Il controllo giudiziale sull’effettività delle ragioni addotte dal datore a fondamento del recesso per GMO
05 Maggio 2017
Massima
La motivazione addotta dal datore di lavoro a fondamento della modifica organizzativa disposta, e del conseguente licenziamento per giustificato motivo oggettivo attuato in ragione di quest'ultima, non può ritenersi effettiva ove essa attenga ad una generale crisi aziendale di per sé potenzialmente idonea a giustificare la soppressione di qualsiasi posizione lavorativa interna all'azienda, dovendosi invece poter accertare una correlazione causale diretta ed immediata tra la ragione addotta e la specifica posizione lavorativa soppressa. Il caso
Un lavoratore subordinato a tempo indeterminato, assunto nel giugno 1991, agiva in giudizio per far dichiarare l'illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato nei suoi confronti, deducendo, tra l'altro, la propria adibizione ad una posizione lavorativa diversa da quella soppressa, l'insussistenza del motivo addotto dalla società datrice di lavoro a fondamento del recesso e l'insussistenza del nesso causale tra il motivo di licenziamento e la soppressione della posizione lavorativa da lui ricoperta.
Si costituiva in giudizio la società convenuta affermando, in particolare, di aver posto in essere una profonda ristrutturazione aziendale al fine di fronteggiare la situazione economica negativa in cui versava da anni e di aver quindi soppresso tutte le posizioni lavorative inerenti il reparto vendite dirette, compresa quella cui era addetto il ricorrente, sostituendo tali posizioni con l'assunzione di agenti plurimandatari, maggiormente motivati rispetto ai lavoratori subordinati, in termini idonei a far conseguire all'azienda un risparmio sui costi fissi. Le questioni
La pronuncia qui in commento impone di affrontare la questione se l'andamento economico negativo dell'intera azienda possa essere legittimamente posto a base di un recesso per giustificato motivo oggettivo, anche ove non sia ravvisabile un nesso causale diretto fra il predetto andamento economico e la posizione lavorativa che si è deciso di sopprimere. Le soluzioni giuridiche
Il dibattito in materia di giustificato motivo oggettivo è storicamente vario ed articolato, dato che, nel tempo, esso ha avuto modo di incentrarsi su di una pluralità di differenti questioni: da quella relativa alla tipologia di ragioni economiche legittimanti la modifica organizzativa disposta dal datore (cfr. Cass. sez. lav., 24 febbraio 2012, n. 2874; Cass. sez. lav., 16 marzo 2015, n. 5173; Cass. sez. lav., 24 giugno 2015, n. 13116; Cass. sez. lav., 7 dicembre 2016, n. 25201; Cass. sez. lav., 15 febbraio 2017, n. 4015) a quella relativa alla maggiore o minore estensione del c.d. obbligo di repechage (Cass. sez. lav., 9 novembre 2016, n. 22798), dalla questione relativa agli oneri di allegazione e prova a carico delle parti (Cass. sez. lav., 22 marzo 2016 n. 5592) a quella relativa ai criteri applicabili per individuare il lavoratore da licenziare allorquando la modifica organizzativa interessi una pluralità di lavoratori con mansioni tra loro fungibili (Cass. sez. lav., 7 dicembre 2016, n. 25192).
Le ragioni di un così ricco dibattito sono anch'esse molteplici e, per ragioni di spazio, in questa sede non possono nemmeno essere accennate: sicuramente, la causa principale di tale vivace contrapposizione di vedute è riconducibile alla natura di “norma elastica” tradizionalmente riconosciuta alla ben nota nozione di giustificato motivo oggettivo, che risulta formulata dal legislatore in termini volutamente generici ed i cui contenuti devono esser riempiti – ovviamente, in armonia con i precetti normativi dell'ordinamento in cui tale norma si inserisce – dall'interprete che di volta in volta sia chiamato a darne applicazione.
Ciò brevemente premesso, la questione risolta dall'ordinanza qui in commento attiene alla verifica della sussistenza dei presupposti che integrano la nozione di giustificato motivo oggettivo, incentrandosi l'indagine del Giudice milanese, in particolare, sulla sussistenza del nesso causale tra la motivazione della modifica organizzativa disposta dal datore (contrazione del fatturato aziendale) e la soppressione della posizione lavorativa del dipendente in cui detta modifica si è concretata: e ciò al fine di verificare l'effettività delle ragioni addotte dal datore di lavoro e, per questa via, la non pretestuosità dell'atto di recesso.
In proposito, è ben nota l'importante e recente pronuncia con cui la Suprema Corte (cfr. Cass. sez. lav., 7 dicembre 2016, n. 25201) ha osservato – dopo aver ricordato la contrapposizione tra l'orientamento giurisprudenziale che, ai fini della legittimità del recesso, ritiene necessario che la modifica organizzativa sia stata disposta al fine di fronteggiare una situazione di crisi dell'azienda non contingente e l'orientamento che invece ritiene legittimo il recesso anche quando la modifica organizzativa sia stata attuata dal datore di lavoro allo scopo di ridurre i costi o di incrementare i profitti – che "tratti comuni ad entrambi gli orientamenti sono rappresentati dal controllo giudiziale sull'effettività del ridimensionamento e sul nesso causale tra la ragione addotta e la soppressione del posto di lavoro del dipendente licenziato. Parimenti costituisce limite al potere datoriale costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità quello identificato nella non pretestuosità della scelta organizzativa. […] Infine deve sempre essere verificato il nesso causale tra l'accertata ragione inerente l'attività produttiva e l'organizzazione del lavoro come dichiarata dall'imprenditore e l'intimato licenziamento in termini di riferibilità e di coerenza rispetto all'operata ristrutturazione. Ove il nesso manchi, anche al fine di individuare il lavoratore colpito dal recesso, si disvela l'uso distorto del potere datoriale, emergendo una dissonanza che smentisce l'effettività della ragione addotta a fondamento di un licenziamento".
Nello stesso senso, con una pronuncia ancora più recente (Cass. sez. lav., 15 febbraio 2017, n. 4015), i Giudici di legittimità hanno affermato ha statuito che "sebbene la decisione imprenditoriale di ridurre la dimensione occupazionale dell'azienda possa essere motivata anche da finalità che prescindano da situazioni sfavorevoli e che perseguano l'obiettivo dell'aumento della redditività dell'impresa, tuttavia è pur sempre necessario: che la riorganizzazione aziendale sia effettiva; che la stessa si ricolleghi causalmente alla ragione dichiarata dall'imprenditore; che il licenziamento si ponga in termini di riferibilità e di coerenza rispetto all'operata ristrutturazione".
In sostanza, ed indipendentemente da quale sia la motivazione addotta a sostegno della modifica organizzativa da cui scaturisce il licenziamento del dipendente (contenimento delle perdite o incremento dei profitti), ai fini della legittimità del recesso è necessario che sia ravvisabile un rapporto di causalità immediata e diretta tra la motivazione stessa e la specifica modifica organizzativa attuata (ridimensionamento dell'organico, attraverso la soppressione di quella specifica posizione lavorativa).
In altri termini, è necessario che la ragione addotta a sostegno della attuata modifica organizzativa incida – dovendosi qualificare in termini di causa efficiente – proprio sulla posizione lavorativa ricoperta dal lavoratore licenziato, determinandone la necessità di soppressione, solo così potendosi verificare l'effettività delle ragioni addotte e, in ultima analisi, la non pretestuosità del recesso. Osservazioni
La sentenza qui in commento sembrerebbe fare corretto uso dei principi recentemente affermati dalla Cassazione in materia di nesso causale tra motivazione addotta a sostegno della modifica organizzativa e specifica modifica concretamente attuata, confermando l'attitudine del predetto nesso causale a dimostrare l'effettività e la veridicità delle ragioni addotte a sostegno della modifica organizzativa da cui poi discende il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo.
Si può infatti leggere nella sentenza del Tribunale di Milano che "la motivazione di un licenziamento per g.m.o. non può essere lasciata ad una giustificazione non specifica, che non renda cioè in particolare la ragione per la quale la crisi o l'operazione riorganizzativa dovrebbe concernere proprio quel lavoratore. Diversamente, una giustificazione fondata sulle sole cicliche crisi dell'impresa come tale determinerebbe una ragione spendibile per qualunque lavoratore di qualunque reparto, con ciò dando accesso a quella che correttamente la Difesa di parte ricorrente ha definito, nel corso dell'udienza di discussione, un vero recesso ad nutum".
In altre parole, l'allegazione di una crisi economica non congiunturale che riguarda l'intera azienda può fondare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo solo quando il datore dimostri che proprio e solo la soppressione di quella specifica posizione lavorativa consente ragionevolmente di ritenere superabile la crisi dedotta.
Qualora ciò non sia dimostrato dal datore – e, dunque, ove risulti che anche la soppressione di altre e diverse posizioni lavorative sia parimenti idonea a comportare per l'azienda il medesimo giovamento in termini di riduzione dei costi o di incremento dei profitti – allora appare ragionevole concludere nel senso della non effettività della ragione addotta, e ritenere che l'allegazione della crisi economica congiunturale abbia costituito solo un pretesto per licenziare un lavoratore che si voleva espellere dal contesto produttivo, a prescindere dalla ragione economica addotta a fondamento della modifica organizzativa.
Nel caso risolto dalla pronuncia qui in commento, per di più, tale giudizio di non effettività della ragione organizzativa addotta risulterebbe essere corroborato dalla considerazione in base alla quale "le mansioni già appartenute al ricorrente" erano state in seguito "ripristinate in capo a lavoratori più giovani", dal fatto che il lavoratore il lavoratore aveva in passato espletato "diverse mansioni all'interno dell'organigramma societario" e dalla circostanza che egli si era dichiarato disponibile a ricoprire altri e diversi ruoli: circostanze di fatto, queste, che ad avviso del Giudicante fanno "supporre che si sia voluto eliminare un lavoratore anziano, sostituendolo con uno o più lavoratori più giovani, negandogli, altresì, un collocamento in una qualsiasi altra posizione aziendale […], con ciò aggravando i sospetti che quella risorsa fosse ormai ritenuta eccessivamente dispendiosa, qualunque cosa facesse e a qualunque reparto fosse dedicata".
La verifica della sussistenza del nesso causale, dunque, verrebbe qui in considerazione come prova di resistenza dell'effettività e della veridicità delle ragioni organizzative addotte a fondamento del recesso datoriale, e l'impossibilità di ravvisare una correlazione immediata e diretta tra queste e la modifica organizzativa attuata determinerebbe la pretestuosità del recesso e la sua conseguente illegittimità. |