sentenza alla quale è rimasto estraneo, dato che a ciò sono legittimate unicamente le parti tra le quali risulta essere formalmente emessa la sentenza da impugnare.
Massima

In caso di intervenuta ammissione del debitore al concordato preventivo con cessione dei beni, la qualità del liquidatore giudiziale di litisconsorte necessario in un giudizio concernente domande idonee ad influire sul riparto lo legittima, nel caso in cui sia stato indebitamente pretermesso, a far valere le ragioni della società in concordato preventivo soltanto attraverso l'opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. oppure con l'intervento volontario ex art. 105 c.p.c., ma non tramite autonoma impugnazione della sentenza alla quale è rimasto estraneo, dato che a ciò sono legittimate unicamente le parti tra le quali risulta essere formalmente emessa la sentenza da impugnare.

Il caso

La questione portata all'attenzione del giudice di legittimità trae origine da due sentenze, emesse in sede di opposizione a decreto ingiuntivo e che condannavano in solido gli originari opponenti, vale a dire la società allora in bonis ed i suoi fideiussori, le quali venivano appellate esclusivamente da questi ultimi e dal Commissario Liquidatore. Il giudice di secondo grado, riunite le impugnazioni, riformava le suddette sentenze e rigettava la domanda di pagamento dell'istituto di credito, ritenendo per un verso infondata l'eccezione sollevata da quest'ultimo circa l'asserito difetto di legittimazione ad impugnare del Commissario Giudiziale e, dall'altro, ritenendo non sufficientemente provato il credito bancario per mancata produzione degli estratti conto concernenti l'intera durata dei diversi rapporti contrattuali dedotti in giudizio (principio ribadito, puntualizza la Corte di legittimità, anche da Cass. 26 gennaio 2011, n. 1842; Cass. 18 settembre 2014, n. 19696; Cass. 20 aprile 2016, n. 7972).

La banca proponeva ricorso per cassazione sulla base di due motivi. La Corte, con la sentenza in commento, dichiarava inammissibile il primo motivo di ricorso (relativo alla mancanza di prova del credito) e accoglieva il secondo (relativo al difetto di legittimazione del Commissario Giudiziale).

La questione

La Corte ha affrontato, in primo luogo, la questione della riconosciuta legittimazione del Commissario Liquidatore (definito anche, più frequentemente, liquidatore giudiziale, a rimarcare, si ritiene, la prevalente opinione della sua mancata qualità di pubblico ufficiale) nel caso in cui la domanda proposta da un terzo verso la società ammessa alla procedura di concordato sia idonea ad influire sulle operazioni di liquidazione e di riparto del ricavato. In secondo luogo, profilo che in questa sede appare di maggiore interesse, quella che attiene alla portata ed ai limiti riguardanti la legittimazione ad impugnare e agli strumenti previsti dall'ordinamento per far valere le particolari ragioni tutelate dal Commissario Liquidatore quando la società, nelle more del procedimento, sia stata ammessa a concordato preventivo.

La soluzione giuridica

La Suprema Corte ha precisato che il Commissario Liquidatore può impugnare la sentenza emessa nei confronti della società precedentemente in bonis, attraverso l'opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. oppure può far valere le ragioni della società in concordato preventivo con l'intervento volontario ex art. 105 c.p.c., ma non è legittimato a proporre appello.

Il percorso argomentativo della Corte prende le mosse dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, che in numerose occasioni ha riconosciuto “il principio della piena legittimazione del debitore ammesso alla procedura di concordato preventivo con cessione dei beni sia dal lato passivo, in ordine all'accertamento in via ordinaria di ogni pretesa creditoria, sia dal lato attivo, in ordine all'esercizio delle azioni relative alle attività cedute (per tale indirizzo, con esclusione della legittimazione passiva, salva facoltà di intervento, del Commissario Liquidatore, v. Cass. 10 settembre 1999, n. 9663; Cass. 6 aprile 1995, n. 4033; Cass. 30 ottobre 1991, n. 1142)”. Tale principio trova il proprio fondamento, prosegue il giudice di legittimità, nel fatto che il concordato preventivo con cessione dei beni deve essere inquadrato nella ‘cessio bonorum', di tal che con esso “non si attua alcun trasferimento della proprietà dei beni ceduti ma soltanto la legittimazione a disporne a favore degli organi della procedura” risolvendosi dunque in un mandato irrevocabile, in quanto conferito nell'interesse dei terzi creditori, volto ad amministrare e liquidare i beni ceduti (a conferma della richiamata ricostruzione viene citata Cass. 13 maggio 1998, n. 4801; Cass. 21 febbraio 1995, n. 1909; Cass. 21 gennaio 1993,n. 709). Come noto, la giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito che, sebbene l'ammissione al concordato ex art. 160 l. fall. non comporti alcuno spossessamento, fa sorgere in capo al Commissario Liquidatore autonomi poteri, ivi compresa la legittimazione processuale, ragione per cui se il creditore agisce proponendo una domanda idonea ad incidere sulle operazioni di riparto, alla legittimazione passiva del debitore si affianca quella del Commissario Liquidatore con conseguente necessità di provvedere all'integrazione del contraddittorio anche nei suoi confronti, al fine di evitare che la sentenza sia inutiliter data (sul ruolo di contraddittore necessario Cass. 29 aprile 1999, n. 4301; Cass. 5 aprile 2001, n. 5055; Cass. 26 luglio 2001, n. 10250 e Cass. 30 luglio 2009, n. 17748 secondo cui tale soggetto può intervenire in fase di appello).

Ciò detto, nel caso di specie la Corte evidenzia che l'eccezione di difetto del contraddittorio per violazione dell'art. 102 c.p.c. non era mai stata sollevata dalle parti né rilevata d'ufficio dal giudice e, pertanto, la questione doveva ormai ritenersi coperta da giudicato ex art. 161 c.p.c.. Sul punto giova ricordare che il suddetto vizio processuale può essere dedotto per la prima volta anche in sede di legittimità a condizione che gli elementi rivelatori della necessità del contraddittorio emergano, con ogni evidenza, dagli atti ritualmente acquisiti nel giudizio di merito (senza necessità di ulteriori attività istruttorie) e che sulla questione non si sia formato giudicato.

Inoltre, prosegue la Cassazione, la legittimazione ad impugnare spetta, in linea generale, solo alle parti tra le quali risulta essere emessa la sentenza. Conseguentemente il Commissario Liquidatore che sia rimasto estraneo al giudizio di primo grado, sebbene possa averne interesse, non è legittimato ad impugnare la sentenza deducendo la qualità di litisconsorte necessario indebitamente pretermesso (SSUU, 18 novembre 1994, n. 9753; Cass. 15 dicembre 2010, n. 25344), ma potrà far valere le proprie ragioni con l'opposizione ex art. 404 c.p.c. ovvero intervenire nel giudizio di appello instaurato dalle parti del giudizio. Né, prosegue la Corte, egli “possiede la qualità di successore a titolo particolare nel diritto controverso (Cass. 27 ottobre 2000, n. 14206), sicché la strada dell'impugnazione era preclusa al Commissario Liquidatore, nel nostro caso, anche per tale via”.

Per tutte le ragioni sopra esposte la Suprema Corte ha cassato senza rinvio la sentenza della Corte di Appello nella parte in cui, invece di dichiarare inammissibile l'impugnazione, ha accolto l'appello del Liquidatore.

Osservazioni

Sulla problematica configurazione delle funzioni e dei poteri del liquidatore giudiziale, in particolare con riguardo, come nel caso di specie, alla sua legittimazione processuale, possono consultarsi ampie rassegne in questo portale (G. Lucente, Stato dell'arte su nomina e poteri liquidatore e altri organi di direzione e controllo nel concordato con cessione di beni, in questo portale, Focus 19 gennaio 2012; F. Rasile, G. Zanotti, Il liquidatore giudiziale nel concordato con cessione dei beni: poteri, legittimazione attiva e passiva, casi pratici, ivi, Focus 16 gennaio 2014; R. Bogoni, E. Artuso, Sul problematico coordinamento del liquidatore giudiziale con gli altri organi della procedura e con quelli sociali, tra insufficienza normativa e supplenza giurisprudenziale, ivi, Focus 30 luglio 2015, A. Baratta, Il liquidatore giudiziale nel concordato preventivo: profili operativi e prassi dei tribunali, ivi, Focus 8 aprile 2016; G. Buffelli, F. Clemente, Liquidatore giudiziale, ivi, Bussola 12 aprile 2017).

Nel caso oggetto della sentenza in commento va evidenziato come in realtà si offra lo spunto per ragionare anche sulle concrete modalità di gestione del giudizio passivo oltre che sulla legittimazione del liquidatore giudiziale. Ci si trova di fronte, infatti, ad un rilevante successo ottenuto nel giudizio d'appello dai fideiussori, da un lato, e dal liquidatore giudiziale per la società debitrice principale, dall'altro, a seguito del quale era stata riformata una sentenza di condanna al pagamento in solido di un importo complessivamente superiore a un milione di euro. Ciò in forza di gravame proposto distintamente dai fideiussori e dal solo liquidatore giudiziale del concordato preventivo nel frattempo omologato. Nel merito la Corte d'appello ha ritenuto “che il credito della Banca non fosse provato a causa della mancata produzione da parte sua degli estratti conto concernenti l'intero arco temporale di durata dei diversi rapporti oggetto del contendere”, dopo aver affermato l'infondatezza dell'eccezione di difetto di legittimazione ad impugnare del liquidatore giudiziale. Come si può notare, il principio su cui si basa detta infondatezza è pacifico ed è stato così ribadito: “in caso di ammissione del debitore al concordato preventivo, se il creditore agisce proponendo non solo una domanda di accertamento del proprio diritto, ma anche una domanda di condanna o comunque idonea ad influire sulle operazioni di liquidazione di riparto del ricavato, si affianca alla legittimazione passiva del debitore quella del liquidatore giudiziale, senza necessità di autorizzazione del giudice delegato”.

Il liquidatore giudiziale assume la veste, a questo punto, di litisconsorte necessario, con ogni conseguenza in rito nel caso venga pretermesso. Il problema, quindi, da parte del liquidatore giudiziale, non è stato quello di aver erroneamente ritenuto in linea di principio la propria legittimazione ad impugnare la sentenza di condanna del tribunale, in realtà sussistente, ma quello di aver valutato, questo sì erroneamente, di poterlo fare pur non essendo stato formalmente tra le parti nei confronti delle quali era stata emessa la decisione gravata. In questo caso, infatti, gli strumenti di tutela del litisconsorte pretermesso sono, come visto, l'opposizione di terzo e l'intervento in appello (principio ribadito, da ultimo, anche da Cassazione Sez. Un. Civili, 23 gennaio 2015, n. 1238). L'aver deciso di proporre direttamente appello ha reso tale impugnazione inammissibile, vanificando un risultato che, altrimenti, sarebbe uscito indenne dal vaglio di legittimità, visto che il ricorso per cassazione, proposto dalla banca contro i fideiussori per un motivo comune al debitore principale, è stato dichiarato inammissibile con la decisione in commento.

A questo punto, sotto il profilo pratico e strategico, appare opportuno tener presente la necessaria cautela di far partecipare sempre a tali giudizi sia il debitore che il liquidatore giudiziale. Nel caso di specie, la certa ammissibilità dell'appello del debitore avrebbe consentito di salvare il notevole risultato vanificato invece dall'inammissibilità di quello proposto dal solo liquidatore giudiziale (v. spunti in tal senso in F. RASILE, G. ZANOTTI, Il liquidatore, cit.).

Lo stesso può dirsi, a titolo esemplificativo attingendo a recenti precedenti giurisprudenziali, per il caso oggetto di Cass. Civ., Sez. Trib., 5 settembre 2014, n. 18755, in cui, nel corso di una controversia tributaria relativa a crediti Iva e Ires, l'Agenzia delle Entrate ha impugnato per cassazione la sentenza della CTR che aveva riformato il provvedimento di primo grado, lamentando, in particolare, il difetto di legittimazione attiva del commissario liquidatore ricorrente, atteso che la legittimazione dell'impresa in concordato andrebbe individuata, per le pretese tributarie, in mancanza di prova dell'inclusione del credito tra i beni oggetto della cessione, in capo al titolare dell'impresa e non al commissario liquidatore. La Cassazione ha ritenuto fondato il motivo di ricorso (sia pure, forse, in modo discutibile), ma anche qui la questione sarebbe stata irrilevante se il ricorso fosse stato proposto anche dal debitore.

Merita anche segnalare, nella direzione di un marcato favor per l'ampliamento della legittimazione, in questo caso attiva, del liquidatore giudiziale, la recente decisione del tribunale di Bergamo (15 dicembre 2016), che riconosce in capo al medesimo la legittimazione, quanto meno concorrente col creditore in concordato preventivo con cessione dei beni, a chiedere la risoluzione del concordato preventivo del debitore nei confronti del quale si vanta un credito. Infatti, si afferma, “la valutazione dell'interesse concreto a far valere l'inadempimento di non scarsa importanza, quale presupposto della risoluzione del concordato, non può che competere al titolare del credito del cui soddisfacimento si tratta, titolare del credito che nel caso di specie va considerato essere la massa dei creditori concorsuali, nella persona del suo mandatario, il liquidatore giudiziale”.

Conclusioni

Per finire, una breve notazione di carattere squisitamente processuale.

La Corte ha ritenuto ormai coperta dal giudicato interno la questione della mancata integrazione del contraddittorio nei confronti del liquidatore giudiziale, in quanto la relativa eccezione non era mai stata sollevata dalle parti né rilevata d'ufficio dal giudice.

La scarna ricostruzione delle vicende processuali nei diversi gradi di giudizio non consente un compiuto esame delle difese svolte dalle parti e delle motivazioni delle sentenze rese nei due gradi di merito.

Merita di essere evidenziato, però, che la motivazione della decisione della Corte d'appello, come riportata dalla sentenza della Cassazione, richiama pressoché verbatim la massima della già citata Cass. 26 luglio 2001, n. 10250: “In caso di intervenuta ammissione del debitore al concordato preventivo con cessione dei beni, se il creditore agisce proponendo non solo una domanda di accertamento del proprio diritto, ma anche una domanda di condanna o comunque idonea ad influire sulle operazioni di liquidazione e di riparto del ricavato, alla legittimazione passiva dell'imprenditore si affianca quella del liquidatore giudiziale dei beni, quale contraddittore necessario”. Nella sentenza in commento, infatti, si legge che la sentenza di secondo grado richiamava il “principio secondo cui, in caso di intervenuta ammissione del debitore al concordato preventivo con cessione dei beni, se il creditore agisce proponendo non solo una domanda di accertamento del proprio diritto, ma anche alla domanda di condanna o comunque idonea ad influire sulle operazioni di liquidazione di riparto del ricavato, si affianca alla legittimazione passiva dell'imprenditore quella del liquidatore giudiziale dei beni”. Come si vede, la massima e la motivazione sono pressoché identiche, mancando soltanto il riferimento al “contraddittore necessario”.

Ciò sembra confermare quanto sostenuto dalla Corte, ma è anche possibile fornire un'interpretazione della motivazione della Corte d'appello esattamente opposta, ossia che il giudice di secondo grado ha affermato la legittimazione del liquidatore giudiziale, in quanto lo ha riconosciuto implicitamente quale litisconsorte sostanziale necessario del giudizio, come affermato dalla massima sopra citata - che, evidentemente, l'estensore della sentenza d'appello aveva sotto gli occhi - con ciò impedendo la formazione di un giudicato sul punto. Al riguardo non rileva che la Corte d'appello non abbia poi tratto da ciò le conseguenze giuridiche correttamente evidenziate dalla sentenza in commento.

Probabilmente tale seconda interpretazione pretende di provare troppo da una semplice citazione, eppure ha il merito di evidenziare come l'insegnamento del giudice di legittimità in tema di statuizioni implicite contenute in sentenza sia condensato in massime che, a ben vedere, non sono perfettamente conciliabili tra di loro, come il principio secondo il quale il giudicato “non si forma, nemmeno implicitamente, sugli aspetti del rapporto che non abbiano costituito oggetto di specifica disamina e valutazione da parte del giudice, cioè di un accertamento effettivo, specifico e concreto” (Cass. 5 settembre 2016, n. 17573) e quello secondo cui la formazione del giudicato implicito “presuppone non solo che la questio facti vel iuris sia un presupposto logico indispensabile della pronuncia su altro capo della domanda o su altra domanda, ma pur - con tutta evidenza - che su detta quaestio non vi sia altra ed espressa statuizione ex professo” (Cass. 20 marzo 2014, n. 6523).

Nel caso appena rappresentato, la prima massima sembra confermare che la decisione di secondo grado non contenesse una “specifica disamina e valutazione da parte del giudice” della questione della regolarità del contraddittorio, mentre la seconda lascia il dubbio che la qualità di contraddittore necessario del liquidatore giudiziale abbia costituito “un presupposto logico indispensabile della pronuncia su altro capo della domanda”.

In conclusione, non può che ripetersi che è meglio evitare simili gineprai processuali, facendo partecipare sempre al giudizio tanto il debitore quanto il liquidatore giudiziale.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire le pronunce rilevanti, i contributi dottrinari e le disposizioni normative interessate direttamente nel commento.

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