La nomina di un nuovo difensore non fa presumere la revoca del precedente

03 Ottobre 2017

La pronuncia in commento pone l'attenzione sulla nomina nel corso del giudizio di un altro difensore, in assenza di qualsiasi indicazione al riguardo nella procura alle liti.
Massima

La nomina, nel corso del giudizio, di un secondo procuratore non autorizza, di per sé sola, in difetto di univoche espressioni contrarie, a presumere che la stessa sia fatta in sostituzione del primo, dovendosi, invece, presumere che ne sia stato aggiunto a questi un altro, e che ognuno di essi sia munito di pieni poteri di rappresentanza processuale della parte, in base al principio del carattere ordinariamente disgiuntivo del mandato stabilito dall'art. 1716, comma 2, c.c..

Il caso

Un soggetto agiva in giudizio affinché fosse dichiarata la risoluzione della disposizione modale, contenuta in un testamento pubblico, con la quale il testatore (suo fratello) aveva lasciato tutti i suoi beni ai suoi due germani (uno dei quali, per l'appunto, era l'attore in primo grado) con l'onere di accudire in casa la loro unica sorella. L'attore in primo grado affermava che, dopo la morte del testatore, egli e il di lui fratello avevano accudito alternativamente la sorella, ma alla morte dell'altro fratello onerato, gli eredi di quest'ultimo (subentrati nella quota e, quindi, convenuti in giudizio) non avevano adempiuto all'onere su di loro gravante, prelevando invece indebitamente somme di denaro dai conti correnti destinati alle cure del soggetto beneficiario dell'onere. Pertanto, l'attore in primo grado domandava la risoluzione della disposizione modale menzionata con conseguente acquisto per accrescimento in suo favore della quota ereditaria (in cui gli eredi convenuti erano subentrati) e la condanna dei convenuti alla restituzione delle somme indebitamente prelevate.

La causa veniva interrotta e in seguito riassunta. Il Tribunale adito dichiarava inammissibili le domande nuove introdotte con il ricorso in riassunzione nonché la domanda riconvenzionale di rendiconto; condannava i convenuti, pro quota, a corrispondere alla beneficiaria dell'onere e per ella all'attore la quota di assegno vitalizio alimentare quantificata in 500,00 euro mensili, con compensazione delle spese di lite.

Seguiva procedura di correzione errore materiale ex art. 287 ss. c.p.c. della sentenza di primo grado, instaurata dall'originario attore con nuovi difensori.

La sentenza emendata ai sensi degli artt. 287 e ss. c.p.c. veniva impugnata dai convenuti in primo grado con atto notificato ai difensori dell'attore nel primo grado.

La Corte d'appello dichiarava inammissibile il gravame per essere inesistente, e quindi non sanabile, la notifica effettuata al precedente revocato difensore.

Gli appellanti impugnano tale decisione proponendo ricorso per cassazione, articolando un unico motivo. Resiste con controricorso la parte intimata.

La questione

La questione giuridica esaminata dalla pronuncia in commento è la seguente: la nomina nel corso del giudizio di un altro difensore, in assenza di qualsiasi indicazione al riguardo nella procura alle liti, è sufficiente per ritenere che sia stato revocato il mandato all'originario difensore?

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio al giudice a quo affinché si attenga al principio di diritto enunciato.

Il Supremo Collegio esordisce nell'iter motivazionale della pronuncia in esame affermando come debba essere disattesa la deduzione di parte ricorrente secondo cui avrebbe errato la Corte territoriale nel ritenere che il conferimento del mandato anche agli avvocati nominati in occasione della procedura di correzione dell'errore materiale fosse limitato a tale incidente e che non si estendesse anche al giudizio di merito. In effetti, precisano i Supremi Giudici che a tal riguardo la costante giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ., 19 gennaio 2015, n. 730) ha affermato che la procura rilasciata al difensore nel giudizio concluso con la sentenza da correggere è valida anche per la proposizione del ricorso per la correzione di errore materiale, in quanto il procedimento di correzione non introduce una nuova fase processuale, ma costituisce un mero incidente dello stesso giudizio, diretto solo ad adeguare l'espressione grafica all'effettiva volontà del giudice, già espressa in sentenza.

Pertanto, ritiene il Supremo Collegio che, se deve reputarsi che il procedimento di correzione non abbia autonomia rispetto al giudizio di merito, deve pervenirsi alla conclusione (correttamente fatta propria dalla sentenza gravata) per la quale il rilascio di una procura a margine di un ricorso ex art. 288 c.p.c., non può non estendersi, in assenza di un'espressa limitazione al solo incidente processuale, anche all'eventuale prosecuzione del giudizio di merito (ove la sentenza di cui si richiede la correzione sia successivamente interessata da un'impugnazione).

Tuttavia, il Collegio, pur dando atto di un orientamento contrario (Cass. civ., sez. lav, 20 dicembre 2004,n. 23589), ritiene di dover aderire all'orientamento a mente del quale «[…] la nomina, nel corso del giudizio, di un secondo procuratore non autorizza, di per sé sola, in difetto di univoche espressioni contrarie, a presumere che la stessa sia fatta in sostituzione del primo procuratore dovendosi invece ritenersi che sia stato aggiunto al primo un secondo procuratore, e che ognuno di essi sia munito di pieni poteri di rappresentanza processuale della parte, in base al principio del carattere ordinariamente disgiuntivo del mandato stabilito dall'art. 1716 c.c., comma 2 (conf. Cass. civ., 27 luglio 2007, n. 16709; Cass. civ., 13 febbraio 2002, n. 2071)». Ciò premesso, con riferimento al caso di specie al suo vaglio, la Suprema Corte ritiene che dalla lettura della procura posta a margine del ricorso per correzione di errore materiale non si potesse ravvisare una volontà di revoca dell'incarico conferito ai precedenti difensori; tanto porta a ritenere che, ferma restando la volontà di eleggere domicilio presso i nuovi difensori designati (per quanto detto, in aggiunta ai precedenti) doveva reputarsi sussistente il rapporto di mandato anche con i legali che avevano assistito l'attore nel giudizio di primo grado. La Suprema Corte ne deduce che la notifica dell'atto di appello effettuata presso il domicilio in precedenza eletto doveva ritenersi valida.

Senonché, soggiunge la Suprema Corte, anche laddove si ritenga che la notifica dell'appello ai difensori del primo grado sia affetta da nullità, e non già da inesistenza (come invece ritenuto dalla Corte distrettuale), le conclusioni non muterebbero. Ciò in quanto, la qualifica del vizio della notifica in termini di nullità impone infatti di ritenere che la successiva costituzione dell'appellato, ancorché al solo fine di eccepire la nullità della notifica, abbia avuto efficacia sanante del vizio de quo, rivelandosi in tal modo erronea la declaratoria di inammissibilità dell'appello.

Conclude la Suprema Corte evidenziando altresì che, anche laddove avesse voluto ritenere (il che non sarebbe consentito a detta della Suprema Corte) che la nomina dei nuovi difensori in occasione del procedimento di correzione errore materiale avesse comportato la revoca implicita dei precedenti difensori, doveva necessariamente farsi applicazione dei principi elaborati da Cass. civ., Sez. Un., 20 luglio 2016, n. 14917 in tema di inesistenza della notifica. Infatti, per le Sezioni Unite, i vizi della notificazione relativi al luogo in cui la stessa deve eseguirsi (anche qualora il luogo in cui è effettuata si riveli privo di alcun collegamento con il destinatario) ricadono sempre nell'ambito della nullità dell'atto, come tale sanabile, con efficacia ex tunc, o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata (anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità), o in conseguenza della rinnovazione della notificazione, effettuata spontaneamente dalla parte stessa oppure su ordine del giudice ai sensi dell'art. 291 c.p.c..

Osservazioni

La Suprema Corte, con la pronuncia in commento, ha quindi aderito all'orientamento giurisprudenziale prevalente per cui la nomina, nel corso del giudizio, di un secondo procuratore non autorizza, di per sé sola, in difetto di univoche espressioni contrarie, a presumere che la stessa sia fatta in sostituzione del primo procuratore. L'adesione all'indirizzo prevalente, a sommesso parere di chi scrive, appare condivisibile (rispetto all'indirizzo ermeneutico minoritario) in quanto maggiormente rispettoso del dato normativo.

In effetti, l'orientamento minoritario (cfr. Cass. civ., sez. lav., 20 dicembre 2004, n. 23589 e Cass. civ., sez. VI, 12 settembre 2014, n. 19331), di cui dà atto la pronuncia in esame, afferma che la nomina di un nuovo difensore domiciliatario nel corso del processo comporta la revoca tacita del precedente difensore del domiciliatario, salva diversa manifestazione di volontà. A detta di tale orientamento, infatti, le vicende della procura alle liti sono disciplinate dall'art. 85 c.p.c. in maniera diversa da quelle della procura al compimento di atti di diritto sostanziale, perché, mentre nella disciplina sostanziale è previsto che chi ha conferito i poteri può revocarli (o chi li ha ricevuti, dismetterli) con efficacia immediata, al contrario, né la revoca, né la rinuncia privano - di per sé - il difensore della capacità di compiere o di ricevere atti. La giustificazione di tale diversa disciplina deriva dal fatto che i poteri attribuiti dalla legge processuale al procuratore non sono quelli che liberamente determina chi conferisce la procura, ma - in quanto poteri in cui si concreta lo ius postulandi - sono attribuiti dalla legge al procuratore che la parte si limita a designare. Quindi, per tale orientamento, ne deriva che, in base all'art. 85 c.p.c., ciò che priva il procuratore della capacità di compiere o ricevere atti, non è la revoca o la rinuncia di per sé soli, bensì il fatto che alla revoca o alla rinuncia si accompagni la sostituzione del difensore. Per cui la nomina di un nuovo difensore (in assenza di altre univoche indicazioni) implicherebbe la sostituzione di cui all'art. 85 c.p.c. e, quindi, la revoca tacita del precedente difensore.

Tale orientamento, seppur persuasivo, non sembra condivisibile atteso che (come si dirà infra) l'art. 85 c.p.c. esplica la sua efficacia con riferimento alla sola dinamica processuale.

Ma procediamo per gradi.

Risulta anzitutto pacifico il presupposto da cui trae le mosse l'orientamento minoritario suindicato, ovvero che l'art. 85 c.p.c. fornisce una disciplina delle vicende della procura alle liti totalmente diversa da quella della procura al compimento di atti di diritto sostanziale. Infatti, mentre nella disciplina sostanziale è previsto che chi ha conferito i poteri può revocarli (e chi li ha ricevuti, dismetterli) con efficacia immediata, né la revoca né la rinuncia privano, invece, il difensore della capacità di compiere o di ricevere atti, se non sono accompagnati dalla sua sostituzione. La ragione di tale diversa disciplina risiede nel fatto che, con la procura alle liti, la parte non attribuisce al procuratore dei poteri da lei liberamente determinati, ma si limita a designare il procuratore cui attribuire lo ius postulandi, ossia un insieme di poteri già predeterminati dalla legge processuale (Cass. civ., sez. I, 20 ottobre 1997, n. 10643). Con l'art. 85 c.p.c. si mira in sostanza ad evitare una vacatiodi ius postulandi che potrebbe danneggiare la parte del cui patrocinio si tratta, ma, soprattutto, l'altra parte che, per compiere i propri atti, deve poter contare su una sicura legittimazione a ricevere.

Insomma, l'art. 85 c.p.c. detta una peculiare disciplina (di rilevo processuale) con riferimento all'effettivo prodursi degli effetti della revoca o della rinuncia del mandato professionale che non incide sulle vicende sostanziali dello stesso tra la parte e il difensore.

Infatti, la Suprema Corte ha chiarito che se è pur vero che la rinuncia ha effetto dal momento della sostituzione del difensore, tale principio però vale solo con riguardo agli effetti di revoca e rinuncia all'interno del processo ma non nei rapporti sostanziali tra la parte e il difensore (tant'è vero che il difensore, una volta intervenuta la revoca o la rinuncia, e ancorché la parte non abbia provveduto alla sua sostituzione, non ha ad esempio titolo per avanzare la richiesta di distrazione delle spese).

Per cui, la nomina nel corso del giudizio di un secondo procuratore, in difetto di univoche espressioni contrarie non può far presumere che la stessa sia fatta in sostituzione del primo procuratore; deve, infatti, ritenersi che (sempre in mancanza di univoche indicazioni) il nuovo difensore sia stato aggiunto al primo e che ognuno di essi sia munito di pieni poteri di rappresentanza processuale della parte. Ciò, infatti, è conforme a quanto disposto dall'art. 1716, comma 2, c.c. che ingenera una presunzione circa il carattere disgiuntivo del mandato conferito ad una pluralità di mandatari, la quale impone di ritenere che, laddove vengano nominati altri difensori (sempre in assenza di qualsiasi indicazione univoca), deve presumersi che gli stesi siano chiamati ad operare nell'interesse di colui che li ha nominati in aggiunta, e peraltro con il carattere della disgiuntività, rispetto ai difensori già nominati, occorrendo per la revoca di questi ultimi che invece sia manifestata una chiara volontà in tal senso.

Inoltre si precisa che se è pur vero che la revoca e la rinuncia, non essendo soggette ad alcun requisito di forma possono aver luogo anche per facta concludentia (Cass. civ., Sez. Un., 7 ottobre 1981, n. 5260), tuttavia, affinché, però, possano ritenersi sussistenti facta concludentia - precisa la giurisprudenza di legittimità - non è sufficiente la sola assenza del difensore alle udienze, richiedendosi anche altri fatti che,considerati unitamente a detta assenza, inducano univocamente a ritenere cessato il rapporto tra la parte ed il difensore.

L'orientamento prevalente cui ha aderito la Suprema Corte con la pronuncia in esame appare quindi coerente con il dato normativo di riferimento.

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