Responsabilità dell’appaltatore per omessa informazione sui rischi specifici nei confronti del subappaltatore
16 Agosto 2017
Massima
L'appaltatore, che non abbia svolto ingerenza nell'opera del subappaltatore, non è tenuto a fornirgli informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente di lavoro. Il caso
Banca Intesa affida in appalto la riparazione del gruppo frigo del proprio impianto di condizionamento alla s.p.a. Mp Facility, che a sua volta lo gira in subappalto alla s.r.l. Ross-Service.
Un dipendente di quest'ultima, infilatosi carponi attraverso lo sportello metallico di piccole dimensioni di accesso al gruppo frigo, una volta rizzatosi in piedi, appoggia quest'ultimi sulla parte di pavimento costituita da lastre di plexiglass cedevoli, non segnalate, subendo infortunio sul lavoro.
L'appaltatore ed il subappaltatore hanno riportato condanna penale per lesioni colpose nei due gradi di merito.
Il subappaltatore ha patteggiato la pena ed è uscito di scena.
L'appaltatore ha fatto ricorso e Cass. pen., sez. IV, 23 giugno 2017. n. 31410 ha cassato la sentenza di condanna senza rinvio. La questione
La questione è se l'appaltatore, che non abbia informato il subappaltatore dei rischi specifici esistenti nell'ambiente di lavoro, risponda penalmente per le lesioni colpose riportate da un dipendente del subappaltatore. Le soluzioni giuridiche
Il giudice del merito, in primo e secondo grado, ha ritenuto che l'obbligo di rilevare e segnalare il rischio specifico di caduta correlato alla presenza, nel vano di lavoro, di una porzione di pavimento non calpestabile incombeva, in prima battuta, sul committente (Banca Intesa San Paolo) e, in seconda battuta, sulla ditta appaltatrice, che in veste di subappaltante aveva, a sua volta, l'onere di verificare essa stessa l'effettivo stato dei luoghi, allo scopo di rendere edotta l'impresa subappaltatrice del suddetto rischio, secondo un sistema a cascata necessariamente coinvolgente tutta la catena delle posizioni di garanzia deputate ad assicurare una tutela del lavoratore attraverso l'adozione di appropriate misure di prevenzione.
La Corte di legittimità, con la sent. 31140/2017 in commento, ha ritenuto un simile ragionamento censurabile in diritto, perché la Corte di merito avrebbe "creato" un onere che non trova fondamento nell'art. 26, comma 1 lett. b), il quale presuppone la disponibilità giuridico operativa dell'ambiente di lavoro in cui deve operare il lavoratore, disponibilità che non aveva l'appaltatore, avendo trasmesso l'appalto in blocco al subappaltatore.
La Corte ha ammesso che la committente aveva un preciso obbligo informativo nei confronti della ditta appaltatrice ai sensi dell'art. 26 cit., trattandosi di appalto che doveva essere eseguito all'interno di locali nell'ambito dei quali si svolgeva la propria attività; escludeva però che l'appaltatore-subappaltante avesse analogo obbligo nei confronti della subappaltatrice, perché esso appaltatore “non aveva alcuna disponibilità giuridico/operativa del vano accessorio in questione, all'interno del quale non aveva mai operato né era tenuta ad operare, avendo totalmente subappaltato il lavoro alla ditta Ross-Service dotata dei necessari requisiti tecnici per effettuare il richiesto intervento”.
La sentenza insiste: non sarebbe rispettoso del generale principio di personalità della colpevolezza affermare che l'appaltatore rimasto vittima di una simile condotta negligente da parte del committente debba rispondere a sua volta della stessa omissione nei confronti del subappaltatore, in mancanza delle condizioni di conoscenza della situazione pregiudizievole, e quindi senza alcuna possibilità di avere il governo del relativo rischio, rimesso invece alla competenza esclusiva dell'unico soggetto consapevole della sua esistenza, vale a dire, nel caso in disamina, la banca committente”.
La Corte conclude che l'obbligo di informativa a carico dell'appaltatore, erroneamente ritenuto del giudice del merito, sussiste soltanto nell'ipotesi di rischi interferenziali di cui al secondo comma dell'art. 26, che qui non ricorre, perché l'appaltatore rimase del tutto estraneo ai lavori.
Osservazioni
Nella copiosa produzione delle sezioni III e IV penali della Corte di Cassazione sul tema della sicurezza sul lavoro, la sentenza in commento si segnala per il tema affrontato, la responsabilità dell'appaltatore che non abbia svolto ingerenza nell'attività del subappaltatore, e per la conclusione raggiunta, della sua assoluta irresponsabilità.
A questa conclusione possono essere sollevate obiezioni, sul piano delle argomentazioni logiche e su quello della interpretazione sistematica dell'art. 26.
L'interpretazione sistematica dell'art. 26
L'art. 26 D.Lgs. n. 23 febbraio 2008, n. 81, recita:
I due commi disciplinano situazioni diverse, ma sono espressione di una eadem ratio.
Il legislatore, con il D.Lgs. n. 81 del 2008, ha concluso, allo stato, la lunga marcia iniziata con il D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, primo testo organico sulla prevenzione infortuni, tessendo, anche in esecuzione di direttive europee, una rete a maglie strette per cercare di ridurre al minimo la piaga sociale degli infortuni sul lavoro, ponendo una serie di obblighi stringenti su tutti gli operatori, inclusi i lavoratori.
La giustificazione di tale disciplina è nella parcellizzazione del processo produttivo, la quale impone sia la concentrazione della responsabilità per la sicurezza in capo all'imprenditore demiurgo, che lo realizza avvalendosi nel proprio interesse di diverse tipologie contrattuali (v. Cass. sez. lav., n. 21894/2016), sia in capo a tutti gli attori che operano nel medesimo teatro lavorativo.
Con il comma 2 dell'art. 26 è intervenuto sulla dimensione spaziale, sui rischi interferenziali che sussistono quando più datori di lavoro operano contemporaneamente sul medesimo teatro lavorativo, obbligandoli ad una informazione e cooperazione reciproca.
Analogamente, con il comma 1, è intervenuto sui rischi derivanti dalla successione temporale di più datori di lavoro, che operano ciascuno singolarmente, in una organizzazione a cascata del processo produttivo.
In particolare, l'obbligo informativo sui rischi specifici dell'ambiente di lavoro è ritenuto dalla Corte di legittimità talmente penetrante, da gravare sul committente non solo nei confronti dell'appaltatore, ma anche singolarmente dei suoi dipendenti (Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 2011, n. 21694).
I destinatari diretti degli obblighi di cui al primo comma sono il committente e l'appaltatore. Ma se quest'ultimo, per suoi fini lucrativi, decide di non eseguire personalmente l'opera cui si è obbligato, ma di affidarla interamente ad un subappaltatore, diviene il committente di quest'ultimo, assumendone gli obblighi relativi.
La sequenza di integrale copertura dei rischi che precede non è convinzione personale di chi scrive o dei giudici del merito, ma appartiene al patrimonio della giurisprudenza di legittimità.
Ancor prima del D.Lgs. n. 81/2008, Cass. sez. lav., 19 aprile 2006, n. 9065 aveva affermato che i principi in tema di culpa in eligendo del committente, definiti ora alla lett. a) del primo comma, valgono anche in materia di subappalto, a carico dell'appaltatore subappaltante.
Se, dunque, l'appaltatore è soggetto al precetto dell'art. 26, comma 1, lett. a), sarà soggetto anche a quello della lett. b) sull'obbligo di fornire dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare.
Lungi dal creare una norma nuova, è la negazione della responsabilità dell' appaltatore-subappaltante che crea un buco nella trama normativa, che ha portato all'infortunio per cui è causa.
Ove l' appaltatore, com'era suo obbligo, avesse visionato i rischi specifici dell'ambiente di lavoro dell'appalto cui si era obbligato, e ne avesse informato il subappaltatore, e questi il proprio dipendente, l'infortunio che il D.Lgs. n. 81/2008 voleva evitare non ci sarebbe stato; e questo è sufficiente per sostenere che l'omissione dell'appaltatore si inserisce nella serie casuale che ha portato all'infortunio sul lavoro.
L'argomento della disponibilità giuridico operativa
La sentenza in commento parte dalla premessa maggiore che l'art. 26 fonda gli obblighi informativi del committente nei confronti dell'appaltatore sul presupposto della disponibilità giuridico operativa degli ambienti in cui il secondo deve operare; la premessa minore è che tale requisito era nella disponibilità del committente, ma non dell'appaltatore il quale, avendo subappaltato, “non aveva (né poteva avere) alcuna conoscenza dell'ambiente di lavoro oggetto dell'appalto”. Anzi egli era la “prima vittima” dell'omissione informativa della banca.
A noi sembra che la conclusione logica di tali premesse sarebbe che l'art. 26, comma 1, non potrebbe mai trovare applicazione, perché esso disciplina l'appalto all'interno dei locali aziendali, la cui disponibilità giuridico operativa competerebbe solo al committente.
Inoltre proprio la presente vicenda processuale dimostra che tale disponibilità è trasferibile.
Infatti il subappaltatore ha patteggiato la pena (sulla equiparazione legislativa della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, c.d. patteggiamento, alla sentenza di condanna, vedi art. 445, comma 1, ultima parte, c.p.p.; in giurisprudenza, ex plurimis, Cass. pen., sez. V, 12 novembre 2014, n. 7723).
Dunque il subappaltatore, secondo la premessa maggiore, aveva la piena disponibilità giuridico operativa dell'ambiente nel quale aveva mandato a lavorare il proprio dipendente, poi infortunatosi. Da dove gli veniva questa disponibilità? A titolo derivativo dal suo dante causa, l'appaltatore, il quale a sua volta l'aveva ricevuta dal committente. All'atto del conferimento e dell'accettazione dell'appalto, il committente attribuisce all'appaltatore la facoltà giuridica di accedere nei propri locali ed ivi operare ai fini dell'esecuzione dell'appalto; l'appaltatore aveva perciò la disponibilità giuridico operativa dell'ambiente di lavoro, che poi ha trasmesso al subappaltatore. Aveva insieme, nella logica della stessa sentenza in commento, la responsabilità che genera gli obblighi di cui all'art. 26, comma 1.
Altri profili
È poi un fuor di luogo invocare il principio della personalità della colpevolezza, perché non confligge con tale principio la colpa omissiva, di cui stiamo discutendo. I giudici del merito hanno rimproverato all' appaltatore di avere omesso di fare quello che la legge, l'art. 26, gli imponeva di fare, e cioè di verificare la stato dei luoghi in cui i suoi dipendenti o quelli del subappaltatore avrebbero dovuto operare, e di informarli dei relativi rischi visibili. La circostanza che l'accesso al luogo di lavoro fosse stretto non muta il carattere palese del pavimento parzialmente in plexigass.
Quanto, infine, alla mancata informazione da parte della banca committente, non si può sostenere che l'obbligo informativo dell'appaltatore al subappaltatore è limitato alle informazioni ricevute dal committente, perché l'appaltatore ha, sulla base del D.Lgs. n. 81/2008 (ed anche dell'art. 2087 c.c., v. Cass. civ., sez. III, n. 21694/2011), una autonoma posizione di garanzia e, comunque, sulla base dell'art. 1176 c.c., l'obbligo di adempiere al debito di sicurezza con la diligenza del buon padre di famiglia, ricercando le informazioni sui rischi ambientali anche aliunde, in primis mediante sopralluogo diretto dell'ambiente di lavoro cui invierà, ma non allo sbaraglio, i propri dipendenti o il subappaltatore.
Escludere siffatto obbligo nella fattispecie in esame significa concorrere a promuovere l'abuso degli appalti speculativi, che tanta parte hanno nella causazione degli infortuni sul lavoro, come le cronache quotidiane ci insegnano.
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