Licenziamento collettivo: criteri di scelta per l'individuazione dei lavoratori da licenziare

06 Ottobre 2016

Nel nostro paese il licenziamento collettivo ha trovato, e trova tuttora, una puntuale regolamentazione legislativa con la legge n. 223 del 23 luglio 1991, norma che nasce dalla necessità del legislatore italiano di recepire la direttiva della Comunità Europea n. 129 del 17 febbraio 1975 che aveva lo scopo di riallineare, in materia, le legislazioni degli stati membri per rafforzare la tutela dei lavoratori in caso di licenziamenti collettivi, favorendo uno sviluppo economico-sociale equilibrato all'interno della Comunità europea.
Introduzione

Come noto, nel nostro paese il licenziamento collettivo ha trovato, e trova tuttora, una puntuale regolamentazione legislativa con la

l

egge n. 223 del 23 luglio 1991

Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro”.

Tale norma nasce dalla necessità del legislatore italiano di recepire nel nostro ordinamento la direttiva della Comunità Europea n. 129 del 17 febbraio 1975 che aveva lo scopo di riallineare le legislazioni degli stati membri in materia di licenziamenti collettivi al fine di rafforzare la tutela dei lavoratori in caso di licenziamenti collettivi, favorendo uno sviluppo economico-sociale equilibrato all'interno della Comunità europea. Infatti, nonostante in Italia la materia fosse già regolamentata da due accordi interconfederali stipulati nel 1950 e nel 1966, a fronte di due condanne della Corte di Giustizia, in particolare per l'assenza di norme generali che sul tema prevedessero il coinvolgimento di organismi pubblici, nella seconda metà degli anni '80 si determinò la necessità di colmare questa “lacuna” legislativa. Nel contempo, prese corpo anche la volontà di riformare, nello stesso provvedimento, l'istituto della Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria al fine di realizzare un quadro legislativo per la gestione delle situazioni di crisi/ristrutturazione aziendali che fosse il più organico e chiaro possibile. Il collegamento tra i due istituti (CIGS e licenziamenti collettivi), comunque, non è esclusivamente dovuto ad una volontà di trattare in modo organico materie che traggono origine fondamentalmente da situazioni “di fatto” comuni ma, come vedremo, anche per il fatto che una delle due ipotesi di licenziamento collettivo codificato dall'

art. 4, comma 1, legge 223/1991

consiste proprio nell'impossibilità di reimpiego di lavoratori sospesi per cassa integrazione straordinaria (c.d. “collocamento in mobilità”).

Nozione di licenziamento collettivo

Il licenziamento collettivo può essere considerato una fattispecie del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in quanto sempre e comunque connesso a vicende/situazioni che riguardano l'impresa. Tuttavia, il licenziamento collettivo, caratterizzato essenzialmente per la presenza di requisiti quantitativi e spaziali, così come disciplinato dall'

art. 24 della legge 223/1991

(dimensione occupazionale dell'azienda, numero dei licenziamenti e arco temporale entro cui gli stessi devono essere effettuati), costituisce fattispecie autonoma e distinta, rispetto al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, che il legislatore ha ritenuto meritevole, per le implicazioni ed i riflessi economico-sociali, di sottoporre ad una specifica procedura nella quale risulta evidente la funzione di controllo preventivo, sindacale e pubblico dell'operazione imprenditoriale di ridimensionamento dell'azienda. (

Cass. 22 novembre 2011, n. 24566

).

Ipotesi di licenziamento collettivo: il c.d. collocamento in mobilità e il licenziamento collettivo per riduzione di personale

La norma vigente 223/1991 individua due ipotesi distinte di licenziamento collettivo: quella contemplata dall'

art. 4, comma 1,

legge 223/1991

(impossibilità di reimpiego dei lavoratori sospesi per cassa integrazione guadagni straordinaria) c.d. collocamento in mobilità e quella disciplinata dall'

art. 24, comma 1,

legge 223/1991

licenziamento collettivo in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro.

L'elemento in comune alle due fattispecie consiste in una situazione di esubero di personale, ma mentre la prima ha quale presupposto l'ammissione al trattamento di cassa integrazione guadagli straordinaria (CIGS), la seconda prescinde dalla CIGS. Di conseguenza la fattispecie relativa alla riduzione di personale (ex art. 24) ha una connotazione più generale mentre quella di cui all'

art. 4

legge 223/1991

si può configurare solo nell'ambito di un processo di CIGS.

Le due fattispecie di riduzione di personale adottano una procedura che, contenuta negli

artt. 4

legge 223/1991

e

art.

5

legge 223/1991

, disciplina, non solo, il c.d. collocamento in mobilità a seguito di CIGS ma anche ex art. 24 il caso più generale e più ampio di riduzione di personale non derivante necessariamente da un processo di CIGS.

Per completezza di esposizione, se l'ipotesi del c.d. collocamento in mobilità si può verificare solo nel caso in cui l'impresa sia stata ammessa ad un programma di CIGS, è utile ricordare i requisiti quantitativi e spaziali definiti dall'art. 24 perché si possa parlare di licenziamento collettivo per riduzione di personale. Questa seconda fattispecie si concretizza allorquando una impresa, che occupa più di 15 dipendenti, in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, intenda effettuare almeno cinque licenziamenti, nell'arco di 120 giorni, in ciascuna unità produttiva, o in più unità produttive nell'ambito del territorio di una stessa provincia.

Criteri di scelta: i criteri convenzionali e i criteri legali

Come abbiamo visto nel paragrafo in cui si è esaminata la nozione di “licenziamento collettivo” questo è fattispecie autonoma e distinta dal licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo (GMO) avendolo ritenuto il legislatore meritevole, in ragione della dimensione quantitativa/qualitativa che il licenziamento collettivo implica, di una regolamentazione ad hoc che sottopone l'iniziativa imprenditoriale ad un processo di verifica e controllo in sede sindacale e amministrativa. All'interno della procedura regolamentata dalla

legge 223/1991

, l'aspetto centrale più rilevante è costituito dalle modalità con cui il datore di lavoro può individuare i lavoratori da licenziare. Questo importante passaggio che costituisce, peraltro, l'elemento di maggior diversità tra il licenziamento collettivo ed il licenziamento individuale per GMO, è definito dall'

art. 5, comma 1, della legge 223/1991

. “L'individuazione dei lavoratori da licenziare deve avvenire in relazione alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale, nel rispetto dei criteri previsti da contratti collettivi stipulati con i sindacati di cui all'art. 4, comma 2, ovvero in mancanza di questi contratti nel rispetto dei seguenti criteri in concorso tra loro;

  1. Carichi di famiglia;

  2. Anzianità;

  3. Esigenze tecnico produttive ed organizzative”.

La prima fondamentale considerazione che emerge dalla lettura dell'art. 5 consiste nel fatto che il datore di lavoro, nell'ambito del licenziamento collettivo, non può unilateralmente scegliere le persone da licenziare ma, per individuare i soggetti da licenziare dopo aver determinato gli esuberi all'interno dei profili professionali nella lettera di apertura della procedura, deve attenersi ai criteri di scelta concordemente stabiliti dalle parti nel corso dell'esame congiunto, e quindi codificati nell'accordo sindacale con il quale è stata esperita la procedura, oppure, in via suppletiva, dai criteri predeterminati dall'art. 5 c.d. criteri legali. Risulta, pertanto, evidente come il legislatore abbia scelto di non lasciare alla libera iniziativa del datore di lavoro la scelta dei lavoratori da licenziare ma ricondurla a criteri oggettivi e predeterminati che devono essere concordati dalle parti oppure in assenza di accordo sono già codificati dalla norma.

Dottrina e giurisprudenza concordano sul fatto che i criteri fissati dai contratti collettivi devono essere predeterminati e basati su elementi oggettivi e verificabili, non possono contrastare con norme imperative e non devono essere discriminatori.

(

Corte cost. 22/6/1994 n. 268

,

Cass. 11/11/1998 n. 11387

,

Cass. 24/4/1999 n. 4097

,

Cass. 11/5/1999 n. 4666

,

Cass. 24/4/2007 n. 9866

e

Cass. 20/2/2013 n. 4186

.)

I criteri di scelta individuati dai contratti collettivi

, basati su elementi oggettivi e verificabili in modo da consentire la formazione di una graduatoria rigida ed essere controllabili in fase applicativa, non possono implicare valutazioni discrezionali nemmeno nella forma di possibile deroga all'applicazione di criteri in sé oggettivi. (

Cass. 9/6/2011 n. 12544

e

Cass. 11/12/2015 n. 25048

).

In sede di stipula di accordo le parti possono definire criteri diversi da quelli legali e possono, altresì, predeterminare, secondo uno specifico ordine, l'importanza e l'applicazione di uno rispetto ad altri che possono intervenire in subordine.

È, inoltre, possibile alle parti, nell'accordo sindacale, attribuire un peso diverso ai singoli criteri. (

Cass. 23/12/2009 n. 27165

).

Come abbiamo visto, i c.d. criteri legali intervengono solo ed esclusivamente nel caso in cui la procedura si esperisca con un mancato accordo e, quindi, in assenza di un accordo sindacale che definisce i criteri di scelta, il datore di lavoro può procedere nell'effettuare i licenziamenti sulla base di quanto contenuto nella lettera di apertura della procedura, nell'ambito dei profili professionali nei quali ha dichiarato gli esuberi e individuando i lavoratori da licenziare applicando appunto i c.d. criteri legali previsti dall'

art. 5

legge 223/1991

.

In linea generale i tre criteri legali devono essere applicati in concorso tra loro dando a ciascuno un peso equivalente in quanto la norma non conferisce pesi diversi ma li pone sullo stesso livello. Peraltro in linea teorica, in quanto praticamente esercizio molto rischioso e di difficile attuazione, il datore di lavoro, in base a specifiche esigenze che devono essere comprovate e sorrette da oggettive motivazioni esclusivamente riconducibili ad aspetti tecnici, produttivi e organizzativi, potrebbe attribuire una prevalenza ad uno o a due criteri purché tale scelta, ovviamente, non nasconda intenti elusivi o, peggio, discriminatori.

Altro tema rilevante nell'applicazione di quanto previsto dall'

art. 5, comma 1,

legge 223/1991

consiste nell'individuare correttamente qual' è l'ambito o il perimetro aziendale per l'individuazione dei lavoratori da licenziare.

L'

art. 5,

legge 223/1991

comma 1, recita “L'individuazione dei lavoratori da licenziare deve avvenire in relazione alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale, nel rispetto…” per cui il richiamo all'intero complesso aziendale implica che, ai fini della determinazione dell'ambito di attuazione del licenziamento collettivo e dell'individuazione dei lavoratori da licenziare, debba tenersi conto di tutti i lavoratori dell'azienda. Quindi, tendenzialmente, dovrà essere preso in considerazione l'intero complesso aziendale, nel rispetto delle esigenze tecnico-produttive ed organizzative che in taluni casi possono consentire, se opportunamente motivate sin dall'origine dell'avvio della procedura, di limitare l'ambito di scelta all'interno di alcuni ambiti professionali, organizzativi o produttivi. (

Cass. 17/3/2014 n. 6112

). Giurisprudenza consolidata (

Cass. 7/7/2015 n. 13953

,

Cass. 9/3/2015 n. 4678

,

Cass. 12/1/2015 n. 203

) ha confermato che, qualora l'operazione messa in atto dall'azienda si riferisca esclusivamente ad un'unità produttiva della stessa, la platea dei lavoratori interessati può essere limitata a quelli occupati nell'unità produttiva interessata sulla base di oggettive esigenze aziendali che il datore di lavoro deve indicare e qualificare già nella comunicazione di avvio della procedura

ex art. 4, comma 3,

legge 223/1991

specificando i motivi per cui ha ritenuto di limitare i licenziamenti ai soli dipendenti di quella unità ed evidenziando anche le ragioni per cui non ritiene di poter attuare il trasferimento di tutto o parte del personale dichiarato in esubero presso altre unità produttive.

Criterio del raggiungimento del trattamento di pensione

Un criterio utilizzato spesso, soprattutto nell'ambito di rilevanti processi di ristrutturazione, è esattamente l'opposto a quanto prevedono i criteri legali, e cioè l'anzianità dei lavoratori, o meglio il loro possesso dei requisiti pensionistici o la loro vicinanza ai requisiti stessi. In questo senso vengono individuati coloro che hanno già i requisiti pensionistici o sono vicini alla pensione in modo tale che, in quest'ultimo caso, passano dall'ammortizzatore sociale conseguente il licenziamento collettivo (indennità di mobilità) direttamente al trattamento pensionistico. Il criterio è facilmente comprensibile, in quanto si presuppone che l'estinzione del rapporto di lavoro nei confronti di chi possiede i requisiti per fruire del trattamento di pensione determini una situazione di “danno” decisamente inferiore rispetto a quella che si determinerebbe estinguendo il rapporto di lavoro di un lavoratore che non ha questa prospettiva di continuità di reddito. La stessa giurisprudenza ha confermato la sostenibilità giuridica di questo criterio di scelta anche se adottato come unico criterio di individuazione.

In conclusione

Con questo breve lavoro non si ha la pretesa di aver trattato in modo esaustivo un tema che rimane essere tra i più delicati sia sotto il profilo della concreta e pratica applicazione della norma sia sotto il profilo squisitamente tecnico/legale.

L'

art. 5 della legge 223/1991

, rimane, nonostante sia in vigore da più di 25 anni, norma alquanto difficile nell'applicazione concreta soprattutto, evidentemente, quando in assenza di accordo sindacale devono essere applicati, come abbiamo visto, i tre criteri legali magari in ambiti aziendali costituiti da migliaia di lavoratori.

Il contenzioso sulla corretta applicazione dei criteri legali per individuare i lavoratori da licenziare è sempre abbondante sebbene, come si è cercato di evidenziare, la giurisprudenza, bene o male, abbia nel tempo consolidato alcune posizioni. A tale riguardo sono stati presi in considerazione i punti più qualificanti di un tema particolarmente “ampio”, con l'obiettivo di focalizzare l'attenzione sulle risposte che la produzione giurisprudenziale ha maggiormente consolidato dall'entrata in vigore della norma.

A completamento di queste riflessioni finali, ritengo sia opportuno evidenziare come l'attività di analisi preventiva, rispetto ad un progetto di ristrutturazione da cui possono scaturire esuberi nel personale occupato, debba essere particolarmente approfondita in particolar modo dal punto di vista organizzativo, al fine di avere un quadro aziendale certo. Questa è condizione necessaria ed indispensabile per poter successivamente declinare correttamente il progetto aziendale delle disposizioni contenute nella procedura disciplinata dalla

legge 223/1991

.

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