Termine decadenziale di 270 giorni e licenziamenti intimati prima del Collegato lavoro: ius superveniens

06 Ottobre 2016

L'onere di far seguire nei 270 giorni all'impugnazione stragiudiziale il deposito del ricorso o la comunicazione della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, posto a pena di decadenza dal secondo comma dell'art. 6 della L. n. 604 del 1966, nel testo modificato dall'art. 32 della L. 183 del 2010, è applicabile ai recessi intimati anteriormente all'entrata in vigore del c.d. Collegato lavoro e per i quali l'impugnazione stragiudiziale sia stata proposta prima del 24 novembre 2010.
Massima

L'onere di far seguire nei 270 giorni all'impugnazione stragiudiziale (proposta entro i 60 giorni) il deposito del ricorso o la comunicazione della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, posto a pena di decadenza dal secondo comma dell'

art. 6 della L. n. 604 del 1966

, nel testo modificato dall'

art. 32 della L. 183 del 2010

(poi ulteriormente modificato dalla

L. n. 92 del 2012

), è applicabile ai recessi intimati anteriormente all'entrata in vigore del c.d. Collegato lavoro (24 novembre 2010) e per i quali l'impugnazione stragiudiziale sia stata proposta prima del 24 novembre 2010.

Il caso

Una dipendente adiva il Tribunale di Como per ottenere l'annullamento del licenziamento intimatole nell'ottobre 2010 e da lei impugnato stragiudizialmente con lettera nello stesso mese. Il giudice di prime cure dichiarava inammissibile il ricorso proposto dalla lavoratrice.

La Corte territoriale confermava la sentenza del giudice di primo grado secondo il quale la ricorrente era decaduta dall'impugnativa ai sensi dell'

art. 32 comma 1, L. n. 183 del 2010

, in quanto questa era stata proposta con ricorso depositato nel dicembre 2013, quindi oltre i 270 giorni previsti dalla richiamata disposizione, che dovevano farsi decorrere dal 31 dicembre 2011, in applicazione del comma 1 bis dello stesso art. 32, introdotto dall'

art. 2, comma 54, D.L. n. 225 del 2010

, convertito con modificazioni dalla

L. n. 10 del 2011

.

Avverso la sentenza emessa dalla Corte territoriale, la dipendente propone ricorso alla Corte di Cassazione articolato su tre motivi, cui resiste con controricorso la società datrice di lavoro.

La Suprema Corte, rilevando l'infondatezza dei motivi proposti, dichiara conforme al diritto la soluzione prospettata dalla Corte d'Appello e rigetta il ricorso. Ne consegue che secondo la Corte il termine di 270 giorni opera anche per i licenziamenti intimati prima dell'entrata in vigore della

L. n. 183 del 2010

c.d. “Collegato lavoro”, che già erano assoggettati al termine, parimenti decadenziale, di 60 giorni per l'impugnativa stragiudiziale previsto dall'

art. 6 della L. n. 604 del 1966

nella formulazione allora vigente.

La questione

La questione sottoposta alla Corte di Cassazione concerne l'ambito di applicazione ratione temporis di una nuova norma incidente su un procedimento impugnatorio ancora in corso. La Suprema Corte è chiamata a stabilire se l'onere di far seguire nei 270 giorni all'impugnazione stragiudiziale (proposta entro i 60 giorni) il deposito del ricorso o la comunicazione della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, posto a pena di decadenza dal secondo comma dell'

art. 6 della L. n. 604 del 1966

, nel testo modificato dall'

art. 32 della L. 183 del 2010

(poi ulteriormente modificato dalla

L. n. 92 del 2012

), sia applicabile ai recessi intimati anteriormente all'entrata in vigore del c.d. Collegato lavoro (24 novembre 2010) e per i quali l'impugnazione stragiudiziale sia stata proposta prima del 24 novembre 2010.

La soluzione adottata dalla Corte, ponendosi in continuità con i suoi precedenti, discende dal fatto che la novella legislativa di cui all'

art. 32 della L. 183 del 2010

non ha posto delimitazioni temporali per l'applicazione del nuovo regime di impugnativa del licenziamento, per cui non vi è spazio per limitarne l'applicazione a seconda della data di intimazione del recesso.

Rileva inoltre la Corte che la nuova previsione non riveste portata retroattiva e dunque è incapace di arrecare una violazione ai sensi dell'art. 11 delle preleggi, poiché ciò su cui va ad incidere non è una situazione sostanziale già esaurita, vale a dire il licenziamento asseritamente illegittimo, bensì una situazione in fieri, rappresentata dal procedimento impugnatorio ancora in corso.

Va ricordato che il licenziamento si perfeziona nel momento in cui la manifestazione di volontà del datore di lavoro giunge a conoscenza del lavoratore, anche se l'efficacia – ossia la risoluzione del rapporto di lavoro – è differita ad un momento successivo, con la conseguenza che il termine di decadenza di 60 giorni, ai sensi dell'

articolo 6 della legge n. 604 del 1966

, decorre dalla comunicazione del licenziamento e non già dalla data di effettiva cessazione del rapporto. (

Cass. n. 6845 del 2014

). A riguardo è opportuno precisare che nel caso di specie il licenziamento era già assoggettato all'onere di contestazione stragiudiziale entro 60 giorni, mentre l'ulteriore termine decadenziale di 270 giorni, introdotto ex nunc, è intervenuto a sostituire solo il preesistente termine quinquennale di prescrizione di cui all'

art. 1442 c.c.

, previsto in via generale per la proposizione dell'azione giudiziale di annullamento ed applicabile anche all'impugnativa del licenziamento (

Cass.

Ord

. n. 20586 del 2015

). Ne consegue che tra il nuovo termine decadenziale di 270 giorni e quello di 60 giorni sussiste un collegamento tra momenti impugnatori in forza del quale l'impugnazione stragiudiziale perde la sua efficacia se non è seguita dal deposito del ricorso giudiziale nel termine disposto dal novellato

art. 6, comma 2, L. n. 604 del 1966

.

Alla luce di quanto esposto, la Corte riconduce l'intervento legislativo de quo non già ad un'ipotesi di retroattività normativa, bensì ad un caso di ius superveniens, in virtù del fatto che la nuova norma disciplina status, situazioni e rapporti che, pur costituendo latu sensu effetti di un pregresso fatto generatore, risultano distinti da questo sia sotto il profilo ontologico, sia funzionalmente poiché suscettibili di una nuova regolamentazione mediante l'esercizio di poteri e facoltà non consumati sotto la precedente disciplina. Mentre la retroattività normativa è riscontrabile laddove una disposizione di legge introduca, per fatti e rapporti già assoggettati all'imperio di una legge precedente, una nuova disciplina degli effetti esauritisi sotto la legge anteriore, lo ius superveniens risulta applicabile ai fatti, agli status ed alle situazioni esistenti o sopravvenute alla sua entrata in vigore, sebbene conseguenti ad un fatto passato. La novella, incidendo sul potere di impugnare il licenziamento, che era sorto già prima dell'entrata in vigore dell'

art. 32, comma 1 della L. n. 183 del 2010

, ma che non si era ancora consumato, sembra atteggiarsi proprio quale esempio di ius superveniens.

Inoltre la Corte non manca di sottolineare che il nuovo termine per proporre l'azione in giudizio non determina la compromissione della tutela giudiziaria, e pertanto non viola gli

artt. 24 Cost.

, 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'U.E., né gli

artt. 6 e 13 della

Cedu

, poiché risulta quantitativamente congruo allo scopo di prendere adeguata conoscenza della nuova legge e delle sue modalità applicative, anche per effetto della proroga disposta in sede di prima applicazione dal comma 1 bis del suddetto art. 32. Si risolve così un problema di bilanciamento di due contrapposte esigenze, da un lato, quella di garantire l'efficacia del fine sollecitatorio perseguito dal legislatore con l'introduzione del termine decadenziale, e, dall'altro, quella di tutelare l'interesse del privato, onerato della decadenza, a non vedersi addebitare un comportamento inerte allo stesso non imputabile (

Cass. 13355/2014

). Infatti la natura dell'interesse del privato da salvaguardare ha per oggetto non già una situazione definita, bensì un semplice affidamento a fruire del termine prescrizionale per far valere il proprio diritto (

Cass. S.U. n. 15352 del 2015

). A riguardo va ricordato l'orientamento della Consulta secondo il quale il legittimo affidamento riposto nella sicurezza giuridica, che rinviene la sua copertura nell'

art. 3 Cost.

, può essere inciso negativamente laddove si sia in presenza di un determinato interesse pubblico che imponga interventi normativi diretti ad incidere negativamente anche su posizioni consolidate, purché venga rispettato il limite della proporzionalità in relazione agli obiettivi di interesse pubblico perseguiti (

Corte Cost. n. 56 del 2015

). Alla luce della costante giurisprudenza appena richiamata la Corte ribadisce quindi il principio generale in materia di termini, desunto dalla disposizione contenuta nell'

art. 252

disp

. att. c.c.

, secondo il quale, quando per l'esercizio di un diritto la legge stabilisce un termine più breve di quello fissato dalle leggi anteriori, il nuovo termine si applica anche all'esercizio dei diritti sorti anteriormente ed alle prescrizioni in corso, ma con decorrenza dall'entrata in vigore della nuova legge (

Cass. S.U.

nn

. 6173

/

2008

e

15352

/

2015

).

Le soluzioni giuridiche

Al fine di comprendere compiutamente la portata della novella introdotta sembra opportuno delineare preliminarmente il quadro normativo previgente.

L'entrata in vigore della

L. n. 183 del 2010

ha innovato il regime delle impugnazioni del licenziamento dando origine a numerose questioni interpretative.

La disciplina dell'onere di impugnazione del licenziamento dettata dall'

art. 6 della L. n. 604 del 1966

nella sua originaria formulazione stabiliva, a pena di decadenza, un termine di 60 giorni entro il quale impugnare il licenziamento con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale, ma non prevedeva un termine di decadenza anche per l'esercizio dell'azione giudiziale. Di conseguenza il lavoratore poteva adire il giudice per ottenere l'annullamento del licenziamento entro il termine ordinario di prescrizione quinquennale (

Cass. n. 27428 del 2005

), mentre, ove la domanda fosse stata diretta ad accertare la nullità del licenziamento, non vi era alcun limite di tempo, data la non assoggettabilità a prescrizione della relativa azione. L'unico onere gravante sul lavoratore nel breve periodo consisteva quindi nell'esternare la volontà di impugnare il licenziamento, anche in via stragiudiziale, a pena di decadenza entro 60 giorni dalla sua comunicazione. A riguardo va ricordato che la giurisprudenza, pur confermando la natura recettizia dell'impugnazione, per cui l'efficacia per il destinatario decorre solo dal momento in cui questi ne abbia avuto la conoscenza legale, precisava che l'impugnazione del recesso formulata mediante dichiarazione spedita al datore con raccomandata postale, “deve intendersi tempestivamente effettuata allorché la spedizione avvenga entro 60 giorni dalla comunicazione del licenziamento o dei relativi motivi, anche se la dichiarazione medesima sia ricevuta dal datore di lavoro oltre detto termine” (

Cass. S.U. n. 8830 del 2010

).

Non essendo previsto a carico del lavoratore licenziato un onere perentorio che fissava un termine celere entro il quale adire il giudice, depositando il ricorso, o chiedere la conciliazione o l'arbitrato, per il datore di lavoro poteva profilarsi una perdurante situazione di incertezza aggravata dall'emergere di conseguenze economicamente svantaggiose dovute al fatto che il lungo periodo di inerzia prima dell'introduzione del giudizio avrebbe determinato, in caso di soccombenza del datore, una condanna ad un risarcimento cospicuo poiché pari a tutte le retribuzioni maturate dal giorno del recesso compresi i contributi previdenziali ed assistenziali (

Cass. n. 10833 del 2010

).

L'introduzione dell'

art. 6 comma 2, L. n. 604/66

, come modificato dall'

art. 32, L. n. 183/2010

, prevede che l'impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di 270 giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso.

La nuova disciplina trova applicazione, per espressa disposizione, in tutti i casi di invalidità del licenziamento. A riguardo parte della dottrina (Vallebona, Pasqua) evidenziava come il riferimento alla categoria civilistica dell'invalidità consentisse di ritenere assoggettate all'onere di impugnazione tutte le ipotesi di recesso nullo o annullabile, vale a dire anche quelle che in passato la giurisprudenza aveva ritenuto escluse.

Giova sottolineare che la novella ha avuto il pregio di interrompere la prassi delle impugnazioni giudiziali proposte dai lavoratori dopo un considerevole lasso di tempo dal recesso, conferendo una maggiore garanzia di certezza della situazione di fatto ed una tutela pregnante alla posizione giuridica del datore di lavoro, che è così posto in grado di sapere, nel breve periodo, se il licenziamento intimato potrà costituire oggetto di accertamento giudiziale. Ciò perché non è più sufficiente che l'impugnazione stragiudiziale intervenga tempestivamente, vale a dire entro 60 giorni dalla comunicazione del recesso, bensì è previsto un ulteriore apposito termine perentorio entro cui promuovere il giudizio volto ad ottenere la caducazione del licenziamento, vale a dire il deposito del ricorso entro 270 giorni, pena la perdita di efficacia dell'impugnazione precedentemente effettuata. L'impugnazione stragiudiziale del licenziamento si configura infatti quale presupposto dell'operatività del termine dei 270 giorni.

Da ultimo è interessante notare come l'

art. 32, comma 1 bis, L. n. 183 del 2010

, nel prevedere in sede di prima applicazione il differimento al 31 dicembre 2011 dell'entrata in vigore delle disposizioni relative al termine di 60 giorni per l'impugnazione del licenziamento, si applica a tutti i contratti ai quali tale regime risulta esteso e riguarda tutti gli ambiti di novità di cui al novellato

art. 6 della l. n. 604 del 1966

, sicché, con riguardo ai contratti a termine non solo in corso ma anche con termine scaduto e per i quali la decadenza sia maturata nell'intervallo di tempo tra il 24 novembre 2010 (data di entrata in vigore del cd. “Collegato lavoro”) e il 23 gennaio 2011 (scadenza del termine di sessanta giorni per l'entrata in vigore della novella introduttiva del termine decadenziale), si applica il differimento della decadenza mediante la rimessione in termini, rispondendo alla ratio legis di attenuare, in chiave costituzionalmente orientata, le conseguenze legate all'introduzione ex novo del suddetto e ristretto termine di decadenza (

Cass. n. 25103 del 2015

).

Osservazioni

In conclusione alla disamina del caso giova sottolineare come l'esigenza di un tale intervento legislativo fosse sentita da parte della dottrina (Vallebona) e sia stata altresì espressa dalla Commissione per lo studio e la revisione della normativa processuale del lavoro, istituita con decreto ministeriale del 28 novembre 2006. Tuttavia è opportuno ricordare che sulla reale ratio della nuova disposizione si è registrata in dottrina una mancanza di uniformità di vedute poiché mentre una parte (Vallebona) riteneva che fosse il modo di porre fine alle speculazioni da parte dei lavoratori che differivano l'introduzione del giudizio allo scopo di lucrare sulla controversia il cui l'importo dovuto aumentava con il decorso del tempo, altra parte (Centofanti, Menghini) considerava criticamente la riforma, quale strumento di svilimento ed esclusione della funzione giurisdizionale, nonché di attenuazione della tutela dei diritti dei lavoratori.

Anche la Corte Costituzionale si è occupata dell'esame della novella de qua a seguito di un'ordinanza con cui il Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro, aveva sollevato, in riferimento all'

art. 3 Cost.

, una questione di legittimità costituzionale dell'

art. 32, comma 4, lettera b), della L. n. 183 del 2010

, nella parte in cui prevede l'applicazione del termine di decadenza, stabilito dal riformato

art. 6, primo comma, della L. n. 604 del 1966

, anche ai contratti di lavoro a tempo determinato già conclusi alla data di entrata in vigore della citata legge e con decorrenza dalla medesima data. In quell'occasione la Consulta, che dichiara non fondata la questione di legittimità, ribadisce il principio secondo cui, in tema di disciplina del processo e di conformazione degli istituti processuali, il legislatore dispone di ampia discrezionalità, con il solo limite della manifesta irragionevolezza (ex plurimis:

sentenze n. 10

/

2013

,

n. 17

/

2011

,

n. 82

/2010

e

50

/

2010

,

n. 221

/

2008

). La Corte, affermando che il nuovo regime introdotto dall'

art. 32 della L. n. 183 del 2010

si applica nel suo complesso a tutti i contratti a termine, cioè a quelli già scaduti alla data di entrata in vigore della legge, a quelli in corso di esecuzione e a quelli instaurati successivamente, precisa che la ratio di tale disciplina si rinviene in una pluralità di esigenze: quella di garantire la speditezza dei processi mediante l'introduzione di termini di decadenza in precedenza non previsti; quella di contrastare la prassi di azioni giudiziarie proposte anche a distanza di tempo assai rilevante dalla scadenza del termine apposto al contratto, nonché quella di pervenire ad una riduzione del contenzioso giudiziario in materia (

Corte Cost. n. 155 del 2014

).

Guida all'approfondimento
  • A. Vallebona, Dal progetto della Commissione Foglia “luci e ombre” sul processo del lavoro in GD, 2008, n. 20, p. 10 ss.
  • A. Vallebona, Decadenza e prescrizione dell'impugnazione del licenziamento: l'abbaglio delle Sezioni Unite in Massimario di giurisprudenza del lavoro, 2010, p. 738.
  • G. Amoroso, Impugnazioni e decadenze nel Collegato Lavoro. Il nuovo regime delle impugnazioni e delle decadenze, in AA.VV., Il libro dell'anno del diritto, a cura di R. Garofoli e T. Treu, 2012.
  • R. Pasqua, Le nuove decadenze in materia di impugnazione del licenziamento, in Dir. Prat. Lav., 2011, 2, inserto, XIX.
  • A. Vallebona, Una buona svolta del diritto del lavoro: “il collegato” 2010, in Mass. Giur. Lav. 2010, p. 4.
  • S. Centofanti, Le nuove norme, non promulgate, di limitazione della tutela giurisdizionale dei lavoratori, 2010, in Lav. Giur., 2010, p. 239.
  • F. Bonfrate, Contrasti giurisprudenziali in ordine al differimento del termine decadenziale introdotto dalla

    l. n. 10/2011

    in materia di impugnazione dei contratti flessibili, in Riv. It. Dir. Lav, 2012, II, p. 22 ss.
  • L. Meneghini, Il nuovo regime delle decadenze nel Collegato lavoro 2010, in Lav. Giur., 2011, p. 41.
  • G. Proia, M. Tiraboschi, La riforma dei rapporti e delle controversie di lavoro, Giuffrè, 2011.
  • L. Cavallaro, L'

    art. 32 l. n. 183/2010

    dopo il “Milleproroghe”, in Working Papers C.S.D.L.E. “Massimo D'Antona”. IT – 169/2013, p. 3 ss.

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