Accordi separati e successione di contratti collettivi aziendali nel tempo

Emanuele Petrilli
03 Marzo 2016

I diritti derivanti da una pregressa fonte collettiva più favorevole per il lavoratore sono da considerarsi intangibili esclusivamente quando siano già entrati nel patrimonio dello stesso, poiché corrispettivo di una prestazione già resa nel tempo ovvero espressione di una fase del rapporto lavorativo comunque già terminata. Non acquistano alcuna rilevanza le mere aspettative che possono ingenerarsi, per il lavoratore, in base alla precedente e più favorevole disciplina collettiva.
Massima

I diritti derivanti da una pregressa fonte collettiva più favorevole per il lavoratore sono da considerarsi intangibili esclusivamente quando siano già entrati nel patrimonio dello stesso, poiché corrispettivo di una prestazione già resa nel tempo ovvero espressione di una fase del rapporto lavorativo comunque già terminata. Non acquistano alcuna rilevanza le mere aspettative che possono ingenerarsi, per il lavoratore, in base alla precedente e più favorevole disciplina collettiva.

Il fatto

Un lavoratore agiva giudizialmente per chiedere la non applicazione di una contrattazione aziendale che eliminava, senza diminuzione della retribuzione, elementi retributivi istituiti da un precedente contratto aziendale. A giudizio del lavoratore tale nuova contrattazione del 1995/1996 sottoscritta con il dissenso del sindacato cui egli era iscritto, non poteva essergli per tale ragione applicata. Inoltre, poiché il sindacato cui era iscritto era stato fra i firmatari del precedente contratto aziendale del 1988 con cui tali elementi retributivi erano stati istituiti, dovevano gli stessi continuare a trovare applicazione nei suoi confronti.

Soccombendo in primo grado, il lavoratore appellava la sentenza presso la Corte di Appello di Cagliari. Con sentenza n. 518/08 la questione non addiveniva a diverso risultato.

A giudizio della Corte di Appello di Cagliari non potevano in alcun modo essere riconosciuti al lavoratore gli incentivi originariamente istituiti dall'accordo sindacale del 1988 poiché, per una vicenda di successione del tempo di contratti collettivi, quell'accordo era stato del tutto superato e sostituito. Infatti, nel 1994 era stata prevista, da nuova contrattazione collettiva nazionale, una nuova regolamentazione della disciplina delle promozioni e degli incentivi di merito per anzianità. Tale nuova disciplina aveva quindi comportato la completa sostituzione di quella previgente, così privando di efficacia anche gli elementi retributivi la cui applicazione continuava ad essere pretesa dal lavoratore.

Anche la Suprema Corte ritiene le soluzioni elaborate dalla Corte di Appello di Cagliari legittime con conseguente soccombenza del lavoratore. Infatti, la circostanza che il sindacato cui il lavoratore era iscritto non avesse sottoscritto il contratto collettivo aziendale del 1996, non produrrebbe l'effetto voluto dal lavoratore, cioè che fra le parti sindacato dissenziente – datore di lavoro non si produca alcuna successione di contratti collettivi, con il risultato di continuare applicare in regime di ultrattività il contratto collettivo aziendale del 1988.

È pur vero che l'art. 39 della Costituzione tutela la libertà sindacale, ma tale libertà è protetta nella sua duplice valenza: individuale e collettiva. Ne deriva che la mancata sottoscrizione dell'contratto collettivo aziendale del 1996 avrebbe potuto, a rigor di logica, al massimo determinare la non applicazione degli incentivi come riformati da tale nuova contrattazione, non certo la permanenza dell'efficacia dei precedenti istituti nei soli confronti di quelli iscritti al sindacato che aveva sottoscritto solo l'accordo del 1988 e non anche quello più recente. La disciplina contenuta nel contratto collettivo del 1988 era ormai venuta meno, per intervenuta scadenza e per superamento della disciplina stessa.

La Cassazione ribadisce, infine, che i diritti derivanti da pregressa disciplina più favorevole al lavoratore sono da considerarsi intangibili solo nella misura in cui siano già entrati nel patrimonio dello stesso, perché rappresentanti il corrispettivo di una prestazione eseguita o di una fase del rapporto comunque terminata, non avendo alcuna rilevanza eventuali aspettative che il lavoratore poteva aver maturato in vigenza della disciplina superata.

La questione

Circa gli effetti del dissenso tra sindacati in azienda molto è stato detto, ma l'incastro con eventuali problemi derivanti dal fenomeno della successione dei contratti collettivi in azienda non ha banale soluzione.

Il ragionamento deve necessariamente muovere da quel concetto di libertà sindacale che l'art. 39 della Costituzione tutela, cercando di comprendere in che modo gli eventi che si producono sui contratti nel tempo possono incidere su un diritto che è dotato di quella speciale valenza collettive che ne è la principale caratteristica. Si dovrà cioè tentare di comprendere la qualità del nesso funzionale che lega la libertà sindacale a un diritto ad esercizio collettivo, quale ad esempio la negoziazione del contratto in azienda.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione ritiene infondate le pretese del lavoratore tese alla reviviscenza di elementi retributivi istituiti con contrattazione aziendale giunta a scadenza, per altro in presenza di diversa e sostitutiva contrattazione, pur se non sottoscritta dal sindacato cui il lavoratore era iscritto.

L'art. 39 della Costituzione non è violato dall'estensione al lavoratore ricorrente dei contratti collettivi aziendali del 1995 e del 1996 posto che, al contrario, proprio la valenza collettiva della libertà sindacale tutelata dall'art. 39 Cost. dovrebbe ritenersi ignorata nell'ipotesi in cui si ammettesse l'applicazione di una contrattazione antecedente e giunta a termine per il solo fatto che il sindacato cui il lavoratore era iscritto l'avesse sottoscritta non accettando invece la contrattazione aziendale successiva. L'importanza della valenza collettiva, oltre che individuale, della libertà sindacale è per altro confermata, ricorda la Suprema Corte, da numerose fonti internazionali (es. Convenzioni OIL nn. 87, 98 e 151), che insieme devono essere tenute in considerazione insieme alla nostra carta fondamentale.

Ricorda la Corte di Cassazione che i contratti collettivi sono diretta manifestazione dell'autonomia negoziale delle parti, tutte. Per tale ragione possono produrre i loro effetti entro l'ambito temporale che le parti hanno individuato. Nell'ipotesi di successione dei contratti collettivi nel tempo, qualora il nuovo contratto apporti modifiche in peius rispetto alla disciplina previgente, l'unico limite è quello dei diritti quesiti, ovvero quelli già acquisiti dal lavoratore.

Come regola generale, i contratti collettivi producono effetti per tutti i lavoratori dell'azienda, anche se non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti, ad eccezione di quei lavoratori che, aderendo ad un'organizzazione sindacale ulteriore, ne condividano l'espresso dissenso; ma tale dissenso, come giustamente argomentato dalla Corte di Appello di Cagliari, potrebbe al massimo comportare la non spettanza degli incentivi nella loro forma nuova, non certo l'ultrattività di alcuni istituti regolati da una disciplina scaduta, oltre che sostituita.

Inoltre, va osservato che il principio della irriducibilità della retribuzione era stato salvaguardato, non essendo questa diminuita e avendo i nuovi accordi disposto, solo per il futuro, il riassorbimento degli elementi retributivi oggetto del contendere.

Infine, segnala la Corte di Cassazione, anche il contratto collettivo che sia privo di termine espresso non può vincolare per sempre tutte le parti contraenti. Ciò non può che essere vero, posto che la funzione della contrattazione collettiva è quella di esprimere la realtà socio-economica attuale, adattandosi alle evoluzioni che intervengono nel tessuto produttivo e nell'azienda. Si applica quindi anche alla contrattazione collettiva la regola secondo cui il recesso unilaterale è causa estintiva legittima di qualsiasi rapporto a tempo indeterminato.

Per tali motivi la Suprema Corte rigettava il ricorso.

Osservazioni

Come anticipato, la soluzione giuridica ruota attorno ad un'analisi completa che deve eseguirsi in un moto di rivoluzione attorno al concetto di libertà sindacale. È necessario comprendere come la valenza individuale e quella collettiva di tale diritto si intersechino fra loro, doppia faccia di una stessa medaglia.

In quest'ottica, può essere di aiuto soffermarci sulla direzione presa di recente dai sindacati maggioritari con gli accordi interconfederali 2011 – 2014. Con questi, infatti, il fenomeno del dissenso sindacale diviene circostanza legittima e non più criticabile, da intendersi come un evento che è fisiologico al sistema delle relazioni industriali così come si sono evolute in Italia. Partendo da queste considerazioni, gli accordi interconfederali realizzano un sistema che ha l'obiettivo di proceduralizzare i percorsi negoziali, attraverso l'adozione di criteri maggioritari (v. sul punto F. Scarpelli, Il Testo Unico sulla rappresentanza tra relazioni industriali e diritto, Dir. Rel. Ind., 2014, dove si parla di democratizzazione dei processi negoziali).

Senza volersi soffermare sui concetti di rappresentatività e rappresentanza, non utili per l'analisi della sentenza in commento, tramite l'adozione di criteri maggioritari si è inteso attribuire una efficacia generale per tutto il personale e vincolante per tutte le organizzazioni sindacali comunque presenti nell'impresa.

Sebbene gli accordi interconfederali, come noto, sono strettamente limitati al settore industriale, possono aiutarci a comprendere la direzione intrapresa del nostro sistema delle relazioni industriali.

Da tempo ormai l'unità di azione sindacale non è più la regola generale ma, anzi, rappresenta sempre più un'eccezione. Come noto, da un punto di vista civilistico, l'autonomia negoziale deve rispettare il principio della libertà di scelta dell'altra parte contraente, applicandosi pertanto anche a quelle negoziazioni sindacali e, quindi, collettive.

Poiché, come sappiamo, la disciplina del contratto collettivo è fonte eteronoma di regolazione del rapporto di lavoro, mai entra a far parte di quella disciplina individuale che, invece, deriva direttamente dagli accordi individuali. Per tale ragione, nel momento in cui un contratto collettivo giunge ad estinzione (per scadenza e/o sostituzione), nessun effetto normativo da questo prodotto può continuare a trovare applicazione, ad eccezione dei diritti quesiti.

Inoltre, ci si dovrebbe chiedere (come ha fatto parte della dottrina, v. sul punto A. Maresca, Accordi collettivi separati: tra libertà contrattuale e democrazia sindacale, Riv. It. Dir. lav., 2010) se il lavoratore che vorrebbe affrancarsi dall'applicazione di un contratto collettivo in esame, così come avviene nel caso analizzato in concreto dalla sentenza in esame, possa raggiungere qualche scopo razionalmente utile da tale dissenso. Se come abbiamo detto la fonte collettiva è fonte eteronoma di diritto, allora non esistono alternative valide per il lavoratore; così è poiché l'accordo collettivo separato e successivo non si aggiunge alla vecchia disciplina, ma la sostituisce, comportando il venir meno della vecchia disciplina (che, si ricorda, era comunque venuta ad estinzione per scadenza del termine).

Per concludere, l'orientamento della Corte di Cassazione espresso nella sentenza in commento appare del tutto condivisibile, chiarificatore di un orientamento preciso e già maggioritario.