Ammissibilità della dichiarazione di fallimento in assenza di risoluzione del concordato

02 Agosto 2016

Le disposizioni di cui agli artt. 184 e 186 l. fall. non stabiliscono espressamente, in assenza di risoluzione, il divieto di dichiarare il fallimento dell'imprenditore nel caso in cui, nella fase esecutiva del concordato, si manifesti l'incapacità di pagare i debiti anteriori al concordato ovvero insorga una nuova insolvenza per incapacità di pagare i debiti contratti dopo l'apertura della procedura e l'omologa dello stesso concordato.
Massima

Le disposizioni di cui agli artt. 184 e 186 l. fall. non stabiliscono espressamente, in assenza di risoluzione, il divieto di dichiarare il fallimento dell'imprenditore nel caso in cui, nella fase esecutiva del concordato, si manifesti l'incapacità di pagare i debiti anteriori al concordato ovvero insorga una nuova insolvenza per incapacità di pagare i debiti contratti dopo l'apertura della procedura e l'omologa dello stesso concordato. […] E' coerente con il sistema normativo ricostruito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. n. 9935/2015) la possibilità giuridica di dichiarare il fallimento dopo l'omologa del concordato nel caso in cui risulti, tramite una valutazione ex post e in concreto svolta dal tribunale in sede di giudizio prefallimentare e in eventuale antitesi rispetto al giudizio ex ante e in astratto compiuto in sede concordataria sulla fattibilità economica del piano, che l'accordo non abbia risolto la situazione di insolvenza ovvero la stessa sia sopraggiunta nella fase di esecuzione del concordato.

Il caso

La società Eldo Italia S.p.A. – il cui ricorso ex art. 160 e ss. l. fall. era stato in precedenza omologato dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere - presentava innanzi al medesimo Tribunale ricorso ex art. 6 l. fall. con il quale chiedeva che venisse dichiarato il proprio fallimento attesa l'incapacità di rispettare le obbligazioni previste nel piano concordatario omologato.

Tale richiesta di fallimento c.d. “in proprio” veniva formulata pur in assenza della preventiva ed intervenuta declaratoria di risoluzione del concordato a norma dell'art. 186 l. fall.

Il Tribunale di Napoli Nord – al quale il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere aveva trasmesso gli atti in considerazione del proprio difetto di competenza – ha ritenuto ammissibile il sopra citato ricorso dichiarando il fallimento della ricorrente.

La questione

Con la sentenza in commento il Tribunale di Napoli affronta il controverso tema dell'ammissibilità della richiesta di fallimento in assenza di preventiva risoluzione del concordato preventivo omologato.

Per giungere alla sentenza dichiarativa di fallimento il Tribunale campano, operata una preliminare ricostruzione sull'evoluzione legislativa in tema di ammissibilità della dichiarazione di fallimento nella fase esecutiva di concordato omologato, ha motivato la propria decisione osservando che:

1. dal combinato disposto di cui agli artt. 184 e 186 l. fall. si evince, da un lato, l'obbligatorietà in capo a tutti i creditori anteriori al decreto ex art. 163 l. fall. e, dall'altro, la possibilità di scioglimento del vincolo “contrattuale” solo in conseguenza della sentenza di risoluzione o annullamento del concordato omologato;

2. l'art. 184 l. fall. non prevede - come corollario dell'effetto esdebitatorio conseguente al decreto di omologazione del concordato - alcuna limitazione in capo ai creditori di ottenere – in caso di inadempimento – la realizzazione coattiva degli obblighi assunti anche per via esecutiva;

3. gli articoli di cui sopra non sanciscono un divieto espresso – in assenza di risoluzione – di dichiarare il fallimento dell'imprenditore per il caso in cui – successivamente all'intervenuta omologa – si manifesti una nuova insolvenza ovvero non si superi quella che ha condotto alla crisi poi affrontata mediante la procedura concordataria; nonché

4. l'“ombrello” protettivo del c.d. automatic stay accordato a norma dell'art. 168 l. fall. (ed anticipato in caso di concordato con riserva) non copre le obbligazioni sorte successivamente all'intervenuta definitività del decreto di omologazione del concordato preventivo.

Muovendo da tali principi, il Tribunale di Napoli - ulteriormente richiamata, da un lato, la sentenza della Corte Cost. 2 aprile 2004, n. 106 (che aveva ritenuto conforme al dettato costituzionale una interpretazione degli artt. 137 e 186 l. fall. non preclusiva della dichiarazione di fallimento pur in assenza della preventiva pronuncia risolutoria) e, dall'altro lato, la pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 9935/2015 (in tema di assenza di pregiudizialità tecnico/giuridica tra procedura prefallimentare e concordato preventivo c.d. esaurito) – verificati i presupposti soggettivi ed oggettivi di cui all'art. 1 l. fall. dichiarava il fallimento della debitrice.

Le soluzioni giuridiche

La pronuncia in commento sembrerebbe inserirsi nel solco dell'orientamento (condiviso dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza n. 106/2004) secondo cui l'omologazione del concordato non comporti ex se né una statuizione definitiva ed incancellabile circa il superamento definitivo dello stato di insolvenza né – tantomeno – un divieto per i creditori anteriori, pur falcidiati dal concorso - ma rimasti insoddisfatti per effetto del mancato rispetto da parte della debitrice delle obbligazioni contratte in virtù del “patto” concordatario - di agire, anche esecutivamente, sul patrimonio del debitore concordatario inadempiente alle obbligazioni assunte con il piano omologato.

L'omologazione, dunque, non determinerebbe un effetto novativo sulle obbligazioni ante procedura, bensì uno conformativo; di conseguenza il loro “mancato soddisfacimento entro i termini previsti, sia pure in moneta concordataria, sarebbe esso stesso dimostrativo della persistenza di una situazione di insolvenza” tale da meritare la dichiarazione di fallimento (A. Farolfi, Risoluzione e annullamento del concordato, in questo portale).

Chiarito quanto sopra, il Collegio giudicante, richiamate le considerazioni svolte dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella pronuncia n. 9935/2015 (secondo cui la dichiarazione di fallimento può intervenire unicamente in caso di esaurimento della procedura di concordato preventivo ed in particolare nei casi di cui agli artt. 162, 173, 179 e 180 l. fall.), osserva che, sancendo l'art. 181 l. fall. un caso di esaurimento della procedura concordataria “ex lege”, è da considerarsi senz'altro ammissibile la dichiarazione di fallimento diretta qualora risulti che l'accordo con i creditori non abbia eliminato la situazione di insolvenza ovvero che la stessa sia sopraggiunta nella fase di esecuzione del concordato.

Ed infatti – a seguito del decreto di chiusura della procedura di concordato a norma dell'art. 181 l. fall. – non potrebbe nemmeno più parlarsi di pendenza della procedura di concordato preventivo, cosicché, alla luce dell'insegnamento delle Sezioni Unite sopra richiamato, nulla osterebbe alla dichiarazione di fallimento nella fase esecutiva del concordato e pur in assenza della previa risoluzione.

Osservazioni

Il percorso argomentativo svolto dal Tribunale di Napoli nella propria sentenza merita qualche ulteriore riflessione soprattutto con riferimento al richiamo ivi operato alla più volte citata sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Quest'ultima pronuncia è stata infatti oggetto di puntuale richiamo e commento in un caso molto simile a quello de quo e deciso dal Tribunale di Venezia (sent. 6 novembre 2015, n. 180).

Parzialmente differente, però, il percorso motivazionale compiuto dal Tribunale veneto che – a parere di chi scrive – appare aderire maggiormente all'attuale conformazione della legge fallimentare regolante la fase esecutiva/risolutiva del concordato preventivo omologato.

Partendo da una fattispecie – come detto – del tutto simile a quella decisa dal Tribunale di Napoli (i.e. istanza di autofallimento presentata da società il cui concordato era stato in precedenza omologato ed in assenza di risoluzione/annullamento), il Tribunale di Venezia – nel motivare l'accoglimento di tale ricorso – ha innanzitutto messo in rilievo ciò che lo stesso art. 186 l. fall. dispone, ovvero che la domanda di risoluzione/annullamento del concordato preventivo omologato può essere unicamente richiesta dai creditori.

Chiarito tale aspetto (per quanto si dirà infra non secondario), il Tribunale pone correttamente l'accento sulla sostanziale diversità tra il caso in cui il fallimento sia dichiarato in costanza di procedura concordataria quale provvedimento necessario e conseguente ad uno dei casi di cui agli artt. 162, 173, 179 e 180 l. fall. - laddove, in caso di istanza di fallimento riunita alla procedura concordataria, il Tribunale, dichiarata l'inammissibilità, la revoca e o il rigetto della domanda di omologa dichiara contestualmente il fallimento per il venir meno di una delle due alterative di regolamentazione della crisi - ed il diverso caso in cui la richiesta di (auto)fallimento sopraggiunga nella fase successiva del concordato preventivo.

In tale ultimo caso, il Tribunale di Venezia – conformandosi alla citata pronuncia delle Sezioni Unite – osserva che “data l'eventuale sopravvenuta impossibilità di realizzazione del piano concordatario, anche in assenza i declaratoria di risoluzione, non vi è norma alcuna né ratio che sottragga al fallimento il debitore ormai inadempiente al piano concordatario. Non essendovi più due opzioni alla soluzione della crisi, perché quella del piano concordatario non risulta più percorribile, e in presenza di una richiesta di fallimento da parte dello stesso debitore, fondata sulla predetta impossibilità di realizzazione del piano concordatario, non può ritenersi ostativo l'accoglimento dell'istanza di auto-fallimento l'assenza o impossibilità di risoluzione del concordato”.

Ebbene, se si può concordare su quanto argomentato dal Tribunale di Venezia, ed invero in sostanza anche dal Tribunale di Napoli, per il caso di richiesta di auto-fallimento ovvero nel diverso caso in cui l'istanza di fallimento sia presentata da un “nuovo” creditore che abbia maturato il proprio credito in fase esecutiva, qualche perplessità in più permane, invece, qualora l'istanza di fallimento “diretta” sia presentata da parte di un creditore concorsuale.

Ed infatti, se è vero che l'omologazione del concordato non può comportare statuizione circa un definitivo superamento dello stato di insolvenza (il cui accertamento può avvenire in ogni momento), altrettanto vero che una simile istanza di fallimento – in assenza della previa pronuncia di risoluzione e/o annullamento del concordato preventivo – potrebbe risultare difficilmente compatibile con la ratio stessa del nuovo art. 186 l. fall., secondo cui – come noto – solo i creditori hanno facoltà di promuovere l'azione di risolutoria che potrà essere accolta laddove l'inadempimento non sia di scarsa importanza.

Tale ultimo accertamento (a cui il nuovo art. 186 l. fall. ha inteso subordinare la risoluzione del concordato quale elemento oggettivo) potrebbe sfuggire ai poteri del Tribunale in sede di procedura prefallimentare regolata dall'art. 15 l. fall. e volta ad accertare i presupposti di cui agli artt. 1 e 5 l. fall.

Ciò a meno che non si sostenga – forse però con profili problematici anche in tema di ultrapetizione – che il Tribunale, anche in sede prefallimentare, possa compiere una attività di accertamento (incidenter tantum?) simile a quella di cui all'art. 186 l. fall.

A quanto sopra si aggiunga, inoltre, che da un'applicazione sistematica, rigorosa e forse troppo formalistica dello stesso art. 186 l. fall. potrebbe conseguire qualche criticità anche con riferimento al caso in cui la richiesta diretta di fallimento giunga dallo stesso debitore.

Ed infatti, tale istanza di fallimento (sebbene proveniente dallo stesso debitore), impedirebbe comunque l'instaurazione del contraddittorio con la necessaria controparte “contrattuale” del concordato (e quindi i creditori concordatari). Si giungerebbe, dunque, alla forse paradossale situazione secondo cui, pur magari in presenza di un inadempimento non grave (ma in presenza di una richiesta del debitore), il Tribunale – accertati i presupposti a norma dell'art. 15 l. fall. – dovrebbe dichiarare il fallimento.

Dall'altro lato, comunque, considerare non meritevole di accoglimento una simile richiesta potrebbe comportare – nel caso di inerzia dei creditori concorsuali nell'instaurare il giudizio di risoluzione del concordato come spesso nella pratica accade – l'impossibilità per il debitore diligente di chiedere il proprio fallimento evitando così l'aggravamento del dissesto con ogni conseguenza del caso, anche sotto il profilo della responsabilità penale.

Sul punto merita comunque menzione in nuovo articolo 185 l. fall., mediante il quale il Legislatore, se da un lato ha cercato di “potenziare” le attribuzioni di Tribunale e commissario giudiziale nella fase esecutiva del concordato, ha, dall'altro lato, mancato di (ri)potenziare quelle nella fase di risoluzione/annullamento.

Guida all'approfondimento

In dottrina:

  • Farolfi, Risoluzione e annullamento del concordato, su questo portale;
  • D. Galletti, Fallimento del debitore concordatario in assenza o nell'impossibilità di pronunziare la risoluzione del concordato, in questo portale.
  • P. Pajardi, Codice del Fallimento, a cura di M. Bocciola e A. Paluchowski, Milano, 2013.

In giurisprudenza:

  • Cass. S.U., 15 maggio 2015, n. 9935
  • Cass. 10 febbraio 2016, n. 2695
  • Trib. Venezia, 6 novembre 2015, n. 180
  • Corte Cost. 2 aprile 2004, n. 106

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