Insussistenza di incompatibilità tra il giudice che ha emesso l’ordinanza all’esito della fase sommaria e quello competente a trattare la successiva fase di opposizione

Luigi Santini
03 Aprile 2015

La fase dell'opposizione ai sensi dell'art. 1, comma 51, L. n. 92 del 2012 non costituisce un grado diverso rispetto alla fase sommaria ex art. 1, comma 48, L. n. 92 del 2012, ma solo una prosecuzione del giudizio di primo grado in forma ordinaria e non più urgente. Conseguentemente non sussiste incompatibilità tra il giudice che aveva emesso l'ordinanza di cui all'art. 1, comma 49, L. n. 92 del 2012 e quello competente per la trattazione del successivo giudizio di opposizione.
Massima

La fase dell'opposizione ai sensi dell'art. 1, comma 51, L. n. 92 del 2012 non costituisce un grado diverso rispetto alla fase sommaria ex art. 1, comma 48, L. n. 92 del 2012, ma solo una prosecuzione del giudizio di primo grado in forma ordinaria e non più urgente. Conseguentemente non sussiste incompatibilità tra il giudice che aveva emesso l'ordinanza di cui all'art. 1, comma 49, L. n. 92 del 2012 e quello competente per la trattazione del successivo giudizio di opposizione.

Il caso

La controversia trae origine da una impugnativa di licenziamento per giusta causa rientrante nell'ambito di applicabilità del rito ex art. 1, commi 47 e 48, della legge 28 giugno 2012 n. 92, sia ratione temporis (il licenziamento è stato intimato successivamente all'entrata in vigore della c.d. legge “Fornero” – v. disposizione transitoria espressa dall'art.1, comma 67), sia perché la fattispecie rientrava pacificamente nell'ambito di applicabilità della tutela reale ex art. 18 L. n. 300/1970.

La questione

La questione da esaminare è se la fase di opposizione ex art. 1, comma 51, L. n. 92 del 2012 costituisca o meno una revisio prioris instantiae rispetto alla fase sommaria ex art.1, comma 48, L. n. 92 del 2012 e, conseguentemente, se il giudice che ha emesso l'ordinanza all'esito della fase sommaria possa o meno trattare e decidere anche la successiva fase di opposizione.

Le soluzioni giuridiche

Come evidenziato dalla Suprema Corte, il punto nodale della questione in disamina è rappresentato dalla necessità di stabilire se, con riferimento al c.d. “rito Fornero”, possa configurarsi un vizio di nullità della sentenza di primo grado (emessa all'esito dell'opposizione ex art. 1, comma 51, L. n. 92 del 2012), per essere quest'ultima stata pronunciata dal medesimo giudice che aveva emesso l'ordinanza della fase sommaria, ex art. 1, comma 49, L. n. 92 del 2012.

In realtà, la Cassazione sgombra subito il campo da ogni possibile configurabilità di un vizio di nullità che investa la sentenza impugnata, evidenziando che, a tutto voler concedere, “l'asserito vizio della sentenza di primo grado, riconducibile all'art. 51, n. 4, c.p.c., avrebbe caso mai dovuto essere prevenuto dalla parte interessata con istanza di ricusazione (il nome del giudice dell'opposizione all'ordinanza era conoscibile attraverso il ruolo e l'intestazione del verbale d'udienza) e non comporta comunque nullità della sentenza (Cass. 10 settembre 2003, n. 13212; 26 maggio 2003, n. 8197; 22 marzo 2006, n. 6358; 15 giugno 2005, n. 12848)”.

Secondo il Supremo Collegio, ad ogni buon conto, il vizio della sentenza di primo grado neanche sussiste, tenuto conto della particolare natura e della strutturazione del rito speciale introdotto dalla legge 28 giugno 2012 n. 92 (c.d. “rito Fornero”).

Come è noto, ai sensi dell'art. 1, comma 51, L. n. 92/2012, l'ordinanza che chiude la fase sommaria del giudizio di primo grado è opponibile esclusivamente davanti allo stesso tribunale davanti al quale si è svolta la prima fase, con conseguente irrilevanza degli altri fori che potrebbero essere individuati in base all'art. 413, secondo comma, c.p.c.

È tuttavia controverso se competente a trattare e decidere il giudizio di opposizione possa essere il medesimo magistrato-persona fisica che ha pronunciato l'ordinanza opposta.

Alcuni uffici (come i Tribunali di Roma, Torino, Napoli e Firenze) hanno previsto tabellarmente misure organizzative tese ad evitare che il magistrato che abbia deciso la fase sommaria possa essere assegnatario del giudizio di opposizione in quella stessa controversia. A tal fine si sono richiamate le argomentazioni di cui alla sentenza 15 ottobre 1999, n. 387 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 51, n. 4, c.p.c., nella parte in cui non prevede l'incompatibilità tra le funzioni del giudice pronunciatosi con decreto ex art. 28, primo comma, della legge n. 300/1970 (“Repressione della condotta antisindacale”), e quelle del giudice dell'opposizione a tale decreto, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. Ciò sulla base della considerazione che l'interprete sarebbe comunque tenuto “ad una esegesi costituzionalmente corretta della norma denunciata, tale da ricomprendere, tra le ipotesi, dalla stessa contemplate, di obbligo di astensione del giudice per avere conosciuto della causa in un altro grado, quella dell'opposizione a decreto dallo stesso emesso ex art. 28, primo comma, della legge n. 300 del 1970”.

Tale impostazione si fonda, come è evidente, sul riconoscimento della natura impugnatoria del giudizio di opposizione, che costituirebbe pertanto una revisio prioris instantiae rispetto alla precedente fase sommaria (il che precluderebbe al giudice di quest'ultima di trattare anche la successiva opposizione). Ciò sulla base dell'assunto secondo cui le medesime caratteristiche del procedimento di repressione della condotta antisindacale (che secondo la Corte costituzionale determinerebbero l'obbligo del giudice che abbia deciso la fase a cognizione sommaria di astenersi nel giudizio di opposizione) sarebbero riscontrabili anche nelle due fasi del giudizio di primo grado contemplate nel rito “Fornero”.

Altri Tribunali (come il Tribunale di Milano) si sono invece determinati in senso diametralmente opposto, assicurando la necessaria coincidenza tra il giudice della fase sommaria e quello competente a trattare l'opposizione e respingendo così i ricorsi per ricusazione proposti nei confronti dei giudici designati per la trattazione del giudizio di opposizione promosso avverso ordinanze da loro stessi pronunciate all'esito della fase sommaria. Ciò sulla base della concezione del giudizio di opposizione non come giudizio di natura impugnatoria, bensì come seconda fase, a cognizione piena, di un procedimento che rimarrebbe strutturalmente unico, nell'ambito del quale la seconda fase comporterebbe esclusivamente una riespansione alla pienezza della cognizione della medesima materia del contendere oggetto di cognizione sommaria nella prima fase.

In un simile contesto, la decisione in commento propende espressamente per tale ultimo orientamento, dal momento che in essa la Suprema Corte ribadisce, sulla scia di quanto sostenuto dalle Sezioni Unite con ordinanza 18 settembre 2014, n. 19674 (che ha espressamente escluso la natura impugnatoria dell'opposizione di cui all'art. 1, comma 51, cit.) che “La fase dell'opposizione ai sensi dell'art. 1, comma 51, L. n. 92 del 2012 non costituisce un grado diverso rispetto alla fase di che ha preceduto l'ordinanza diverso rispetto alla fase che ha preceduto l'ordinanza. Essa non è, in altre parole, revisio prioris istantiae, ma solo una prosecuzione del giudizio di primo grado in forma ordinaria e non più urgente”.

Osservazioni

La decisione in commento, nella parte in cui esclude la natura impugnatoria del giudizio di opposizione, muove dal presupposto, sostanzialmente condivisibile, che la tecnica normativa della legge 28 giugno 2012 n. 92 è stata diversa rispetto al meccanismo processuale introdotto dall'art. 28 della L. 300/70, dal momento che, mentre quest'ultima norma utilizza il metodo del rinvio espresso alle norme sul processo del lavoro, i commi 51 e ss. dell'art. 1 L. n. 92/2012, analogamente a quelli dedicati alla prima fase sommaria, si limitano ad una descrizione non dettagliata del rito, senza richiamare, se non per specifici istituti, altre disposizioni di riferimento.

La qualificazione giuridica dell'atto di opposizione operata nella sentenza in disamina è quindi orientata nel senso che la seconda fase del procedimento di primo grado costituisca una prosecuzione della precedente, e non un procedimento impugnatorio della decisione assunta con ordinanza.

È pur vero che a favore della tesi della natura impugnatoria del giudizio di opposizione muovono elementi testuali e teleologici, come il tenore letterale della norma (“contro l'ordinanza … può essere proposta opposizione”), la sostanziale sovrapponibilità strutturale del nuovo rito sui licenziamenti col procedimento ex art. 28 L. n. 300/70, l'identità dell'oggetto del giudizio delle due fasi e la portata decisoria dell'ordinanza opposta.

Tuttavia, a tali argomentazioni può replicarsi che: 1) il tenore letterale della norma ed il carattere decisorio dell'ordinanza emessa nella fase iniziale non costituiscono argomenti decisivi, atteso che, in realtà, oggetto del giudizio di opposizione non è tanto l'ordinanza opposta, quanto piuttosto la situazione giuridica sostanziale fatta valere col ricorso ai sensi del comma 48; 2) la sostanziale sovrapponibilità strutturale del nuovo rito sui licenziamenti col procedimento di repressione dei comportamenti antisindacali è solo apparente, atteso che nel procedimento ex art. 28 St. lav. con l'opposizione verso il decreto conclusivo della fase sommaria viene introdotto un giudizio integralmente regolato dalle norme degli artt. 414 e segg. c.p.c., mentre il “rito Fornero” conserva una disciplina peculiare anche nella seconda fase; 3) l'identità dell'oggetto del giudizio delle due fasi non costituisce una caratteristica indefettibile , ben potendo accadere che l'oggetto del giudizio di opposizione possa subire un ampliamento per effetto delle ulteriori domande avanzate, nella fase dell'opposizione, ai sensi dei commi 51, 53 e 56.

A ben vedere, la previsione di una revisio prioris instantiae rispetto all'ordinanza conclusiva della prima fase non si spiega neanche sotto il profilo logico-giuridico, ove si osservi che il secondo grado di giudizio è comunque assicurato e si celebra con reclamo davanti al giudice d'appello, sicché nessun vulnus ai diritti difensivi delle parti appare configurabile.

In quest'ordine di concetti, appare pertanto più corretto ritenere che il legislatore abbia voluto introdurre un rito unitario, inizialmente improntato ad un'istruttoria ispirata a canoni di celerità ed indispensabilità e successivamente caratterizzato da una cognizione “a fasi progressive”, quale è quella destinata a svilupparsi tra la prima e la seconda fase.

Tale impostazione ha trovato conferma nella ordinanza 18 settembre 2014, n. 19674 (nel cui solco si colloca la sentenza in disamina), nella quale le Sezioni Unite hanno qualificato la fase dell'opposizione “non .. una revisio prioris instantiae, ma una prosecuzione del giudizio di primo grado, ricondotto in linea di massima al modello ordinario, con cognizione piena a mezzo di tutti gli «atti di istruzione ammissibili e rilevanti»”. Secondo tale pronuncia, in particolare, la relazione tra le due fasi del rito speciale andrebbe ricostruita nei termini che seguono: “dopo una fase iniziale concentrata e deformalizzata - mirata a riconoscere, sussistendone i presupposti, al lavoratore ricorrente una tutela rapida ed immediata e ad assegnargli un vantaggio processuale (da parte ricorrente a parte eventualmente opposta), ove il fondamento della sua domanda risulti prima facie sussistere alla luce dei soli «atti di istruzione indispensabili» - il procedimento si riespande, nella fase dell'opposizione, alla dimensione ordinaria della cognizione piena con accesso per le parti a tutti gli «atti di istruzione ammissibili e rilevanti»”.

Secondo il Supremo Collegio, quindi, l'intenzione del legislatore è stata quella di decidere in termini rapidi l'impugnativa del licenziamento per l'accesso alle tutele di cui all'art. 18 St., salvo poi consentirne una successiva disamina nella riespansione alla cognizione piena che caratterizza la fase di opposizione, la cui natura impugnatoria va dunque negata.

I principi desumibili dalla ordinanza 18 settembre 2014, n. 19674 delle Sezioni Unite consentono di dare soluzione al problema della legittimità dell'eventuale coincidenza del giudice persona fisica che abbia trattato e deciso le due fasi del primo grado.

In questa prospettiva, va tenuto presente che la Corte Costituzionale ha ripetutamente rilevato come nel processo civile (in cui, diversamente dai principi che ispirano il processo penale, non è previsto un obbligo di astensione del giudice che abbia concesso, "ante causam", un provvedimento d'urgenza) “il pieno rendimento dell'attività giurisdizionale, alla stregua del principio di concentrazione, venga più agevolmente conseguito se è sempre lo stesso giudice a condurre il processo” (v. Corte cost. 7 novembre 1997, n. 326). In tal senso, l'esigenza di celerità e concentrazione insita nel rito speciale sui licenziamenti, evidentemente ispirato alla tutela del diritto fondamentale alla ragionevole durata del processo, rende preferibile la soluzione di conservare nella fase oppositoria lo stesso giudice-persona fisica che ha emesso l'ordinanza della fase sommaria. In tale contesto, i principi di concentrazione degli atti e di economia endo-processuale inducono a ritenere che, in linea con quanto statuito nella sentenza in commento, la garanzia della maggiore ponderazione della causa può essere offerta proprio riservando la decisione della fase di opposizione a quello stesso giudice-persona fisica che, dopo aver trattato la fase a cognizione sommaria, versi in condizione di avere maturato la migliore conoscenza della situazione giuridica sostanziale fatta valere col ricorso presentato ai sensi dell'art. 1, comma 48, della legge 28 giugno 1992 n. 92.

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