Art. 18 e improponibilità della domanda di riassunzione ex L. 604/66 per diversità di fatti costitutivi
01 Giugno 2016
Massima
Ai sensi del disposto del comma 48 dell' art. 1 della legge 29 giugno 2012 n. 92 , per l'applicazione del c.d. Rito Fornero, le domande diverse da quella avente ad oggetto la reintegra nel posto di lavoro, devono basarsi su “fatti costitutivi” identici a quelli fondanti la richiesta nel giudizio di tutela reale. Ne consegue che la lettura della suddetta disposizione e la sua ratio rendono improponibile la domanda di riassunzione del prestatore di lavoro exart. 8 l. 15 luglio 1966 n. 604 , spiegata in via subordinata all'applicazione dell'art. 18 l. 20 maggio 1970 n. 300, in ragione della diversità dei rispettivi fatti costitutivi, così come in tutti i restanti casi di domande connesse a quella di reintegra nel posto di lavoro. Il caso
Un dipendente della società Poste Italiane s.p.a. proponeva ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello di Catanzaro con la quale era stato dichiarato inammissibile il reclamo presentato dallo stesso avverso l'ordinanza del Tribunale di Cosenza, che aveva rigettato l'impugnativa di licenziamento con richiesta di tutela reale ritenendo, altresì, irrilevante che nella medesima domanda del lavoratore fosse prevista anche la tutela obbligatoria.
In particolare, la Corte territoriale aveva qualificato il provvedimento impugnato quale ordinanza resa ex lege92 del 2012 normativa applicabile dal 18 luglio 2012 a tutte le impugnazioni giudiziali di licenziamento con richiesta di tutela reale e, pertanto, ne aveva dichiarato l'inammissibilità in quanto la Corte d'Appello può essere adita solo a seguito del giudizio a cognizione piena innanzi al Tribunale c.d. opposizione e non per saltum sulla base del solo giudizio a cognizione sommaria.
Il ricorrente aveva, dunque, adito la Suprema Corte di Cassazione lamentando l'erronea applicazione della normativa di cui alla legge n. 92/2012 in ordine alla domanda di tutela obbligatoria, comunque, spiegata in quanto il giudicante avrebbe dovuto disporre il mutamento del rito o ritenerla compresa nell'originaria domanda di tutela reale. Lamentava, inoltre, che il licenziamento impugnato costituirebbe un nuovo licenziamento e non la reviviscenza di quello precedente già impugnato e dichiarato illegittimo. Infine, si doleva che la Corte d'Appello avrebbe dovuto rinviare la causa al giudice di primo grado per disporre il mutamento del rito in relazione alle domande diverse dalla tutela reale al fine di ottenere una pronuncia sul merito a cognizione piena ai sensi dell' art. 414 c.p.c. Le questioni
La sentenza in commento - dopo aver affrontato la questione dell'applicabilità della legge 28 giugno 2012, n. 92 alle controversie instaurate successivamente alla data di entrata in vigore della stessa e aventi ad oggetto la domanda di tutela reale exart. 18 St. L av ., nonché l'obbligatorietà del Rito Fornero in tale evenienza – ha posto la sua attenzione alla decodificazione del termine “fatti costitutivi” al fine di delineare l'ambito di applicazione del Rito Fornero, o meglio, alle “domande diverse basate sui medesimi fatti costitutivi” e, in particolare, la proponibilità della domanda di riassunzione exart. 8 l. 15 luglio 1966, n. 604 in via subordinata alla tutela reale exart. 18 l. 20 maggio 1970, n. 300 ( St. Lav .), quest'ultima soggetto al Rito Fornero. Ne consegue che tale questione implica quella di accertare i fatti costitutivi sottesi alla tutela reale al fine di rapportarli a quelli implicanti la tutela obbligatoria prevista dall' art. 8 l . n. 604/1966 , con le relative ricadute in termini di onere della prova soprattutto laddove il requisito dimensionale venga elencato tra i fatti costitutivi della tutela reintegratoria exart. 18 St. Lav .
Tale interpretazione non può prescindere ovviamente dall'accertamento della natura e della ratio dell'innovazione legislativa introdotta con la l. n. 92/2012 e dell'evoluzione normativa in materia di tutela reintegratoria. Le soluzioni giuridiche
Se l'applicazione del Rito Fornero può avere ad oggetto anche “domande diverse” da quelle aventi ad oggetto la tutela reintegratoria, purché fondate sui medesimi fatti costitutivi, ne consegue che la principale questione controversa attiene all'identificazione dei fatti costitutivi posti alla base della tutela reintegratoria e di quella obbligatoria e, dunque, alla ripartizione dell'onere della prova sugli aspetti rilevanti nel giudizio avente ad oggetto la legittimità del recesso dal contratto di lavoro.
In linea generale, il lavoratore deve provare l'esistenza del rapporto di lavoro e dell'intervenuto licenziamento ( Cass., Sez. Lav., 13 aprile 2000, n. 4760 in Riv. It. Dir. Lav. 2001, II, 166; Cass., Sez. Lav., 13 luglio 2001 n. 9554 in Riv. It. Dir. Lav. 2002, II, 606); mentre il datore di lavoro deve dimostrare l'esistenza della giusta causa o del giustificato motivo ( art. 5 l . 15 luglio 1966, n. 604 ). Non risulta, invece, alcuna indicazione su chi incomba l'onere della prova del requisito dimensionale al quale è subordinata l'applicazione della tutela offerta dall' art. 18 St. Lav .
Occorre, quindi, mutuare i principi generali sanciti dall' art. 2697 c.c. e, al riguardo, in giurisprudenza si sono delineati due orientamenti.
Secondo un primo risalente orientamento della Suprema Corte di Cassazione era il lavoratore che invocava la tutela prevista dall' art. 18 St. Lav . a dover provare l'esistenza del requisito dimensionale, in quanto era considerato fatto costitutivo della domanda.
Invero, secondo la l . 15 luglio 1966, n. 604 era regola generale il solo divieto di licenziamento in assenza di giusta causa o giustificato motivo; mentre il lavoratore che pretendeva l'applicazione della tutela speciale prevista dall' art. 18 l. n. 300/1970 doveva provare la consistenza numerica indicata, allora, dall' art. 35 l. n. 300/1970 . In tale ottica, il requisito dimensionale era considerato elemento costitutivo del diritto alla reintegrazione dedotto in giudizio dal lavoratore con conseguente onere a suo carico in applicazione dei principi sottesi all' art. 2697 c.c. ( Cass., Sez. Un., 4 marzo 1988, n. 2249 ; Cass., sez. lav., 7 dicembre 1998, n. 12375 ; Cass., sez. lav., 22 novembre 1999, n. 12926 ; Cass., sez. lav., 27 agosto 2003, n. 12579 ). Il ragionamento alla base di tale orientamento s'inverava nel considerare “generale” la tutela obbligatoria ed eccezionale quella reale evidenziando la non riconducibilità dei rimedi contro il licenziamento illegittimo ai principi generali del diritto civile.
Successivamente all'entrata in vigore della l. n. 108/1990 è stata semplificata l'individuazione della tutela contro il licenziamento ingiustificato modificando in positivo l'ambito di applicazione della l. n. 604/1966 (in particolare l'art. 8 l. cit.).
In tale contesto, si iniziava a sviluppare il secondo orientamento secondo il quale la tutela obbligatoria era diventata residuale rispetto a quella reintegratoria con ciò comportando l'onere per il datore di lavoro di dimostrare in via d'eccezione la mancanza del requisito dimensionale e l'inapplicabilità dell' art. 18 St. Lav . (Proto Pisani, Il giudizio di legittimità dell'impugnazione dei licenziamenti, in Foro. It, 1990, V, 374; Mazziotti, I licenziamenti dopo la l. 11 maggio 1990, n. 108, Torino, 1991, 23; contra Cass., Sez. Un., 26 aprile 1994, n. 3966 in Foro It. 1994, I, 1708; Cass., sez. lav., 8 maggio 2001, n. 6421 in Mass. Giur. Lav. 2001, 852).
Sul punto si è poi pronunciata la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite nel 2006 ( Cass., Sez. Un . 10 gennaio 2006, n. 141 , in Arg. Dir. Lav., 2006, 601; anche in Corr. Giur. 2006, 6, 662 con nota di Barraco “Licenziamento e tutela reale: l'onere della prova tra norma sostanziale e processo”).
L'argomento principale da cui muove la sentenza della Suprema Corte di Cassazione è il principio di unità e coerenza dell'ordinamento in ossequio al disposto dell' art. 3 Cost. sulla scorta del quale le tutele previste dall' art. 8 l. n. 604 /1966 e dall' art. 18 l. n. 300/1970 devono essere ricondotte ai principi generali del diritto civile, laddove la tutela in forma specifica costituisce la regola generale rispetto a quella risarcitoria. Orbene, l'ordine giudiziale di reintegrazione nel posto di lavoro realizza in forma specifica la tutela risarcitoria conseguente alla lesione del diritto soggettivo al lavoro arrecata attraverso il licenziamento illegittimo. Soltanto in caso di difetto di presupposti dell' art. 18 St. Lav . non potrà operare la tutela reale e il lavoratore illegittimamente licenziato potrà ottenere la tutela obbligatoria. Proprio il requisito dimensionale è l'elemento, in presenza del quale è possibile avere la tutela reale. La Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto, quindi, di seguire il recente orientamento, opposto al precedente ed espresso in alcune sentenze, nel quale l'onere di provare l'inesistenza del requisito dimensionale spetta al datore di lavoro. È stato evidenziato che i fatti costitutivi della domanda del lavoratore sono esclusivamente l'esistenza del rapporto di lavoro subordinato e l'illegittimità dell'atto espulsivo; mentre le dimensioni dell'impresa, insieme al giustificato motivo oggettivo, sono fatti impeditivi del diritto soggettivo dedotto in giudizio con onere della prova a carico del datore di lavoro. Ciò trova avvallo anche nel principio di vicinitas della prova enunciato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione nel 2001 ( Cass., Sez. Un., 30 ottobre 2001, n. 13533 ). Osservazioni
Tale situazione è perdurata fino alla riforma del 2012 che, non solo ha modificato l' art. 18 St. Lav . prevedendo la tutela reintegratoria nei soli casi di licenziamento nullo (Carinci, Ripensando il nuovo art. 18 dello Statuto dei lavoratori, in Arg. Dir. Lav. 2013, 461) con ciò ribaltando uno dei capisaldi su cui era fondata la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite 2006, ma anche introducendo un rito speciale per i licenziamenti soggetti alla tutela prevista dall' art. 18 St. Lav . ( art. 1, commi 47 ss., l. n. 92/2012 : “Le disposizioni dei commi da 46 a 48 si applicano alle controversie aventi ad oggetto l'impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall' art. 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300 e successive modificazioni.”).
Qui occorre evidenziare due aspetti importanti: da un lato, con il nuovo intervento legislativo la tutela offerta ai lavoratori non sembrerebbe più riconducibile alle normali conseguenze dell'invalidità dell'atto previste dal diritto civile se sol si consideri che l' art. 8 l. n. 604/1966 aveva ed ha efficacia solutoria del recesso e che la quantificazione del risarcimento del danno risulta rigidamente predeterminato dal Legislatore; dall'altra, i presupposti di applicazione dell' art. 18 St. Lav ., tra cui il requisito dimensionale, sono anche i presupposti per l'introduzione della causa con il Rito Fornero.
Invero, l'intervento di riforma del 2012 è volto a “realizzare un mercato del lavoro inclusivo e dinamico, in grado di contribuire alla creazione di occupazione, in quantità e qualità, alla crescita sociale ed economica e alla riduzione permanente del tasso di disoccupazione” ( art. 1 comma 1, l. n. 92/2012 ; Scognamiglio, Le controversie di Licenziamento nella riforma Fornero, in Il punto Guida al Lavoro, marzo 2013, n. 2, I ss.).
Il legislatore ha, dunque, inteso ridurre il tasso d'incertezza relativo ai possibili esiti dell'impugnazione del licenziamento - incertezza scaturente non solo dal tipo di conseguenze collegate alla valutazione del giudice, ma anche dal tempo necessario tra il momento del licenziamento e l'esito del giudizio -, da una parte, ponendo dei limiti massimi all'ammontare dell'indennità risarcitoria a favore del lavoratore per il pregiudizio economico causato dall'atto datoriale; dall'altro, prevedendo meccanismi di accelerazione come la riduzione da 270 a 180 giorni del termine di inefficacia entro il quale deve essere depositato il ricorso giudiziario avverso il recesso datoriale previsto dall' art. 6, comma 2, l. n. 604/1966 (cfr. art. 1 comma 38 l. n. 92/2012 ) e l'introduzione di un nuovo rito speciale e bifasico tendente a una prima definizione rapida e sommaria.
Partendo da queste premesse e dal fatto che spesso il lavoratore chiede, in via principale, la tutela reintegratoria assumendo l'insussistenza del fatto contestato e, in subordine, la tutela risarcitoria, si comprende come gli interessi sottesi alla scelta del legislatore siano in realtà interessi pubblici di economia nazionale volti a dare certezza al lavoratore ma, soprattutto, al datore di lavoro sulle somme che eventualmente deve accantonare in previsione di un eventuale risarcimento ovvero sulla possibilità di assumere o meno altri lavoratori in considerazione di un'eventuale ordine di reintegrazione del dipendente licenziato.
Tutto ciò, insieme alla lettera della legge, depone nel senso dell'obbligatorietà del rito disciplinato al di fuori del processo del lavoro, in quanto, appunto, rito e non procedimento speciale ( Trib. Monza 19 febbraio 2014 ).
Si evidenzia, dunque, il diverso piano su cui si pongono le questioni: la tipologia di tutela cui può accedere il lavoratore, a seguito della riforma ex l. n. 92/2012 che ha introdotto un rito diverso per la tutela reintegratoria/forte, non può comunque sovrapporsi al fatto che il requisito dimensionale è diventato anche un presupposto per l'applicazione di tale rito speciale.
Da una parte, dunque, il requisito dimensionale è fatto impeditivo inteso come elemento autonomo che incide sulla produzione degli effetti di una fattispecie completa e, in tale ipotesi, la prova riguarda fatti diversi rispetto al fatto costitutivo la cui rilevanza è indiretta. Con il fatto impeditivo si sostiene, dunque, che il diritto dell'attore non è mai stato per difetto dei presupposti; dall'altra il requisito dimensionale, dopo la l. n. 92/2012 , assurge anche al rango di requisito previsto dal legislatore per accedere al Rito Fornero.
Orbene, la prospettiva inizia a mutare nel senso che i principi sottesi a un licenziamento illegittimo sono diventati ormai speciali rispetto al diritto civile comune in quanto, a differenza di questo non tutelano soltanto interessi privati, ma un mercato del lavoro interferente inevitabilmente con interessi pubblici.
Con la riforma del 2012 il Legislatore, riscrivendo l' art. 18 S t. Lav ., ha individuato un nuovo rapporto regola-eccezione con riferimento alla tutela contro il licenziamento illegittimo: tutela “forte” e tutela “debole” riservata alle imprese che si collocano sotto il requisito dimensionale.
In particolare, sono state individuate differenti tipologie di tutele “forti” in relazione alle motivazioni che hanno determinato i licenziamenti: tutela reintegratoria piena (art. 18 commi 1 e 2), tutela reintegratoria attenuata (art. 18 commi 4 e 7), tutela indennitaria forte (art. 18 commi 5 e 7) e tutela indennitaria debole (art. 18 comma 6).
La tutela reintegratoria non è quindi più la regola, ma l'eccezione, tant'è che per la stessa si è previsto un rito speciale a salvaguardia delle esigenze del lavoratore e di quelle economiche dell'imprenditore. Mentre la tutela obbligatoria prevista dall' art. 8 l. n. 6 04/1966 è diventata la regola e segue il rito ordinario previsto dagli artt. 414 c.p.c. e ss.
Tale logica indennitaria di tutela del lavoratore contro i licenziamenti illegittimi trova ulteriore conferma nella successiva modifica introdotta con la l. 10 dicembre 2014, n. 183 e il d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23 avviando una disciplina nuova che non sostituisce, ma affianca quelle preesistenti in quanto si applica ai lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 in poi, mentre per quelli il cui rapporto di lavoro è già iniziato rimane il testo dell' art. 18 St. Lav . previgente (cfr. Cass., sez. lav., 9 gennaio 2014, n. 301 ).
La tutela reintegratoria piena è limitata ai casi di licenziamento discriminatorio, nullo, intimato in forma orale o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa in cui sia dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore; mentre nelle altre ipotesi il licenziamento, sebbene illegittimo, determina comunque l'estinzione del rapporto di lavoro e la sanzione è costituita esclusivamente dalla condanna del datore di lavoro al pagamento di un'indennità non più qualificata risarcitoria e non assoggettata a contribuzione previdenziale (Amoroso, Le tutele sostanziali e processuali del novellato art. 18 dello Statuto dei Lavoratori tra giurisprudenza di legittimità e jobs act,in Riv. It. Dir. Lav., n. 3, 2005, 327 ss.; Curzio, La disciplina dei licenziamenti dalla legge Fornero al Jobs Act, relazione tenuta all'incontro di studio su La disciplina dei licenziamenti: un primo bilancio, Corso di alta formazione Scuola Superiore della Magistratura, Scandicci, 11-13 novembre 2015; Buconi, Tutele crescenti: il sistema sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi secondo il d.lgs. n. 23/2015, in Il Lavoro nella giurisprudenza, 11/2015, 993 ss.).
Il meccanismo delle tutele crescenti concerne proprio l'importo dell'indennità non più lasciato alla discrezionalità del giudice, ma parametrato esclusivamente all'anzianità di servizio.
Alla luce di quanto esposto occorre, dunque, comprendere se tali mutamenti legislativi hanno inciso sui fatti costitutivi oggetto della domanda di reintegrazione nel posto di lavoro come sanciti dalla Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite nel 2006 oppure no.
L'inversione della regola-eccezione in punto tutela non può essere elemento da solo sufficiente a modificare quelli che sono i fatti costitutivi della domanda di reintegrazione, anche, perché a tale orientamento osterebbe il principio di vicinitas dell'onere della prova espresso pur esso dalla Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite nel 2001.
Deve, quindi, ritenersi che tale requisito dimensionale non possa comportare la diversità delle domande di tutela reintegratoria e obbligatoria i cui fatti costitutivi sono la sussistenza di un rapporto di lavoro e il licenziamento illegittimo; mentre problematico è invece l'effetto della creazione di un rito obbligatorio diverso per due tipologie di tutela aventi i medesimi fatti costitutivi e fondato sull'esistenza o meno di un fatto impeditivo il cui onere della prova incombe sul convenuto datore di lavoro, ma che a questo punto dovrebbe poter essere accertato d'ufficio dal giudice.
Ciò si evidenzia ancor di più con la scelta del legislatore di non sottoporre al rito Fornero i licenziamenti di cui al d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23 (art. 11). |