Le conseguenze del mancato reperimento di un documento nel fascicolo di parte al momento della decisione della causa
04 Ottobre 2017
Massima
In virtù del principio dispositivo delle prove, il mancato reperimento, al momento della decisione, di alcuni documenti ritualmente prodotti all'interno del fascicolo di parte deve presumersi espressione di un atto volontario di quest'ultima, che è libera di ritirare il proprio fascicolo e di omettere la restituzione di esso o di alcuni dei documenti ivi contenuti; ne consegue che, ove la parte non ne deduca la incolpevole mancanza (e ove ciò non risulti in maniera palese anche in assenza della parte e di una sua espressa segnalazione in tal senso), il giudice non è tenuto a ordinare la ricerca o a disporre la ricostruzione della documentazione non rinvenuta, ma è chiamato a decidere sulla base delle prove e dei documenti sottoposti al suo esame al momento della decisione. Il caso
Il Tribunale di Napoli rigettava l'appello proposto avverso la sentenza del Giudice di Pace che aveva dichiarato inammissibile la domanda di risarcimento dei danni da circolazione stradale. Nel motivare il rigetto, il giudice di secondo grado rilevava, tra le altre cose, che nell'incartamento processuale non vi era traccia di un documento (una precedente sentenza passata in giudicato) prodotto dall'appellante e che dai verbali di causa risultava che quest'ultima aveva ritirato la propria produzione nel corso del giudizio senza depositarla nuovamente entro il termine stabilito per il deposito della comparsa conclusionale. La parte soccombente proponeva ricorso per cassazione lamentando che il giudice d'appello aveva erroneamente presunto che la mancanza del fascicolo fosse dipesa dal ritiro della parte, omettendo di verificare se quella non fosse invece da imputare a negligenza della cancelleria, e non aveva perciò ordinato – come avrebbe dovuto – le opportune ricerche volte al reperimento della documentazione contenuta nel suddetto fascicolo, ritirato nel corso dell'istruzione ma ridepositato ben prima che la causa passasse in decisione. La questione
La questione affrontata nel caso specifico attiene dunque alle conseguenze del mancato rinvenimento, al momento della decisione, di alcuni documenti ritualmente prodotti nel fascicolo di parte e alla individuazione della linea di confine tra onere di segnalazione di quella mancanza ad opera della parte esente da colpa e potere del giudice di ordinare le ricerche ed eventualmente disporre la ricostruzione del contenuto degli atti e dei documenti mancanti. Le soluzioni giuridiche
La Cassazione rigetta il ricorso evidenziando che la ricorrente non aveva specificato se il fascicolo di parte, ritirato dal consulente tecnico d'ufficio, fosse presente all'udienza di precisazione delle conclusioni e che, in caso contrario, ella era tenuta a dedurre l'incolpevole mancanza ai fini dell'esercizio della facoltà di ritiro e dell'assolvimento del successivo onere di restituzione ai sensi dell'art. 169, comma 2, c.p.c.. L'omessa segnalazione, pertanto, precludeva al giudice d'appello di rilevare la mancanza dei documenti e impediva alla parte di dolersi dell'inosservanza delle forme all'atto della decisione, avendovi dato causa con il proprio comportamento negligente (art. 157, comma 3, c.p.c.). Osservazioni
L'art. 169, comma 2, c.p.c. riconosce a ciascuna parte la facoltà di ritirare il proprio fascicolo all'atto della rimessione della causa al collegio a norma dell'art. 189 c.p.c. ma stabilisce, al contempo, che la parte che si sia avvalsa di tale facoltà è tenuta alla restituzione del fascicolo non oltre il termine fissato per il deposito della comparsa conclusionale. Nei casi in cui il tribunale giudica in composizione monocratica, il ritiro dei fascicoli di parte potrà avvenire al termine dell'udienza di precisazione delle conclusioni, dopo che il giudice abbia disposto lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica a norma dell'art. 281-quinquiesc.p.c.. A differenza di quanto avviene nell'ipotesi di ritiro del fascicolo nel corso dell'istruzione, il ritiro al momento della rimessione della causa in decisione non necessita della preventiva autorizzazione del giudice; anche in tal caso, tuttavia, sembra necessario – oltre che opportuno – che il cancelliere provveda ad annotare sia il ritiro che la restituzione ai sensi dell'art. 77 disp. att. c.p.c., onde lasciare una traccia visibile di tali passaggi ed evitare così che il mancato rinvenimento, al momento della decisione,di alcuni documenti ritualmente prodotti venga ad essere ricondotto, in via presuntiva, ad una precisa scelta processuale compiuta dalla parte (la quale, dopo aver prelevato il proprio fascicolo, avrebbe poi consapevolmente omesso di depositarlo prima del termine stabilito dalla norma). Si ritiene comunemente che il termine per il deposito previsto dal secondo comma dell'art. 169 c.p.c. abbia natura perentoria, e ciò sia in virtù del dato testuale (l'espressione «al più tardi», utilizzata dal legislatore, sembra infatti esprimere l'essenza stessa della nozione di perentorietà, la quale si risolve proprio nel venir meno del potere di compiere un determinato atto con lo spirare del termine al riguardo previsto) sia alla luce della ratio ispiratrice della previsione, la cui finalità è principalmente quella di consentire alla controparte di prendere visione del fascicolo al momento di esaminare la comparsa conclusionale, così da poter verificare che lo stesso non contenga documentazione irritualmente prodotta ed avere, in caso contrario, la possibilità di spiegare le necessarie doglianze in seno alla memoria di replica. In questa prospettiva, dunque, si comprende l'affermazione, ricorrente in giurisprudenza, per cui il mancato deposito del fascicolo di parte nel termine di cui all'art. 169, comma 2, c.p.c. comporta che la decisione debba essere assunta dal giudice allo stato degli atti, non potendo egli, sostituendosi alla parte, rimettere la causa sul ruolo per acquisire il fascicolo mancante. L'art. 169 c.p.c., infatti, non prevede che, in caso di mancato deposito di un fascicolo di parte regolarmente ritirato, il giudice debba segnalare la circostanza alla parte personalmente; da ciò consegue che il giudice, una volta accertato che una parte ha ritualmente ritirato il proprio fascicolo ai sensi dell'art. 169 c.p.c., senza che poi il medesimo risulti, al momento della decisione, nuovamente depositato o reperibile, non è tenuto, in difetto di annotazioni della cancelleria e di ulteriori allegazioni indiziarie attinenti a fatti che impongano accertamenti presso quest'ultima, a rimettere la causa sul ruolo per consentire alla medesima parte di ovviare alla carenza riscontrata, ma ha il dovere di decidere la controversia allo stato degli atti (Cass. civ., 23 febbraio 2017, n. 4680). La regola secondo cui il giudice deve decidere allo stato degli atti presuppone ovviamente che la mancanza del fascicolo di parte o di singoli documenti non sia da ricondurre a fattori diversi dalla volontà della parte; diversamente, infatti, il giudice è tenuto a promuovere tutte le iniziative volte al reperimento del fascicolo, disponendo le ricerche attraverso la cancelleria, o alla ricostruzione del suo contenuto, assegnando un termine alla parte interessata. D'altro canto, l'obbligo di disporre la ricerca o la ricostruzione del contenuto dei documenti che la parte invoca a sostegno delle proprie ragioni, e che non si rinvengono al momento della decisione della causa, postula che gli atti e i documenti mancanti siano stati prodotti ritualmente in giudizio e, in particolare, che i documenti siano stati ritualmente depositati nelle forme previste dall'art. 87 disp. att. c.p.c. in cancelleria, previa attestazione da parte del cancelliere e comunicazione alle controparti o, ancora, in udienza, con obbligo di farne menzione nel relativo processo verbale. La questione di maggiore interesse, e maggiormente gravida di conseguenze processuali, riguarda tuttavia l'individuazione del criterio operativo da seguire nelle ipotesi dubbie, quando cioè non è chiara la ragione della mancanza. A tale questione non si è data una risposta univoca. Tradizionalmente, dal principio di disponibilità delle prove (art. 115 c.p.c.) la giurisprudenza fa discendere la conclusione che ciascuna parte ha facoltà di ritirare e non restituire i documenti in precedenza prodotti, sicché il mancato deposito del fascicolo anteriormente ritirato integra un comportamento del tutto legittimo che comporta unicamente il dovere per il giudice di decidere la controversia sulla base delle sole risultanze a sua disposizione. Alcune pronunce, tra le quali si colloca l'ordinanza che qui si annota, hanno poi sviluppato quel principio fino ad affermare che il mancato rinvenimento del fascicolo di parte, ovvero di uno o più documenti in esso contenuti, al momento della decisione deve presumersi espressione di una libera scelta della parte, ragion per cui solo laddove vengano dedotti specifici elementi in grado di far ritenere l'involontarietà della mancanza il giudice dovrà ordinare le necessarie ricerche a mezzo della cancelleria e, in caso di esito negativo, dovrà disporre la ricostruzione del fascicolo, dovendo negli altri casi decidere sulla base delle prove e dei documenti sottoposti al suo esame al momento della decisione. Qualora, infatti, al momento della decisione si accerti che il fascicolo di una parte non si trova materialmente allegato agli atti e non risulti in maniera palese l'involontarietà di tale mancanza, il giudice non ha l'obbligo di effettuare ulteriori ricerche, essendo onere della parte diligente verificare la presenza in atti della documentazione invocata a sostegno della propria posizione e segnalarne l'eventuale assenza attraverso una tempestiva istanza rivolta al giudice. Questo orientamento, che può dirsi maggioritario in giurisprudenza, conosce peraltro delle varianti applicative ancor più rigorose. E così, secondo una certa prospettazione interpretativa, l'istanza di ricostruzione del fascicolo di parte, che non si rinvenga nel fascicolo d'ufficio, non può essere formulata genericamente ma deve contenere la rappresentazione credibile dell'involontarietà dell'omissione, ossia la deduzione di situazioni specifiche che in qualche modo abbiano comportato la suddetta necessaria involontarietà (cfr. Cass. civ., 22 ottobre 2010, n. 21733). Altra tesi si spinge poi a richiedere una sorta di “prova di resistenza”, affermando che laddove, pur in presenza di elementi atti a far presumere l'involontarietà della mancanza del fascicolo (in quanto dovuta a smarrimento o sottrazione), il giudice venga meno al dovere di promuovere la ricerca o la ricostruzione degli atti mancanti, tale omissione può tradursi in un vizio della motivazione, ma la parte che intenda censurare tale vizio in sede di legittimità «ha l'onere di richiamare nel ricorso il contenuto dei documenti dispersi e di dimostrarne la rilevanza ai fini di una decisione diversa» (cfr. Cass. civ., 28 giugno 2017, n. 16212; Cass. civ., 3 luglio 2008, n. 18237). Tali impostazioni, peraltro, non vanno esenti da critiche. Si è infatti osservato che, poiché il ritiro e la restituzione del fascicolo di parte deve necessariamente avvenire per il tramite del cancelliere che custodisce l'incartamento processuale, ove non risulti alcuna annotazione (e non venga offerta dalla controparte la prova rigorosa e precisa) dell'avvenuto ritiro, deve presumersi che il fascicolo non sia mai stato ritirato dopo il suo deposito: da ciò deriva che il giudice deve disporre le opportune ricerche tramite la cancelleria, e, in caso di insuccesso, concedere un termine alla parte per la ricostruzione del proprio fascicolo, non potendo gravare sulla parte le conseguenze del mancato reperimento. Solo all'esito infruttuoso delle ricerche da parte della cancelleria, ovvero in caso di inottemperanza della parte all'ordine di ricostruire la documentazione mancante nel termine accordato, il giudice potrà allora pronunciare nel merito della causa sulla base degli atti a sua disposizione. È stato poi condivisibilmente rilevato che il principio di disponibilità delle prove, espressamente richiamato dalle pronunce sopra ricordate, non può essere invocato a fondamento di una pretesa facoltà della parte di sottrarre elementi di prova ritualmente acquisiti al processo: ne deriva, dunque, che la mancata restituzione dell'intero fascicolo o di alcuni documenti in esso ricompresi, al pari del loro ritiro arbitrario, non può costituire esercizio di una legittima facoltà della parte ma integra un comportamento contrario ai doveri di lealtà e probità sanciti dall'art. 88 c.p.c., dal quale il giudice può trarre argomenti di prova e che, in ogni caso, legittima un'attività ricostruttiva del contenuto dei documenti mancanti. Nel contesto di tale dibattito, l'ordinanza della Corte di Cassazione che qui si annota, fin dal richiamo al principio di disponibilità delle prove, si colloca nel solco del tradizionale e più rigoroso orientamento che, in assenza di una specifica e tempestiva segnalazione della parte, giustifica il potere-dovere del giudice di decidere sulla sola base delle prove e dei documenti sottoposti al suo esame al momento della decisione, senza alcun obbligo di utilizzare gli strumenti processuali volti al reperimento e/o alla ricostruzione del fascicolo mancante. A conclusione di quanto detto, v'è solo da aggiungere che il discorso finora svolto con riguardo al ritiro e al successivo deposito del fascicolo di parte, nonché alle vicende patologiche ad essi collegate, è modulato sulla normativa vigente e sul dato giurisprudenziale formatosi con riferimento al fascicolo cartaceo. L'intera questione va quindi rimeditata alla luce dell'avvento del processo civile telematico, in cui l'art. 169 c.p.c. e il correlato art. 77 disp. att. c.p.c. paiono aver perso di reale significato, in considerazione del fatto che il fascicolo telematico possiede una stabilità tale da rendere sempre visibili, sia per il giudice che per le parti, gli atti e i documenti in esso contenuti.
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