La compatibilità tra giudice della fase sommaria e dell’opposizione
02 Marzo 2015
La sentenza della Corte di Cassazione n. 3136, depositata il 17 febbraio u.s., presenta profili d'interesse sia processuali che sostanziali:
Il caso Un dipendente di Poste italiane s.p.a., licenziato in conseguenza di una sentenza penale di condanna per un reato non commesso nell'esercizio delle mansioni lavorative, proponeva ricorso con rito Fornero (art. 1, co. 48, L. n. 92/2012). Sia il Tribunale che la Corte d'Appello confermavano l'ordinanza di accoglimento del ricorso e dichiaravano l'illegittimità del licenziamento. Il datore di lavoro, quindi, ricorreva in Cassazione.
Compatibilità tra giudici Con il primo motivo di ricorso, il datore di lavoro lamenta la nullità della sentenza di primo grado in quanto emessa da giudice incompetente, ossia lo stesso magistrato che aveva accolto la domanda del lavoratore con l'ordinanza di cui al rito Fornero. La Suprema Corte, richiamando l'ordinanza della Corte Costituzionale n. 205/2014 e la pronuncia delle Sezioni Unite n. 19674/2014, dichiara il vizio insussistente poiché “la fase dell'opposizione ai sensi dell'art. 1, co. 51, L. n. 92/2012 non costituisce un grado diverso rispetto alla fase che ha preceduto l'ordinanza … ma solo una prosecuzione del giudizio di primo grado in forma ordinaria”.
Rottura del legame fiduciario Con il secondo motivo, il ricorrente sottolinea che il reato accertato nei confronti del lavoratore era di tale gravità da interrompere il legame fiduciario con il datore di lavoro e, quindi, da giustificare il licenziamento. La Cassazione afferma che i comportamenti illeciti del dipendente “che possono essere considerati non di gravità tale da giustificare l'espulsione da un'azienda svolgente un'attività puramente privatistica, possono al contrario rompere il legame fiduciario ed il connesso requisito di affidabilità che sta alla base di un rapporto di lavoro costituito per l'espletamento di un servizio pubblico, ancorché in regime giuridico privatistico” in ragione dell'impegno di capitale pubblico e della pubblicità del fine perseguito che si riflettono nei doveri gravanti sui lavoratori “che debbono assicurare affidabilità, nei confronti del datore di lavoro e dell'utenza, anche nella condotta extralavorativa”.
Per questo motivo, la Suprema Corte accoglie il ricorso del datore di lavoro, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda.
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