Tutele crescenti e indennità risarcitoria: dubbi sulla legittimità costituzionale

La Redazione
03 Agosto 2017

Con ordinanza del 26 luglio 2017, il Tribunale di Roma ha sollevato la questione di costituzionalità del regime del licenziamento per giustificato motivo oggettivo nel caso di contratto di lavoro a tutele crescenti, sotto lo specifico profilo della disciplina concreta dell'indennità risarcitoria.

Con ordinanza del 26 luglio 2017, il Tribunale di Roma ha sollevato la questione di costituzionalità del regime del licenziamento per GMO nel caso di contratto di lavoro a tutele crescenti.

Nel caso di specie, ove il giudice ravvisa la non ricorrenza degli estremi ovvero la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, la ricorrente, assunta dopo il 7 marzo 2015, ha diritto soltanto a 4 mensilità risarcitorie (dimezzate in caso di assenza del requisito dimensionale del datore di lavoro). La stessa, se fosse stata assunta prima di tale data, avrebbe goduto della tutela reintegratoria e di una indennità commisurata a 12 mensilità ovvero, applicando l'art. 18 co. 5 St.Lav., di una tutela indennitaria fra le 12 e le 24 mensilità.

Allo stesso modo, qualora fosse stato ravvisato un mero vizio della motivazione, la tutela “pre-Jobs Act” sarebbe stata molto più consistente (6-12 mensilità a fronte di 2).

Ritiene, pertanto, il giudice che l'innovazione normativa ex artt. 2, 4 e 10 D.Lgs. n. 23/2015 – in attuazione dell'art. 1 co. 7 L. n. 183/2014 – privi la ricorrente di gran parte della tutele tuttora vigenti per coloro che sono stati assunti a tempo indeterminato prima dell'entrata in vigore delle tutele crescenti, e ciò in contrasto con gli artt. 3, 4, 76 e 117 della Costituzione. Nello specifico, il sospetto di incostituzionalità si pone con riferimento alla concreta disciplina dell'indennità risarcitoria: nel compensare solo per equivalente il danno ingiusto subìto dal lavoratore, è destinata a sostituire il risarcimento in forma specifica (la reintegrazione, mantenuta solo per pochi casi di eccezionale gravità) e dovrebbe quindi essere ben più consistente. Si richiama, infatti, la giurisprudenza della Corte Costituzionale che ha, più volte, affermato che l'integralità della riparazione e l'equivalenza della stessa al pregiudizio cagionato al danneggiato non ha copertura costituzionale, purché sia garantita l'adeguatezza del risarcimento.

Conclude quindi il Tribunale, nel sospendere il giudizio e rimettere gli atti alla Corte Costituzionale, che “l'accoglimento della prospettata questione di costituzionalità consentirebbe, nel caso di specie, di riconoscere una tutela compensativa del reale pregiudizio subìto […] e di porre un rimedio (latamente sanzionatorio oltre che compensativo) al comportamento della odierna convenuta che evidentemente ha inteso lucrare il beneficio contributivo assumendo una lavoratrice di cui poi si è sbarazzata con un licenziamento pseudo-motivato”.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.