Concordato preventivo, pagamento parziale ai privilegiati e finanza esterna

Federico Clemente
Dario Donadoni
04 Ottobre 2017

L'evoluzione della procedura concordataria ha sicuramente aperto crescenti spazi alla ristrutturazione del passivo. Di portata certa al riguardo è la possibilità prevista dall'articolo 160, comma 2, l.fall. a mente del quale "la proposta può prevedere che i creditori muniti di privilegio, pegno e ipoteca non vengano soddisfatti integralmente, purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti su cui sussiste la causa di prelazione".
Premessa

L'evoluzione della procedura concordataria ha sicuramente aperto crescenti spazi alla ristrutturazione del passivo.

Di portata certa al riguardo è la possibilità prevista dall'art. 160, comma 2, l.fall. a mente del quale "la proposta può prevedere che i creditori muniti di privilegio, pegno e ipoteca non vengano soddisfatti integralmente, purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti su cui sussiste la causa di prelazione".

Come è noto, tale valore deve essere indicato nella relazione giurata di un professionista che abbia le medesime qualifiche richieste per la attestazione di veridicità dei dati e di fattibilità del piano.

La possibilità di soddisfacimento parziale è estesa anche, ai sensi dell'art. 182-ter, ai "tributi amministrati dalle agenzie fiscali" ed ai "contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatoria" ed ai relativi accessori; con le modifiche di cui alla legge 11 dicembre 2016, n. 232, non vi è più alcuna limitazione al riguardo, rispetto alla originaria esclusione di IVA e ritenute dalla facoltà di stralcio.

Infine, in chiusura dell'art. 160, comma 2, l.fall.si prescrive che "il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l'effetto di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione".

La finanza esterna

L'impianto normativo, per come è congegnato, comporta in prima analisi la seguente consequenzialità (quantomeno per i creditori assistiti da privilegio mobiliare generale):

  • i creditori privilegiati devono ricevere in sede concordataria non meno di ciò che potrebbero ricevere in ipotesi liquidatoria;
  • i creditori privilegiati che in ipotesi liquidatoria verrebbero soddisfatti solo in parte o per nulla devono essere soddisfatti con un contributo di liquidità ulteriore rispetto alle prospettive di liquidazione del patrimonio del debitore (che, in via approssimativa e con tutti i limiti della definizione, si può genericamente definire come finanza esterna).

Soffermandosi, senza pretese di esaustività, sulla nozione di finanza esterna (Cfr. Vitiello, “Il concetto di finanza esterna nel concordato preventivo: fattispecie problematiche” in questo portale), essa deve essere individuata in un apporto ulteriore; un quid pluris rispetto ai beni ceduti dal debitore in ipotesi liquidatoria.

Quanto al divieto di alterare l'ordine delle cause di prelazione, si apre un dubbio interpretativo che può divenire dirimente circa le sorti del concordato.

Secondo una prima interpretazione, la norma va intesa nel senso che ad un creditore di grado poziore deve essere garantito un pagamento percentuale non inferiore a quello dei creditori privilegiati di grado inferiore (o, secondo taluni, comunque superiore).

Secondo un'interpretazione più restrittiva il principio enucleato comporta che in ogni caso non possa soddisfarsi una categoria di credito di rango inferiore fino a che non sia soddisfatta interamente la categoria di rango superiore.

Quest'ultima interpretazione –benchè prevalente - non convince appieno.

Il principio di chiusura del secondo comma dell'art. 160 l.fall. è infatti contenuto nello stesso comma in cui è prevista la falcidiabilità delle spettanze dei prelatizi.

Il che, evidentemente, significa che ogni miglioramento rispetto all'opzione liquidatoria può essere destinato al pagamento solo percentuale dei privilegiati, purché come detto i creditori di grado inferiore non beneficino di percentuali più elevate di quelle di grado superiore.

Secondo chi scrive, non è plausibile che la disposizione di chiusura vada a contraddire appieno la linea di condotta nel cui ambito è stata collocata, oltretutto a fronte di una serie di interventi normativi che, come da Relazione illustrativa, vanno nell'indirizzo di voler agevolare lo strumento concordatario.

Come linearmente tracciato da parte della giurisprudenza (Tribunale di Udine, 15 giugno 2011) è possibile "una alterazione dell'ordine delle cause legittime di prelazione e... un pagamento dei chirografari nonostante il pagamento parziale dei privilegiati generali, qualora e nei limiti in cui vi sia c.d. finanza esterna, o meglio, vi siano risorse estranee al patrimonio assoggettato al concorso ed aggiuntive rispetto ad esso; a condizione cioè che in buona sostanza i creditori privilegiati non vengano trattati in modo deteriore rispetto all'ipotesi di apertura della procedura fallimentare".

La norma, dunque, ad avviso di chi scrive (e pur nella consapevolezza di un'ampia corrente contraria), va interpretata nella prima direzione indicata, ossia che tutti i creditori prelatizi possono subire una falcidia delle proprie spettanze non coperte dal valore dei beni su cui grava la prelazione, purché ad essi non venga assegnata una percentuale inferiore (o addirittura, secondo una corrente di pensiero, uguale) rispetto a quella proposta per i creditori di grado inferiore e per i creditori chirografari.

Con un esempio, si ipotizzi un'impresa il cui attivo, a valori liquidatori ed al netto delle spese di realizzo, valga 1.000, ed il cui passivo sia così composto (secondo il grado delle prelazioni):

a) creditori privilegiati ex art. 2701-bis, n.1: 400

b) creditori privilegiati ex art. 2751-bis n. 5: 350

c) creditori privilegiati ex art. 2778, n. 1: 500

d) creditori privilegiati ex art. 2778 n. 7: 400

e) creditori chirografari: 1500

La situazione comporta che i creditori sub a) e b) dovranno, in ogni ipotesi concordataria, ricevere l'integrale pagamento, mentre i creditori sub c riceveranno integralmente 250 (residuo dell'attivo stimato in 1.000, al netto di 400 per a) e 350 per d)), e per il residuo 250 concorreranno insieme ai creditori sub d, che nulla riceverebbero in ipotesi liquidatoria ordinaria, ed ai chirografari.

Il monte dei creditori da soddisfare percentualmente diviene pari a 2150.

Potranno essere formate classi distinte di soddisfacimento (obbligatorie in caso di debiti tributari e contributivi ex art. 182-ter), ma in ogni caso i creditori sub c) non potranno ricevere una percentuale inferiore a d) e ad e), come pure i creditori sub d) non potranno ricevere una percentuale inferiore ai creditori chirografari.

Sul tema è intervenuta la Corte di Cassazione (Cass. 9373 del 08 giugno 2012) enucleando il seguente principio: "l'apporto del terzo si sottrae al divieto di alterazione della graduazione dei crediti privilegiati solo allorché risulti neutrale rispetto allo stato patrimoniale della società, non comportandone un incremento dell'attivo patrimoniale della società debitrice, sul quale i crediti privilegiati dovrebbero essere collocati secondo il loro grado di privilegio, né un aggravio del passivo della medesima, con il riconoscimento di ragioni di credito a favore del terzo, indipendentemente dalla circostanza che tale credito sia postergato o no".

L'attestazione della Corte ha rafforzato in dottrina i fautori della linea interpretativa restrittiva, venendo interpretata nel senso che si possa riservare la possibile falcidia dei privilegiati al solo caso in cui:

  • vi sia un contributo di un soggetto terzo;
  • tale contributo non transiti nel patrimonio del debitore;
  • quest'ultimo non subisca un incremento del passivo.

Tuttavia, il Giudice di legittimità non chiarisce secondo quale linea vada inteso il "divieto di alterazione della graduazione dei privilegiati", e non ha vincolato i contributi di liquidità al soddisfacimento integrale dei creditori con grado di prelazione superiore.

Si ritiene piuttosto che il principio vada ricondotto al caso da cui muove la Corte, ossia un caso in cui, in particolare, alcuni creditori privilegiati avrebbero ricevuto una percentuale inferiore a quella destinata ai creditori chirografari.

Se questo è il caso, allora è assolutamente plausibile l'interpretazione secondo cui le valutazioni di cui al secondo comma dell'art. 160 vadano riportate al deposito della domanda di concordato preventivo, allorché si individua il patrimonio vincolato al soddisfacimento dei creditori, con la conseguente possibilità di offrire il soddisfacimento percentuale ai creditori privilegiati non coperti dal patrimonio stesso, nei termini indicati.

Argomentando diversamente, oltretutto, si creerebbero ingiustificate disparità di trattamento tra l'ipotesi di intervento del terzo a latere del patrimonio dell'impresa e ogni altra possibilità di utilizzo di fonti esterne previste dalla normativa e dalla prassi (quali l'aumento di capitale, il finanziamento bancario, il versamento di somme sui conti correnti da parte di terzi senza riconoscimento di un correlato debito ecc.).

Il concordato in continuità

Permangono alcuni aspetti che necessitano di un approfondimento per pervenire ad un quadro più organico.

Un primo tema riguarda il rapporto tra il secondo comma dell'art. 160 l.fall., nei termini appena trattati, e il concordato preventivo in continuità, laddove la liquidità prodotta dalla prosecuzione dell'attività di impresa sia destinata al pagamento percentuale dei creditori privilegiati (altrimenti incapienti in sede liquidatoria) e di quelli chirografari.

Ci si pone il tema se tale liquidità possa essere qualificata come finanza esterna, o comunque essere ad essa assimilata, ovvero se, in quanto prodotta dalla stessa impresa debitrice, vada a costituire un attivo aziendale e, come tale, vada destinata in primis ai creditori di grado poziore, fino al loro integrale soddisfacimento.

Il tema poggia innanzitutto sulle argomentazioni sviluppate nel paragrafo che precede.

Come abbiamo potuto osservare, la Cassazione ha statuito che, laddove contributi di liquidità destinati ai creditori entrino nel patrimonio della società, non può essere mutato l'ordine delle prelazioni. Il che, peraltro, nell'indirizzo proposto, consente comunque un pagamento percentuale di tutti i creditori prelatizi degradati.

Si osserva altresì che il concordato preventivo in continuità, per sua stessa costruzione, sottrae ai creditori concorsuali tutti gli incrementi di attivo successivi alla domanda di concordato preventivo, eccedenti quanto proposto. Infatti, in tale forma concordataria la percentuale offerta ai creditori è ritenuta fissa, e non varia al variare delle risorse aziendali (a confortare la circostanza per cui si può ritenere derogata dalla legge fallimentare la prescrizione di cui all'art. 2740 c.c. quanto ai “beni futuri”, tenendo altresì conto della prevalenza della legge speciale (r.d. 267/1942) sulla legge generale (codice civile)). Pertanto, quand'anche non si aderisse all'interpretazione che si è data circa il divieto di alterazione dell'ordine delle prelazioni, per altra via si arriva al medesimo risultato di ritenere possibile il pagamento percentuale dei prelatizi degradati, nonostante il fatto che, proprio con la prosecuzione dell'attività, alcuni di essi potrebbero essere saldati integralmente.

Se così è, la liquidità prodotta dalla società dopo la domanda di concordato può essere qualificata come finanza esterna o comunque essere ad essa parificata e, conseguentemente, essere destinata al pagamento percentuale dei crediti prelatizi. Unico vincolo, essendo parte del patrimonio di impresa, il rispetto delle prelazioni, ancorché in termini percentuali.

In questi termini si è posto il Tribunale di Milano che, con decreto del 5 novembre 2016, ha affermat che "la regola generale del 160 comma due del rispetto dell'ordine delle prelazioni... debba essere intesa nel concordato in continuità come operativamente limitata, nel tempo, alla data della presentazione della domanda di concordato e nella dimensione applicativa al patrimonio della concordataria esistente a quella data... il parametro che costituisce il limite di riferibilità per appurare se vi sia violazione o meno dell'ordine della prelazione o se la stessa sia degradata e, quindi venuta meno e incorporata nel chirografo, è il momento della presentazione della domanda perché ciò che è valutabile ai fini della capienza in sede di redazione del piano è solo il patrimonio attuale della società e solo esso sarebbe passibile di azioni esecutive o di collocazione sul mercato...".

Rafforza tale conclusione il riferimento agli artt. 45 e 55 l.fall., richiamati dall'art. 169 l.fall., che cristallizzano il patrimonio della debitrice alla data di presentazione della domanda.

In sintonia il Tribunale di Massa, con decreto del 29 settembre 2016, per il quale "tali risorse, liberate per mezzo dei ricavi generati dalla continuità aziendale, non configurano un attivo patrimoniale vincolato alla distribuzione secondo i principi di cui agli articoli 2740 e 2741 c.c.; dal momento che la irreversibile degradazione a rango chirografario della quota di crediti privilegiati priva di capienza sui beni in relazione ai quali la prelazione insiste non appare suscettibile di reversione una volta che il debitore si sia avvalso della facoltà di soddisfare non integralmente i creditori prelatizi osservando i limiti apprestati dall'articolo 160, comma due, l.fall.”.

Ma già il Tribunale di Monza, con decreto del 22 dicembre 2011, aveva statuito che "è equiparabile a finanza terza, liberamente destinabile, il maggior attivo conseguibile nel concordato preventivo rispetto al fallimento", mentre il Tribunale di Rovereto, con decreto del 13 ottobre 2014, aveva considerato nuova finanza "tutto l'apporto finanziario che deriva dal concordato, quale che ne sia la fonte, diverso da quello ricavabile dalla liquidazione del patrimonio a valori di mercato... in tale ottica, va considerata nuova finanza anche l'utile che derivi dalla continuità aziendale".

Anche il Tribunale di Prato (decreto del 7 ottobre 2015), compiendo un passo ulteriore ed argomentando anche in termini di convenienza per il ceto creditorio, ha statuito che “nel concordato preventivo con continuità aziendale, una volta assicurato al creditore privilegiato il soddisfacimento che lo stesso può ottenere in sede fallimentare dalla liquidazione del bene su cui grava il privilegio, l'utile generato dalla prosecuzione dell'attività di impresa, il quale costituisce, quindi, un beneficio aggiuntivo, può essere liberamente distribuito tra i creditori chirografari anche qualora i creditori privilegiati non abbiano ottenuto l'integrale soddisfazione; non consentire tale possibilità argomentando con l'inammissibilità della proposta che preveda la violazione dell'ordine delle cause di prelazione, significherebbe, infatti, imporre ai creditori una soluzione per loro pregiudizievole, evidentemente contraria al principio della migliore soddisfazione che, nel concordato con continuità aziendale, deve considerarsi un criterio interpretativo di carattere generale”.

L'ammissibilità della deroga si fonda, tra le altre, sul principio della miglior soddisfazione del ceto creditorio. Si veda, in ottica di lettura sistematica, l'art. 182-quinquies comma 4 l.fall. che, proprio in virtù della funzionalità alla migliore soddisfazione dei creditori, consente al debitore di pagare i crediti anteriori per prestazioni di beni e servizi, anche quando si tratti di crediti chirografari e vi siano crediti privilegiati che dovrebbero essere soddisfatti prima ed integralmente.

Principi validi in generale, ad avviso di chi scrive, e comunque rafforzati dal tema della continuità (l'art. 186-bis l.fall. richiama espressamente l'art. 160 comma 2 l.fall. [“fermo quanto disposto dall'articolo 160, secondo comma”]).

La giurisprudenza contraria fonda le proprie argomentazioni sul disposto di cui all'art. 2740 c.c., affermando che la prosecuzione dell'attività di impresa in sede concordataria non può comportare il venir meno della garanzia patrimoniale del debitore, che risponde dei suoi debiti con tutti i beni, presenti e futuri.

Tale orientamento è contraddetto dal disposto letterale di cui all'art. 160, comma 2, l.fall. che àncora la misura dello stralcio e il divieto di alterazione dell'ordine delle prelazioni alla sola ipotesi della liquidazione (al ricavato ricavabile dalla liquidazione), e non anche a tutte le alternative concretamente praticabili, come invece previsto, ad esempio, dall'art. 180, comma 4, a proposito del cram down.

La natura del credito prelatizio degradato

Il secondo aspetto controverso su cui ci si vuole focalizzare concerne la qualifica della quota di credito prelatizio non coperto dal valore dei beni su cui grava la prelazione, ossia se tale quota mantenga la caratteristica di credito privilegiato o divenga chirografaria a tutti gli effetti.

Il tema non è di poco conto, sia per il trattamento da usarsi a tale somma, sia per i tempi e l'ordine di pagamento.

È pacifico che, in sede esecutiva, il creditore insoddisfatto dal realizzo dei beni su cui insiste la prelazione partecipi ad altre distribuzioni insieme a tutti gli altri creditori chirografari, per la quota di credito (intera o parziale) insoddisfatta.

Lo stesso art. 182-ter, quanto ai crediti tributari contributivi e privilegiati, parla espressamente di "quota degradata al chirografo" in caso di pagamento parziale.

Ed ancora, l'art. 177, comma 3, l.fall. chiarisce che "i creditori muniti di diritto di prelazione in cui la proposta di concordato prevede, ai sensi dell'articolo 160, la soddisfazione non integrale, sono equiparati ai chirografari per la parte residua del credito".

La stessa giurisprudenza sopra richiamata non pare avere dubbi al riguardo.

Si può dunque affermare che, nel momento in cui viene attestata l'inidoneità del patrimonio a soddisfare alcuni creditori prelatizi, questi divengano chirografari a tutti gli effetti.

Gli stessi quindi:

  • possono essere pagati percentualmente, con l'unica avvertenza che, come esaminato e secondo l'indirizzo proposto, in caso di apporti di liquidità che entrano nel patrimonio del debitore, la percentuale offerta ai creditori prelatizi non può essere inferiore a quella offerta ai creditori chirografari e ai prelatizi degradati di grado inferiore;
  • possono essere pagati in uno con i chirografari ab origine. In particolare, nel concordato in continuità, per la quota percentuale non devono essere pagati entro un anno dall'omologa, come previsto invece dall'art. 182-sexies con riguardo ai creditori privilegiati;
  • in caso di creditori prelatizi pagati in parte in base al valore dei beni mobili, ritiene chi scrive (nonostante opinioni contrarie) che la quota chirografaria dovrà partecipare ai riparti insieme ai chirografari, secondo le regole indicate.

Infine, in caso d'insufficienza dell'attivo, quanto disponibile andrà ripartito proporzionalmente tra i creditori prelatizi degradati e i chirografari originari, e non ai primi a preferenza dei secondi.

In conclusione
L'excursus qui sviluppato, dunque, porta a consentire ad avviso di chi scrive (si rammenta, nella consapevolezza che trattasi di un indirizzo interpretativo) la costruzione di proposte concordatarie in cui:
  • la finanza esterna introdotta in azienda (o creata nel concordato in continuità) può essere utilizzata per pagare i prelatizi secondo percentuali differenziate, purché uguali o decrescenti al decrescere dei gradi di prelazione, e uguali o superiori a quelle offerte ai chirografari;
  • in ipotesi di finanza tenuta al di fuori dell'azienda, ai prelatizi possono essere offerte percentuali che non rispecchiano l'ordine delle prelazioni;
  • la quota di credito non coperto dal valore dei beni gravati è irreversibilmente chirografaria ad ogni effetto.

Declinando i principi sopra esposti alle fattispecie concrete trattate dai Tribunali fallimentari, si deve ritenere che, una volta presentata la relazione ex art. 160 comma 2 l.fall., tutti i crediti privilegiati incapienti vengano irreversibilmente degradati a rango chirografario (su questo specifico punto cfr. Lamanna, “Definitività della degradazione al chirografo dei crediti privilegiati incapienti”, in questo portale: “una volta acquisita, quale allegato alla domanda di concordato che preveda la degradazione totale o parziale al chirografo di un credito munito di prelazione, la relazione dell'esperto prevista dall'art. 160, comma 2, credo che sia inevitabile considerare definitiva la degradazione al chirografo”.).

Pertanto, qualora il principio della irreversibile degradazione venisse condiviso, non sarebbe nemmeno necessario qualificare le risorse derivanti dalla continuità quale finanza esterna, in quanto una volta resa la relazione ex art. 160 comma 2 l.fall., con i flussi derivanti dalla prosecuzione dell'attività verrebbero pagati creditori ormai a tutti gli effetti chirografari.

Tale interpretazione sembra conforme anche alla volontà del Legislatore (anche Europeo) di favorire le soluzioni concordate della crisi e di salvaguardare, per quanto possibile, la continuità aziendale e i livelli occupazionali, come da ultimo testimoniato anche dalla modifica dell'art. 182-ter l.fall., senz'altro idonea a favorire piani concordatari fino a qualche mese fa nemmeno ipotizzabili.

In ultimissima analisi si rammenta che, in termini economici, tale orientamento è l'unico idoneo a massimizzare la soddisfazione attribuibile al ceto creditorio.

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