Impresa familiare, obblighi di sicurezza e azione di regresso
03 Ottobre 2017
Massima
L'INAIL ha azione di regresso verso il titolare dell'impresa familiare per quanto erogato al partecipante per infortunio sul lavoro. Il caso
La titolare di una impresa familiare chiede in giudizio all'INAIL la rendita ai superstiti per il decesso del marito, collaboratore nell' impresa, deceduto per caduta dall'alto mentre lavorava nel magazzino aziendale.
L'INAIL ha opposto in riconvenzionale, con azione di regresso ex artt. 10 e 11 D.P.R. n. 1124/1965, (Testo Unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), l'esborso corrispondente all'importo della rendita ai superstiti spettante alla ricorrente in quanto coniuge del lavoratore deceduto.
Il primo giudice ha riconosciuto entrambi i titoli di credito, compensandoli.
Il giudice d'appello ha confermato la condanna delle parti per i rispettivi titoli, escludendo però la compensazione.
L'Ordinanza n. 20406/2017 in commento ha confermato quest'ultima decisione. Le questioni
I motivi di ricorso sui quali l'Ordinanza in commento si è pronunciata sono:
Le soluzioni giuridiche
L'obbligo assicurativo
I partecipanti all'impresa familiare non sono menzionati dall'art. 4 D.P.R. n. 1124, che contiene l'elenco delle persone tutelate, per un motivo cronologico, perché l'impresa familiare è stata introdotta successivamente all'emanazione del D.P.R., dall'art. 89 della L. 19 maggio 1975, n. 151 sul nuovo diritto di famiglia, inserito come art. 230-bis c.c.
All'impresa familiare possono partecipare il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo (art. 230-bis c.c.). Per effetto dell'art. 1, comma 20, L. 20 maggio 2016, n. 76 (c.d. Legge Cirinnà), al coniuge è parificato il partner di un'unione civile.
L'impresa familiare di cui all'art. 230 bis c.c. appartiene solo al suo titolare, il quale solo ha la qualifica di imprenditore ed al quale spettano i poteri di gestione e di organizzazione del lavoro, e le correlate responsabilità per la sicurezza; in essa, i diritti dei collaboratori familiari rilevano solo sul piano obbligatorio (Cass. sez. lav., 15 aprile 2004, n. 7223, Cass. sez. lav., 20 giugno 2003, n. 9897, Cass. sez. lav., 6 marzo 1999, n. 1917, Cass. sez. lav., 4 ottobre 1995, n. 10412).
Per questi aspetti strutturali, l'impresa familiare differisce dall'impresa coniugale disciplinata dall'art. 177 c.c., lett. d), come modificato dall'art. 59 della L. 19 maggio 1975, n. 151, il quale considera oggetto di comunione legale, e quindi con carattere essenziale di gestione paritaria, l'azienda coniugale costituita dopo il matrimonio; quest'ultima va, pertanto, assimilata ad un'impresa collettiva, disciplinata dagli artt. 2251 segg. c.c.
Per quanto riguarda la tutela infortunistica, mentre per l'impresa coniugale essa va ricondotta alla previsione dell'art. 4, comma 1, n. 7, quale società di fatto, e non al n. 6, relativo ai parenti ed affini, che presuppone la dipendenza (Cass. sez. lav., 23 maggio 2006, n. 12095), per l'impresa familiare tale tutela è stata controversa, fino alla sentenza della Corte cost. 10 dicembre 1987, n. 476.
La Corte è partita dal presupposto interpretativo, affermato dalla giurisprudenza di legittimità, che la nozione di dipendenza nel D.P.R. n. 1124, art. 6, comma 1, nn. 1 e 6 sia sinonimo di subordinazione in senso giuslavoristico; ha quindi istituito la comparazione, ex art. 3 Cost., tra i lavoratori subordinati che lavorano in siffatte imprese, soggetti all'obbligo assicurativo, ed i familiari, che subordinati non siano, rilevando un'identica esigenza di tutela infortunistica, ex artt. 3 e 38 Cost.; ha pertanto dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4, comma primo, n. 6, del D.P.R. n. 1124, nella parte in cui non ricomprende tra le persone assicurate i familiari suddetti.
Essendo questo il fondamento dell'obbligo assicurativo antinfortunistico dei partecipanti all'impresa familiare, si rivela inconferente il motivo di ricorso della titolare che il marito non rivestiva la qualifica di lavoratore subordinato. L'obbligo assicurativo non sussiste in caso di prestazione occasionale del familiare. Secondo il Ministero del Lavoro (Circolare n. 14184 del 5 agosto 2013), tale situazione si verifica, e non scatta l'obbligo assicurativo, quando il familiare lavori non più di 2 giorni al mese, e non superi i 10 giorni lavorativi nell'anno.
La rendita ai superstiti
La ricorrente, in quanto coniuge ai sensi del codice civile, ha pieno diritto alla rendita ai superstiti ai sensi della disposizione originaria dell'art. 85 del D.P.R. n. 1124.
Peraltro. la citata Legge Cirinnà ha disposto, all'art. 1, comma 20, che le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e quelle contenenti le parole "coniuge", "coniugi" o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle Leggi, negli atti aventi forza di Legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso.
Analoga disposizione non è stabilita per i conviventi di fatto, cui spettano solo i diritti previsti dall'art. 230-ter c.c., introdotto dall'art. 1, comma 46, Legge Cirinnà, secondo cui “Al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell'impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, commisurata al lavoro prestato. Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato".
L'azione di regresso
L'azione di regresso dell'INAIL nei confronti del titolare di un'impresa familiare trova fondamento nell'art. 11 D.P.R. n. 1124, stante la responsabilità, vista sopra, e di cui anche in osservazioni, del titolare per la sicurezza dei suoi collaboratori.
La non compensabilità delle due poste
A norma dell'art. 1246, n. 3, c.c., non sono soggetti a compensazione i crediti dichiarati impignorabili.
L'art. 110 D.P.R. n. 1124 dichiara impignorabili le prestazioni indennitarie INAIL, salvo (Corte cost. 22 dicembre 1989, n. 572) che per crediti alimentari.
Poiché i crediti dell'INAIL vantati con l'azione di regresso non rivestono tale qualifica, correttamente il giudice d'appello prima e la Corte di Cassazione poi hanno negato la compensazione tra le due poste.
La disposizione dell'art. 110 si inserisce peraltro in modo specifico in un quadro generale di protezione delle prestazioni previdenziali dalle pretese creditorie altrui, espressa in una serie storica di disposizioni, a partire dall'art. 128 del R.D. 4 ottobre 1935, n. 1827, convertito, con modificazioni, nella L. 6 aprile 1936, n. 1155, nel significato normativo risultante dalla sentenza della Corte cost. n. 506 del 2002 (dichiarativa di parziale illegittimità): è assolutamente impignorabile, con le eccezioni previste dalla legge per i crediti qualificati, la parte della pensione, assegno o indennità necessaria per assicurare al pensionato i mezzi adeguati alle esigenze di vita (c.d. "minimo vitale"), mentre è pignorabile nei soli limiti del quinto la parte residua. Osservazioni
L'ordinanza in commento si segnala, sul piano formale, per lo stile essenziale ed insieme completo con cui illustra e risolve le questioni sottoposte; sul piano sostanziale, perché fa convergere ed applica alla specifica fattispecie del titolare dell'impresa familiare, a quanto risulta per la prima volta, due consolidati principi giurisprudenziali: quello, derivante soprattutto dalla giurisprudenza costituzionale, sulla parità di tutela assicurativa (e correlativamente prevenzionale) a parità di rischio (di cui è esempio la sent. n. 476/1987 citata supra; ma negli stessi termini altresì la prima e fondamentale sentenza n. 114/1977, sul carattere non tassativo dell'elenco delle persone tutelate; e quindi, a cascata: Corte cost. n. 262/1976 e n. 221/1985 sui lavoratori autonomi in agricoltura; n. 55/1981 sui cassieri in contatto con il pubblico e n. 137/1989 sui lavoratori dello spettacolo; n. 246/1986, sui medici esposti a rischio di radiazioni; n. 332/1992 sugli associati in partecipazione); e quello della giurisprudenza penale sulla posizione di garanzia per la prevenzione e sicurezza di chiunque organizzi il lavoro altrui, al di là delle qualificazioni formali.
La base normativa di tale giurisprudenza è costituita dall'art. 299 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, in forza del quale le posizioni di garanzia relative ai datori di lavoro, dirigenti e preposti previste dal T.U. sicurezza gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di formale investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti.
Tra le più recenti applicazioni di tale principio: Cass. pen, sez. IV, 10 aprile 2017 n. 18090, che ha confermato la penale responsabilità per omicidio colposo di un dipendente, avente la qualifica di perito tecnico, delegato ad organizzare il sopralluogo su un tetto, che ha poi ceduto sotto il peso del lavoratore incaricato di effettuarne le misurazioni; Cass. pen, sez. IV, 10 febbraio 2017, n. 6376 sulla responsabilità del comandante della nave per tutto il personale a bordo, indipendentemente dal titolo della presenza, ed a maggior ragione per il personale svolgente attività lavorativa, quale che sia il modello contrattuale, anche atipico, adottato.
In tali parametri rientra sicuramente il titolare dell'impresa familiare, responsabile della sicurezza dei parenti ed affini che vi lavorano, senza che si configuri un rapporto di lavoro subordinato, che escluderebbe l' impresa familiare. |