I controlli a distanza alla luce delle modifiche apportate dal Correttivo Jobs Act

08 Novembre 2016

Si ripercorre sinteticamente la disciplina sui controlli a distanza dei lavoratori di cui all'art. 4 della L. n. 300/1970, oggetto dapprima di significative modifiche ad opera del Jobs Act (art. 23, D.Lgs. n. 151/2015), poi ulteriormente riformata a seguito dell'entrata in vigore del cd. Correttivo Jobs Act.
Le novità introdotte dal cd. Correttivo Jobs Act all'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori

Come noto, lo scorso 8 ottobre è entrato in vigore il D.Lgs. n. 185 del 2016 (cd. “Decreto correttivo” del Jobs Act) che modifica, tra le altre, le disposizioni concernenti i controlli a distanza dei lavoratori di cui all'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori già oggetto di significative modifiche ad opera del D.Lgs. n. 151/2015 (cd. “Decreto razionalizzazione e semplificazione”, rientrante nei decreti attuativi del Jobs Act, d'ora in poi anche solo “Jobs Act”). Le innovazioni, contenute nell'art. 5, D.Lgs. 185/2016, riguardano il terzo periodo del co. 1 dell' art. 4 della L. n. 300/1970.

La prima concerne i riferimenti alle Direzioni Territoriali del Lavoro e al Ministero del Lavoro, che vengono sostituiti con quelli alle sedi territoriali e alla sede centrale dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro”, così coordinando la norma con il D.Lgs. n. 149/2015, istitutivo del predetto Ispettorato, ente che integra i servizi ispettivi del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, INPS e INAIL e svolge le attività ispettive già esercitate da tali organismi; l' Ispettorato è sottoposto al controllo della Corte dei Conti e alla vigilanza del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che ne monitora periodicamente gli obiettivi e la corretta gestione delle risorse finanziarie.

In base alle nuove norme, i soggetti che, in mancanza di accordo sindacale, sono preposti al rilascio della autorizzazione amministrativa necessaria per la installazione degli strumenti da cui derivi la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, sono la sede territoriale dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro o, nel caso di imprese aventi unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, la sede centrale del predetto Ispettorato nazionale del lavoro.

Una ulteriore innovazione apportata dal D.Lgs. n. 185/2016 riguarda il contenzioso amministrativo in merito al quale si stabilisce che i provvedimenti di autorizzazione o di diniego adottati dall'Ispettorato di cui sopra hanno carattere definitivo” perciò non sono suscettibili di ricorso gerarchico amministrativo.

In proposito, si ricorda che nella originaria formulazione dell'art. 4 Statuto dei Lavoratori, l'ultimo comma prevedeva che avverso i provvedimenti dell'Ispettorato del Lavoro fosse ammessa l'impugnazione innanzi al Ministero del Lavoro con ricorso da effettuarsi entro 30 giorni dalla comunicazione degli stessi.

Tale previsione era stata poi abrogata dal D.Lgs. n. 151/2016 così che la Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro (Circolare n. 20 dell'8 ottobre 2015) aveva ritenuto che nel silenzio della norma non fosse più possibile il ricorso gerarchico; tuttavia, successivamente, il Ministero del Lavoro con Nota prot. 20647 del 12 novembre 2015 aveva chiarito che il provvedimento doveva intendersi ricorribile, per motivi di legittimità e di merito, innanzi alla Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro, entro 30 giorni dalla notifica del provvedimento, dovendosi considerare lo stesso soggetto alle regole generali di cui all'art. 1, D.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199 e, dunque, “non definitivo”, indipendentemente da un'esplicita previsione di legge, considerato, tra l'altro, che era volto a deflazionare il contenzioso giurisdizionale.

Con l' art. 5 del D.Lgs. 185/2016 viene invece eliminata la proponibilità del ricorso al Ministero del Lavoro. Nella relazione illustrativa dell'Atto del Governo n. 311/2016 sottoposto al Parere parlamentare, viene infatti evidenziato che “[...] il rapporto che lega l'Ispettorato al Ministro del Lavoro e delle politiche sociali si qualifica come rapporto di vigilanza e non gerarchico”. Si precisa tuttavia: “Ciò deriva dal fatto che i provvedimenti autorizzatori sono adottati tanto dalle sedi territoriali, quanto, a scelta delle imprese che hanno unità produttive dislocate in più ambiti territoriali, dalla sede centrale dell'Ispettorato nazionale del lavoro. E mentre per i provvedimenti adottati dalle sedi territoriali si potrebbe ipotizzare un ricorso alla sede centrale, nei confronti dei provvedimenti di quest'ultima non è possibile individuare un superiore gerarchico”.

Ciò detto, ci si può ora soffermare brevemente sulle ben più incisive novità apportate all'art. 4 dal D.Lgs. n. 151/2015.

L'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori riformato dal D.Lgs. n. 151/2015

L'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori è stato significativamente modificato dal cd. Jobs Act (art. 23, D.Lgs. n. 151/2015), in vigore dal 24 settembre 2015. La previgente formulazione vietava l'utilizzo di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature aventi per scopo esclusivo il controllo a distanza dell'attività dei lavoratori; tale divieto veniva meno nel caso di strumenti di controllo preterintenzionale”ossia di impianti da cui sarebbe potuta derivare “anche la possibilità di controllo a distanza” e volti a soddisfare esigenze produttive, organizzative e di sicurezza del lavoro, previo, in ogni caso, un accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o, in subordine, previa autorizzazione dell'Ispettorato del Lavoro.

L' attuale co. 1 dell'art. 4 citato non contiene più un espresso divieto di installare strumenti aventi per fine esclusivo il controllo dell'attività dei lavoratori, tuttavia tale divieto deve ritenersi chiaramente implicito e ricavabile dalla stessa lettera della norma: se le apparecchiature da cui derivi la mera possibilità di controllo sono installabili solo previa autorizzazione sindacale o amministrativa (comma 2), quelle finalizzate esclusivamente al controllo devono a fortiori ritenersi non autorizzabili, quindi non installabili.

Come nel vecchio testo è ora consentito l'impiego di impianti e strumenti di controllo a distanza, a condizione che questi rispettino determinati presupposti finalistici – devono essere finalizzati “esclusivamente” ad esigenze organizzative e produttive, sicurezza del lavoro e di “tutela del patrimonio aziendale” - e procedurali – previo accordo sindacale (di RSA o RSU o, per le imprese con unità produttive in più regioni, con i sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale) o, in mancanza, previa autorizzazione dell' Ispettorato Nazionale del Lavoro.

A quest'ultimo proposito va detto che il legislatore del 2015, aggiungendo la finalità della “tutela del patrimonio aziendale” si è in realtà limitato a codificare la giurisprudenza sui cd. controlli difensivi, ormai consolidata, che riteneva applicabile il vecchio comma 2 anche a quegli strumenti di controllo a distanza diretti ad accertare comportamenti illeciti dei lavoratori lesivi del patrimonio o dell'immagine aziendale.

Una rilevante novità invece risiede nel nuovo co. 2 del citato art. 4 che legittima il controllo a distanza attraverso gli “strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa” e gli strumenti di “registrazione di accessi e delle presenze” senza richiedere il rispetto dei predetti requisiti finalistici e procedurali. Il successivo comma 3 prevede comunque che le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 “sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro” (ad esempio, ai fini di un procedimento disciplinare, del conteggio dei giorni di permessi, ferie, etc.) solo se vengano osservate due condizioni: che i lavoratori vengano informati adeguatamente sulle modalità di utilizzo degli strumenti concessi in dotazione e che venga rispettata la normativa sulla privacy (D.Lgs. 196/2003), in particolare i criteri di necessità, pertinenza e non eccedenza dei dati trattati (per le questioni applicative, dottrinali e giurisprudenziali, relative al co. 2 dell'art. 4 dello Statuto, v. E. Sessa, Il badge elettronico tra vecchi e nuovi limiti del controllo a distanza).

L'inosservanza anche solo di una delle predette condizioni rende inutilizzabili i dati così raccolti. Sul tema si segnala il recente Provvedimento n. 350 dell'8 settembre 2016 del Garante Privacy che, in tema di controlli effettuati dal datore attraverso l'installazione, sul dispositivo smartphone di proprietà dei dipendenti, di una applicazione con funzionalità di geolocalizzazione per la rilevazione delle presenze e dell'inizio e della fine della attività lavorativa, ha individuato un legittimo interesse del datore al trattamento di tale tipologia di dati; tuttavia, in quel caso, l'Autorità, in applicazione dei principi di necessità e pertinenza, ha imposto al datore di adottare una serie di misure a tutela della privacy dei lavoratori come quella di configurare il sistema in modo tale che sul dispositivo smartphone venisse posizionata un'icona indicante l'attivazione della funzionalità di localizzazione come pure quella di adottare specifiche misure idonee a garantire che l'applicativo installato sul dispositivo del dipendente non possa effettuare trattamenti di dati ultronei (es. dati relativi al traffico telefonico, agli sms, alla posta elettronica o alla navigazione in internet o altro).

Il sistema sanzionatorio

Il cd. Jobs Act interviene anche sul quadro sanzionatorio, modificando l'art. 171, D.Lgs. n. 196 del 2003 con la previsione dell'applicazione della sanzione penale di cui all'art. 38 dello Statuto dei Lavoratori (l'ammenda da euro 154 a euro 1.549 o l'arresto da 15 giorni ad un anno) - salvo che il fatto non costituisca reato più grave - nel caso di violazione dei co. 1 e 2 dell'art. 4; non si configura invece fattispecie di reato in caso di violazione delle regole sulla utilizzazione dei dati registrati di cui al successivo co. 3. In tal modo, il legislatore, per la prima volta, introduce in un testo dedicato al trattamento dei dati personali (il Codice Privacy) una sanzione diretta per violazione di una norma lavoristica.

La condotta criminosa è rappresentata dalla mera installazione non autorizzata dell'impianto, a prescindere dal suo effettivo utilizzo. Infatti, affinché il reato sussista è sufficiente “l'idoneità dell'impianto a ledere il bene giuridico protetto, cioè il diritto alla riservatezza dei lavoratori mentre non è necessario che questo venga messo in funzione “poiché, configurandosi come un reato di pericolo, la norma sanziona a priori l'installazione, prescindendo dal suo utilizzo o meno” (Cass. Pen., 30 gennaio 2014, n. 4331).

Come ribadito di recente dal Ministero del Lavoro (Nota del Ministero del Lavoro n. 11241 del 1 giugno 2016), la violazione della previsione dell'art. 4 non è esclusa neppure “dall'eventuale preavviso dato ai lavoratori, né infine dal fatto che il controllo sia discontinuo perché esercitato in locali dove i lavoratori possono trovarsi solo saltuariamente” (Cass. 6 marzo 1986, n. 1490; Cass. 921/97)”.

La violazione dell'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori inoltre è presidiata dalle generali tutele del lavoratore per responsabilità del datore in sede civile e amministrativa nonché dall'art. 28 dello Statuto dei Lavoratori che punisce le condotte antisindacali.

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