Difetto di tempestività della contestazione disciplinare: rimessa alle Sezioni Unite la questione concernente la natura del vizio
07 Giugno 2017
Massima
È rimessa al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite la questione di massima di particolare importanza inerente la natura del vizio del licenziamento intervenuto in forza di contestazione tardiva secondo il sistema dell'art. 18 legge n. 300 del 1970, così come innovato dalla legge n. 92 del 2012. Il caso
A carico di un lavoratore viene formulato un addebito a distanza di circa due anni dall'avvenuta cognizione del fatto ad opera del datore di lavoro; la S.C., ritenuta la tardività della contestazione disciplinare e rilevato un contrasto giurisprudenziale in ordine alla natura del vizio - che si riflette, a seguito dell'entrata in vigore della legge “Fornero”,sulle conseguenze sanzionatorie derivanti dall'illegittimità del licenziamento -, ravvisa l'opportunità di investire, al riguardo, le Sezioni Unite. La questione
La questione in esame è la seguente: la contestazione disciplinare non tempestiva costituisce vizio procedurale sanzionato con la tutela indennitaria “debole” ex art. 18, comma sesto, St.lav. (come innovato dalla legge “Fornero”), oppure vizio sostanziale? Qualora si aderisca a quest'ultima opzione, si applica la tutela indennitaria “forte” di cui all'art. 18, comma quinto, oppure quella reintegratoria “attenuata” ex art. 18, comma quarto, St.lav.? Le soluzioni giuridiche
Queste le ipotetiche soluzioni (più agevolmente immaginabili) da dare al caso:
a) qualora si ritenga che il difetto di tempestività della contestazione disciplinare costituisca esclusivamente una violazione dell'art. 7 St.lav., la tutela applicabile, in virtù del richiamo operato a tale disposizione dall'art. 18, comma sesto, St.lav., sarà quella indennitaria “debole”;
b) ove si ipotizzi che, pur dopo l'emanazione della legge “Fornero”, la tempestività della contestazione costituisca elemento costitutivo del licenziamento disciplinare, allora la tutela applicabile in presenza del vizio (di natura, pertanto, sostanziale) potrebbe essere quella indennitaria “forte” prevista per l'ingiustificatezza semplice di cui all'art. 18, comma quinto, St.lav.;
c) qualora si sostenga che l'espressione “insussistenza del fatto contestato” comprenda, oltre all'ipotesi classica in cui del fatto non sia accertata la sussistenza, anche quella in cui il fatto stesso non sia stato “regolarmente contestato”, quindi anche in modo non tempestivo - sul presupposto che l'immediatezza, elemento naturale della contestazione, garantisce l'effettivo esercizio del diritto di difesa del lavoratore nel processo, onde un accertamento dell'infrazione senza il contributo, in punto di predisposizione di un adeguato impianto probatorio, del lavoratore stesso non potrebbe considerarsi tale -, potrebbe venire in considerazione la tutela reintegratoria attenuata di cui all'art. 18, comma quarto, St.lav.;
d) nel caso in cui, optandosi per una “variante” della soluzione sub c), si affermi l'applicabilità della tutela reintegratoria attenuata solo laddove il lavoratore abbia dedotto - senza che siano emerse in giudizio risultanze diverse -, oltre al difetto di tempestività, una forte menomazione all'esercizio del diritto di difesa (facendo ad esempio perno sulla molteplicità dei fatti addebitati, sulla stessa ampiezza del lasso temporale intercorso tra avvenuta conoscenza - o inescusabile mancata cognizione - del fatto da parte del datore e formulazione della contestazione), si prospettano - se siano mancate allegazioni in proposito o sia stata comunque accertata, in giudizio, la insussistenza di un forte pregiudizio alla difesa - le seguenti soluzioni: d') si applica la tutela indennitaria “forte”, sul presupposto che il licenziamento è comunque illegittimo, difettando un elemento costitutivo del licenziamento disciplinare; d'') si applica la tutela indennitaria “debole”, sul rilievo che la tempestività non è elemento costitutivo del licenziamento ma il suo difetto ha comunque reso, per presunzione assoluta, più difficile l'esercizio del diritto di difesa (che non è stato però compromesso); d''') non si applica alcuna sanzione (ma in tal caso potrebbe ravvisarsi una incoerenza di sistema, poiché l'indagine in concreto sull'esercizio effettivo delle prerogative difensive avrebbe ad oggetto solo la non tempestività della contestazione, al fine di connotarla o meno in termini di vizio, e non gli altri obblighi della sequenza del procedimento disciplinare - ad esempio quello dell'audizione orale del lavoratore, ecc … -, la cui violazione costituisce sempre e comunque vizio procedurale). Osservazioni
Sulla complessa questione si sono registrate oscillazioni della S.C., che, nel suo primo intervento (Cass. 6 novembre 2014, n. 23669), ha evidenziato che la tempestività del licenziamento costituisce elemento costitutivo di quest'ultimo, onde il suo contrario integra vizio sostanziale sanzionabile con la tutela indennitaria “forte” di cui al comma quinto dell'art. 18 St.lav. novellato, mentre la violazione della tempestività della contestazione è vizio procedurale (pertanto sanzionabile, deve ritenersi - anche se questo non è esplicitamente affermato in sentenza -, con la tutela indennitaria “debole” di cui al comma sesto del citato articolo).
Successivamente i giudici di legittimità (Cass. 9 luglio 2015, n. 14324) hanno affermato che la violazione della tempestività della contestazione non rientra nell'ambito previsionale del novellato art. 18, comma quarto, St.lav., né in nessun'altra delle ipotesi contemplate in tale articolo che prevedano la condanna della parte datoriale alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro; pertanto, la tutela accordata è limitata al pagamento di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva. Va sottolineato come, in tale occasione, la S.C. non abbia precisato se tale violazione rientri nella previsione del quinto oppure del sesto comma dell'art. 18 St.lav.
In una successiva sentenza (Cass. 13 febbraio 2015, n. 2902) - avente ad oggetto vicenda regolata dalla vecchia normativa - è stato ribadito, in conformità a risalente insegnamento, che l'immediatezza della contestazione integra elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro (in tal senso v., più di recente, anche Cass. 25 gennaio 2016, n. 1248) in quanto, per la funzione di garanzia che assolve, l'interesse del datore di lavoro all'acquisizione di ulteriori elementi a conforto della colpevolezza del lavoratore non può pregiudicare il diritto di quest'ultimo ad una pronta ed effettiva difesa, sicché, ove la contestazione sia tardiva, resta precluso l'esercizio del potere e la sanzione irrogata è invalida.
È stato infine puntualizzato (Cass. 31 gennaio 2017, n. 2513) che "un fatto non tempestivamente contestato dal datore non può che essere considerato insussistente ai fini della tutela reintegratoria prevista dall'art. 18 st.lav, come modificato dalla L. n. 92 del 2012, trattandosi di violazione radicale che impedisce al giudice di valutare la commissione effettiva dello stesso anche ai fini della scelta tra i vari regimi sanzionatori"; infatti, "non essendo stato contestato idoneamente ex art. 7, il 'fatto' è 'tamquam non esset' e quindi 'insussistente' ai sensi a dell'art. 18 novellato. Sul piano letterale la norma parla di insussistenza del “fatto contestato” (quindi contestato regolarmente) e quindi, a maggior ragione, non può che riguardare anche l'ipotesi in cui il fatto sia stato contestato abnormemente e cioè in aperta violazione dell'art. 7". A tale ultima pronuncia può ricollegarsi la statuizione di Cass. 14 dicembre 2016, n. 25745, secondo cui "il radicale difetto di contestazione dell'infrazione, determinando l'inesistenza della procedura disciplinare e non solo la violazione delle norme che la regolano, comporta l'applicazione della tutela reintegratoria di cui all'art. 18, comma quarto, St. lav., prevista in caso di accertata insussistenza del fatto contestato e non semplicemente addebitato".
In buona sostanza, il difetto di tempestività della contestazione si presta ad essere ricompreso, in astratto, nelle previsioni di cui ai commi quarto, quinto o sesto dell'art. 18 St.lav., onde, potendo integrare vizio sostanziale nelle prime due ipotesi e procedurale nell'ultima, la semplice, eventuale affermazione della natura sostanziale del vizio non sarebbe del tutto risolutiva della questione. Qualora le Sezioni Unite ritengano che il difetto di tempestività della contestazione disciplinare costituisca vizio procedurale, rientrante nella previsione di cui all'art. 18, comma sesto, St.lav., potrebbero attestare (esplicitamente o meno) il superamento dell'insegnamento, consolidatosi nel vecchio regime, secondo cui l'immediatezza della contestazione è elemento costitutivo del licenziamento disciplinare. A tale riguardo potrebbe, ad esempio, argomentarsi nel senso che il non trascurabile lasso di tempo intercorso tra avvenuta cognizione dei fatti da parte del datore e formulazione della contestazione non implica (ossia non lascia presumere), necessariamente, un giudizio di “non gravità” del fatto da parte del predetto datore (questo essendo il presupposto concettuale di fondamento alla teoria della tempestività della contestazione quale fatto costitutivo della fattispecie), la cui tardiva iniziativa può spiegarsi con una disfunzione degli uffici, o anche con l'intento di pervenire ad una più approfondita cognizione dei fatti onde scongiurare una sconfitta in giudizio.
Rimarrebbe poi da sciogliere il nodo del forte pregiudizio, in ipotesi determinato dalla contestazione non tempestiva, alle esigenze difensive del lavoratore. Ma qui potrebbe sostenersi che il pregiudizio in questione riceve adeguata contropartita nell'indennità, esclusa ogni violazione di rango costituzionale o sovranazionale.
Potrebbe però anche immaginarsi che la S.C. accordi alle esigenze difensive più ampia considerazione, convalidando - senza necessità di dubitare della legittimità della norma - la tesi secondo cui “insussistenza del fatto contestato” equivalga a dire non solo “fatto contestato di cui non sia stata accertata la sussistenza”, bensì “fatto non tempestivamente contestato” (in conformità alla citata Cass. 31 gennaio 2017, n. 2513, la cui espressione “fatto regolarmente contestato” allude, ovviamente, alle due caratteristiche della contestazione, ossia alla necessaria specificità e tempestività; e ricomprende, ovviamente, la stessa esistenza della contestazione; a tale ultimo riguardo v. la citata Cass. 14 dicembre 2016, n. 25745). Una volta intrapresa tale strada occorrerebbe stabilire se il difetto di tempestività basti ad integrare la previsione di cui all'art. 18, comma quarto, St.lav., oppure se serva un qualcosa in più, ossia l'effettivo pregiudizio al diritto di difesa (che quindi non potrebbe considerarsi presunto). E, dando per buona tale ultima ipotesi, si porrebbe il quesito di cosa accada qualora quel pregiudizio non venga riscontrato (qui rimandandosi alle soluzioni ipotizzate al precedente punto, precisandosi che quelle sub d' e d'', presuppongono che la violazione possa avere una “duplice veste”, secondo la tesi del “doppio binario”).
Ove, invece, le Sezioni Unite dovessero, da un lato, bocciare la tesi secondo cui l'espressione “insussistenza del fatto contestato” vada interpretata nel senso di “insussistenza di un fatto tempestivamente contestato”, e, dall'altro, giungere alla conclusione che la immediatezza della contestazione sia in via esclusiva un elemento costitutivo del licenziamento, il cui difetto non potrebbe integrare ontologicamente un vizio procedurale, allora verrebbe in considerazione, per come anticipato, l'ingiustificatezza semplice di cui all'art. 18, comma quinto, St.lav. (che parte della dottrina ricollega, nella ricorrenza del predetto difetto, alla lesione dell'affidamento del lavoratore determinata dalla tolleranza del datore). Tuttavia, in tal caso, il lavoratore vedrebbe sfumare la tutela reale, poiché non vi sarebbe spazio per un accertamento dell'insussistenza del fatto; pertanto, qualora egli miri alla reintegra, avrà l'onere di dedurre in giudizio l'illegittimità del licenziamento assumendo la predetta insussistenza, pur eventualmente conscio dell'insufficienza del raccolto materiale probatorio - a causa della tardività della contestazione - a contrastare la linea accusatoria del datore.
Un bel rompicapo, insomma, creato (forse inconsapevolmente) dal legislatore e destinato ad essere risolto (con effetti anche sulla disciplina prevista, per i nuovi assunti, dal D.Lgs. n. 23 del 2015), a breve, dalle Sezioni Unite.
Per maggiori riferimenti sulle problematiche sopra esposte v.:
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