Potere disciplinare nel pubblico impiego: inerzia e decadenza

La Redazione
01 Giugno 2017

La Cassazione, con sentenza n. 8722/2017, chiarisce se, nell'impiego pubblico contrattualizzato, l'inerzia del datore di lavoro nell'esercizio del potere disciplinare possa ingenerare nel lavoratore il legittimo affidamento della liceità della sua condotta.

La Cassazione, con sentenza n. 8722/2017, accoglie il ricorso di una ASL che aveva licenziato per giusta causa ex art. 1, co. 61, L. n. 662/1996 il suo direttore amministrativo per la mancata rimozione di una causa di incompatibilità, come richiesto dall'Azienda, e la conseguente irrimediabile lesione del vincolo fiduciario.

Il giudice di Appello aveva escluso la decadenza dall'esercizio del potere disciplinare per tardività, ritenuta invece dal Tribunale, evidenziando, peraltro, che non sussistevano i presupposti necessari per la irrogazione della sanzione espulsiva in quanto la stessa Azienda, rimanendo inerte per un lungo periodo, aveva evidentemente escluso che sussistesse in concreto la incompatibilità, ingenerando nel dipendente la convinzione incolpevole che la datrice di lavoro avesse recepito le sue giustificazioni.

Nel ribadire i differenti principi che ispirano l'esercizio del potere disciplinare nel lavoro pubblico e privato, la Suprema Corte afferma che nell'impiego pubblico contrattualizzato il principio dell'obbligatorietà dell'azione disciplinare esclude che l'inerzia del datore di lavoro possa ingenerare nel lavoratore il legittimo affidamento della liceità della sua condotta qualora essa contrasti con precetti imposti per legge, dal codice comportamentale o dalla contrattazione collettiva.

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