Congedo straordinario per assistenza disabile e abuso del diritto

22 Agosto 2017

In tema di tutela della disabilità l'uso del diritto non conforme alla sua funzione configura un abuso del diritto e sussiste, nei confronti dell'Ente di previdenza erogatore del trattamento economico, un'indebita percezione dell'indennità ed uno sviamento dell'intervento assistenziale.
Massime

Quanto ai soggetti legittimati al congedo straordinario di cui all'art. 42, comma 5, D.Lgs. n. 151/2001 la norma in parola individua il seguente ordine di priorità non derogabile: 1. il coniuge convivente della persona disabile in situazione di gravità; 2. il padre o la madre, anche adottivi o affidatari, della persona disabile in situazione di gravità, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente; 3. uno dei figli conviventi della persona disabile in situazione di gravità, nel caso in cui il coniuge convivente ed entrambi i genitori del disabile siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti; 4. uno dei fratelli o sorelle conviventi della persona disabile in situazione di gravità nel caso in cui il coniuge convivente, entrambi i genitori ed i figli conviventi del disabile siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti; 5. un parente o affine entro il terzo grado convivente della persona disabile in situazione di gravità nel caso in cui il coniuge convivente, entrambi i genitori, i figli conviventi e i fratelli o sorelle conviventi siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti.

In tema di tutela della disabilità l'uso del diritto non conforme alla sua funzione configura un abuso del diritto e sussiste, nei confronti dell'Ente di previdenza erogatore del trattamento economico, un'indebita percezione dell'indennità ed uno sviamento dell'intervento assistenziale (si trattava di affine entro il primo grado che aveva chiesto il beneficio in presenza del figlio del disabile e proprio coniuge che aveva trasferito la propria residenza dalla abitazione del disabile successivamente al rigetto dell'istanza di congedo, ma anteriormente alla proposizione del ricorso giudiziario).

Il caso

La sentenza in commento riguarda il caso di una lavoratrice che aveva richiesto un congedo straordinario per assistere il familiare (suocero) disabile come previsto dall'art. 42 comma 5 D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, allegando di essere unico soggetto legittimato al beneficio, in quanto gli altri soggetti legittimati prioritariamente erano inidonei: la coniuge convivente del soggetto da assistere era affetta da patologie invalidanti ed il figlio della persona disabile non era più convivente con la medesima.

Le questioni

L'ordinanza in commento si sofferma in primo luogo sui soggetti legittimati a fruire del menzionato congedo straordinario, nonché sui benefici economici derivanti da tale istituto ed, infine, analizza le ipotesi idonee a determinare la fruizione del beneficio ad opera dei legittimati in via sussidiaria, ovvero i casi di «mancanza, decesso o presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente».

Le soluzioni giuridiche

Quanto ai oggetti legittimati a fruire del menzionato congedo straordinario l'ordinanza del Tribunale di Bari ricorda che il testo attualmente in vigore dell'art. 42, comma 5, D. Lgs. n. 151/2001, così come modificato dal D.Lgs. n. 119/2011, prevede che «Il coniuge convivente di soggetto con handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell'art. 4, comma 1, della L. 5 febbraio 1992, n. 104, ha diritto a fruire del congedo di cui al comma 2 dell'art. 4 della L. 8 marzo 2000, n. 53, entro sessanta giorni dalla richiesta. In caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, ha diritto a fruire del congedo il padre o la madre anche adottivi; in caso di decesso, mancanza o in presenza di patologie invalidanti del padre e della madre, anche adottivi, ha diritto a fruire del congedo uno dei figli conviventi; in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti dei figli conviventi, ha diritto a fruire del congedo uno dei fratelli o sorelle conviventi».

Da ultimo, la Corte Costituzionale con la sentenza n. 203 del 3 luglio 2013, ha nuovamente dichiarato l'illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29, 32, 35 e 118 4° comma, della Costituzione, dell'art. 42, comma 5, sopra citato, nella parte in cui, in mancanza di altri soggetti idonei a prendersi cura della persona disabile in situazione di gravità, non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo straordinario il parente o l'affine entro il terzo grado convivente della persona in situazione di disabilità grave.

Per quanto riguarda i benefici economici derivanti da tale istituto, sono disciplinati dall'art. 42 comma 5, D.Lgs. n. 151/2001, il Tribunale di Bari ricorda che l'istituto in discorso assicura al lavoratore, per tutto il periodo in cui è esonerato dall'attività lavorativa, un'indennità commisurata all'ultima retribuzione percepita, il cui onere economico non resta totalmente a carico del datore di lavoro, in particolare di quello privato, il quale a sua volta lo deduce dagli oneri previdenziali, anche se il periodo straordinario di congedo non rileva ai fini della maturazione delle ferie, della tredicesima mensilità e del trattamento di fine rapporto. Il legislatore ha inoltre stabilito un tetto massimo all'indennità dovuta al lavoratore (euro 43.579,06 annui) e alla relativa contribuzione figurativa.

Il punto focale dell'ordinanza del Tribunale di Bari è quello che riguarda le ipotesi di inidoneità dei soggetti beneficiari prioritariamente con conseguente fruizione del beneficio per i soggetti beneficati in via sussidiaria.

Infatti, in ultimo grado sono legittimati a prendersi cura della persona disabile e quindi a fruire dei congedi straordinari il «parente o affine entro il terzo grado convivente della persona disabile in situazione di gravità nel caso in cui il coniuge convivente, entrambi i genitori, i figli conviventi e i fratelli o sorelle conviventi siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti» e nel caso concreto oggetto di causa era l'affine di primo grado dell'invalido (la nuora) ad aver avanzato la domanda di congedo.

Rispetto al requisito (idoneo a legittimare il soggetto in via subordinata) dell'essere i soggetti legittimati in via prioritaria «affetti da patologie invalidanti» l'ordinanza del Tribunale di Bari afferma, concordemente alla Circolare Dipartimento Funzione Pubblica 6 dicembre 2010, n. 13, che «in assenza di un'esplicita definizione di legge, si deve prendere a riferimento soltanto quelle, a carattere permanente, indicate dall'art. 2, comma 1, lettera d), numeri 1, 2 e 3 del Decreto Interministeriale n. 278 del 21 luglio 2000…In particolare, si tratta delle: 1) patologie acute o croniche che determinano temporanea o permanente riduzione o perdita dell'autonomia personale, ivi incluse le affezioni croniche di natura congenita, reumatica, neoplastica, infettiva, dismetabolica, post-traumatica, neurologica, neuromuscolare, psichiatrica, derivanti da dipendenze, a carattere evolutivo o soggette a riacutizzazioni periodiche; 2) patologie acute o croniche che richiedono assistenza continuativa o frequenti monitoraggi clinici, ematochimici e strumentali; 3) patologie acute o croniche che richiedono la partecipazione attiva del familiare nel trattamento sanitario». Di conseguenza, nel caso concreto, il Giudice ha escluso l'idoneità della coniuge del soggetto disabile (legittimata in via prioritaria rispetto alla nuora) in quanto anch'essa disabile.

Giungendo poi al fondamentale tema trattato dall'ordinanza, ossia il requisito (idoneo a legittimare il soggetto in via subordinata) dell'essere i soggetti legittimati in via prioritaria «mancanti» o non conviventi (requisito desumibile a contrario dalla previsione della convivenza con la persona disabile) il Giudice interpreta i concetti di «mancanza» e «non convivenza» come un'endiadi. Infatti, si asserisce che: «il requisito della mancanza richiesto dall'art. 42 comma 5 sopra citato, deve essere inteso in primo luogo come situazione di assenza naturale e giuridica in senso stretto, ad esempio, decesso, la mancanza del coniuge per celibato/nubilato, ovvero lo stato di figlio naturale non riconosciuto. In secondo luogo, tale espressione deve ricomprendere anche tutte quelle condizioni giuridicamente rilevanti diverse dal decesso che implicano l'inesistenza fisica o giuridica del familiare considerato; ad esempio, mancanza del coniuge per divorzio o separazione legale, ovvero ancora altre situazioni di mancanza del familiare convivente, continuativa e giuridicamente accertata quale la scomparsa di fatto dal domicilio o dalla residenza giuridicamente accertata l'abbandono (v. sul punto specifico, Circolare INPS n. 159/2013 e Circolare del Ministero della Funzione Pubblica n. 13/2010)». In altri termini il Tribunale ha ritenuto che il familiare non convivente per essere tale, e quindi giustificare il passaggio di legittimazione al beneficiario in via sussidiaria del congedo, deve essere mancante ossia «scomparso di fatto dal domicilio o dalla residenza», rinviando all'art. 48 c.c. Applicando tali parametri ermeneutici al caso concreto, l'ordinanza in commento ha quindi ritenuto che non fosse mancante l'obbligato in via prioritaria, in quanto non certo irreperibile, ma semplicemente residente altrove rispetto alla dimora abituale del disabile.

In ultima istanza il giudice ha valorizzato ai fini della propria decisione il principio dell'abuso del diritto, che come è noto sussiste quando un soggetto esercita diritti, che gli derivano dalla legge o dal contratto, per realizzare uno scopo diverso da quello per cui questi diritti sono preordinati. Dire che ci ritrova di fronte ad un abuso del diritto, significa, allora, ammettere la possibilità di sindacare il suo esercizio, ragion per cui, il tema dell'abuso del diritto sottende un contrasto fra chi ritiene che i diritti soggettivi siano illimitati e insindacabili, e chi ritiene possano esserlo qualora sia necessario al fine di raggiungere fini di utilità sociale.

Ebbene, nel caso in questione l'ordinanza commentata ha ritenuto che l'istituto del congedo straordinario fosse stato strumentalizzato per fini personali (consentire al lavoratore di non svolgere la propria prestazione in una sede disagiata) della richiedente (come si è detto si trattava di affine entro il primo grado che aveva chiesto il beneficio in presenza del figlio del disabile e proprio coniuge, che aveva trasferito la propria residenza dalla abitazione del disabile successivamente al rigetto dell'istanza di congedo, ma anteriormente alla proposizione del ricorso giudiziario) e non per le esigenze di concreta assistenza al soggetto debole.

Osservazioni

Il provvedimento in commento propone un'interpretazione fortemente innovativa della disciplina dei congedi straordinari per assistenza al disabile, finalizzata ad evitare che un istituto legislativamente previsto per la tutela di un soggetto debole venga “piegato” al perseguimento di fini diversi.

Il Giudice è evidentemente mosso nelle sue conclusioni dalla peculiarità del caso concreto, riguardante, come si è detto, un affine entro il primo grado (la nuora) che aveva chiesto il congedo per assistere il disabile (genero) in presenza del figlio del disabile e proprio coniuge, che aveva trasferito la propria residenza dalla abitazione del disabile successivamente al rigetto dell'istanza di congedo, ma anteriormente alla proposizione del ricorso giudiziario.

Tuttavia, a parere di chi scrive, il sindacato sull'abuso del diritto deve essere condotto attraverso un percorso argomentativo, differente da quello del giudice barese. Si fa riferimento alla tesi in base alla quale i menzionati requisiti di «mancanza» e «non convivenza» dei familiari legittimati in via prioritaria al congedo sono considerati unitariamente. Ne consegue che ove sia accertata la presenza del familiare, ossia l'insussistenza della mancanza del familiare (naturale e giuridica ad es. nel caso di figlio naturale non riconosciuto e situazioni assimilabili, che abbiano carattere stabile e certo, quali il divorzio, la separazione legale e l'abbandono), non si dà luogo all'ulteriore verifica della convivenza o meno del familiare esistente.

Al contrario, la norma in oggetto parrebbe ammettere una diversa interpretazione. Infatti, la Corte Costituzionale con la sentenza n. 203 del 3 luglio 2013 ha nuovamente dichiarato l'illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29, 32, 35 e 118 4° comma, della Costituzione, dell'art. 42, comma 5, sopra citato, nella parte in cui, «in mancanza» di altri soggetti idonei a prendersi cura della persona disabile in situazione di gravità, non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo straordinario il parente o l'affine entro il terzo grado «convivente» della persona in situazione di disabilità grave. Ebbene, le nozioni di «soggetti mancanti» e di «soggetti conviventi» paiono essere distinte, ragion per cui vi potrebbero essere soggetti presenti (e non mancanti), ma non conviventi con il disabile, ragione che legittimerebbe la fruizione del congedo di quelli posti in ordine successivo di priorità.

Anche la Circolare dell'INPS n. 159 del 15 novembre 2013 parrebbe concepire le parole «in mancanza» e «non convivenza» come due differenti requisiti. Infatti, ivi si afferma: «quanto concerne la “mancanza”, deve essere intesa non solo come situazione di assenza naturale e giuridica…Infine si ribadisce che il requisito della “convivenza” sarà accertato d'ufficio previa indicazione da parte dell'interessato degli elementi indispensabili per il reperimento dei dati inerenti la residenza anagrafica, ovvero l'eventuale dimora temporanea (vedi iscrizione nello schedario della popolazione temporanea di cui all'art. 32 D.P.R. n. 223/89), ove diversa dalla dimora abituale (residenza) del dipendente o del disabile».

Se così stanno le cose, nel caso concreto pur essendo il figlio del disabile e coniuge della richiedente beneficiaria presente, si sarebbe dovuto accertare anche l'ulteriore requisito della convivenza con la persona inferma del familiare prioritariamente legittimato al congedo. Infatti, solo l'assenza di (anche) quest'ultimo requisito avrebbe legittimato al congedo in via sussidiaria l'affine ricorrente.

Si precisa, inoltre, che ai fini del summenzionato accertamento, il requisito della convivenza non pare possa essere presunto dalle risultanze anagrafiche. Si richiama a tal proposito l'orientamento della Cassazione, seppur espresso in altri settori del diritto civile, seppure ai medesimi fini. Ad esempio, nella diversa materia dei permessi di soggiorno per motivi familiari, in cui è necessario accertare per lo straniero che abbia contratto matrimonio l'effettiva convivenza con il coniuge per evitare matrimoni meramente fittizi e strumentali ad ottenere il titolo di soggiorno anelato, si è affermato che (v. Cass. civ., sez. I, 03 novembre 2006, n. 23598) la prova in ordine alla sussistenza del presupposto della convivenza con il coniuge non è presumibile in base all'esistenza del matrimonio, né è rilevabile dalle mere risultanze anagrafiche, ma è soggetta al regime probatorio ordinario, sicchè lo straniero può fornirne la dimostrazione anche con prova orale (v. Cass. civ., sez. I, 4 gennaio 2011, n. 111).

Infatti, è vero che la normativa in tema di anagrafe impone all'ufficiale d'anagrafe l'obbligo di accertamento delle situazioni di difformità fra la realtà e quanto indicato nel registro anagrafico, con la conseguenza che lo stesso deve procedere alla iscrizione o cancellazione ove non ravvisi tale corrispondenza (artt. 4 e 10 L. 24 dicembre 1954 , n. 1228 e artt. 11 e 15 D.P.R. 30 maggio 1989 , n. 223) e pur tuttavia non è possibile affermare con certezza che la situazione accertata dall'ufficiale d'anagrafe sia ancora perdurante al momento in cui viene proposta l'azione e nel corso della causa.

Sulla base di tali premesse, onde evitare l'abuso del diritto al congedo straordinario e quindi la sua strumentalizzazione per finalità improprie, (consentire al lavoratore di non svolgere la propria prestazione in una sede disagiata), la ricorrente avrebbe dovuto provare con gli ordinari mezzi di prova (per testimoni), diversi dalle mere risultanze anagrafiche, sia la dimora abituale del legittimato in via prioritaria in luogo diverso da quello di abitazione del soggetto disabile, sia la propria convivenza con il soggetto disabile, fermo restando il potere officioso del Giudice del Lavoro di ammissione di ogni mezzo di prova anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile (art. 421 c.p.c.), ad esempio chiedendo l'esibizione di atti e documenti all'ufficio anagrafe e disponendo l'esame dell'ufficiale d'anagrafe che ha curato gli accertamenti del caso.

Inoltre, non va trascurata la circostanza che il fine di evitare il rischio che il menzionato beneficio venga utilizzato impropriamente è presidiato anche dalla sanzione penale, così è numerosa la casistica che ha condannato per truffa ai danni dell'INPS, prevista e punita dall'art. 640 bis c.p., colui che aveva strumentalizzato per finalità improprie gli istituti previsti a tutela del disabile (v. Cass. pen., Sez. II, 1 dicembre 2016, n. 54712 afferma che colui che usufruisce dei permessi retribuiti ex art. 33, comma 3, della L. n. 104 del 1992, pur non essendo obbligato a prestare assistenza alla persona handicappata nelle ore in cui avrebbe dovuto svolgere attività lavorativa, non può, tuttavia, utilizzare quei giorni come se fossero giorni feriali senza, quindi, prestare alcuna assistenza alla persona handicappata. Di talché, risponde del delitto di truffa il lavoratore che, avendo chiesto ed ottenuto di poter usufruire dei giorni di permesso retribuiti, li utilizzi per recarsi all'estero in viaggio di piacere, non prestando, quindi, alcuna assistenza) .

Infine, un'ultima considerazione riguarda la sopravvenuta disomogeneità normativa fra due istituti con finalità analoghe: i congedi straordinari previsti dall'art. 42 comma 5 D. Lgs. n. 151/2001 e i permessi retribuiti che, ai sensi dell'art. 33 comma 3 L. 5 febbraio 1992, n. 104, il lavoratore può utilizzare per assistere il familiare disabile.

Con L. n. 183/2010 e nel luglio del 2011 con il D.Lgs. n. 119/2011 è stato novellato l'art. 33 della L. 104 del 1992, non prevedendo più che il lavoratore che usufruisca dei permessi di cui alla menzionata legge assista il parente disabile «con continuità ed in via esclusiva». In particolare, l'art. 24 della L. 183/2010 (il cosiddetto Collegato Lavoro) ha modificato la Legge n. 104/1992 che, in origine, ha introdotto quelle agevolazioni. L'INPS ha prontamente diramato le proprie disposizioni con una specifica e articolata Circolare (3 dicembre 2010, n. 155), a cui è seguita la Circolare del Dipartimento Funzione Pubblica n. 13 del 6 dicembre 2010. Le due Circolari prendono atto che il Legislatore ha abrogato i requisiti della continuità e dell'esclusività quali presupposti necessari ai fini del godimento dei permessi in argomento da parte dei beneficiari. «Pertanto – conferma INPS - oltre al requisito della convivenza, già eliminato dall'art. 20 della L. n. 53/2000, anche la “continuità” e l' “esclusività” dell'assistenza, non sono più elementi essenziali ai fini del godimento dei permessi di cui all'art. 33 della L. n. 104/92».

Quindi, in sintesi, mentre per usufruire del congedo straordinario è necessaria la situazione di convivenza e l'insussistenza di altri familiari conviventi obbligati prioritariamente, nell'ipotesi di permessi retribuiti per l'assistenza del familiare disabile, il beneficiario può anche non essere convivente ed inoltre può essere anche non il solo familiare ad occuparsi del disabile. Ebbene, il dubbio che si pone è se possa essere giustificata, secondo il principio di ragionevolezza, una siffatta asimmetria fra due discipline che perseguono il medesimo fine di tutela del familiare portatore di handicap. Del resto già la citata sentenza della Corte Costituzionale n. 203 del 2013 aveva affermato: «…Né si può comprendere perché il riconoscimento dell'apporto dei parenti e degli affini entro il terzo grado all'assistenza dei disabili gravi debba essere circoscritto ai permessi di cui all'art. 33, comma 3 della L. n. 104 del 1992; tale asimmetria normativa costituisce un ulteriore argomento a sostegno della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'omessa menzione di tali soggetti tra quelli legittimati a richiedere il congedo straordinario disciplinato nella disposizione impugnata…».

Per queste ragioni forse nell'immediato futuro prima ancora di accertare l'abuso del diritto, occorrerebbe valutare, previo rinvio al Giudice delle Leggi, se il requisito della «convivenza» ed il rigido ordine di priorità di legittimati (che sottende al requisito della esclusività della prestazione a favore del disabile) previsto dall'art. 42 comma 5 del D. Lgs. n. 151/2001 in quanto asimmetrico alla disciplina sui permessi di cui all'art. 33, comma 3 della l. n. 104 del 1992, sia conforme al canone di ragionevolezza.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.