Termine decadenziale di 270 giorni e licenziamenti intimati prima del Collegato lavoro: ius superveniens
06 Ottobre 2016
Massima
L'onere di far seguire nei 270 giorni all'impugnazione stragiudiziale (proposta entro i 60 giorni) il deposito del ricorso o la comunicazione della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, posto a pena di decadenza dal secondo comma dell' art. 6 della L. n. 604 del 1966 art. 32 della L. 183 del 2010 L. n. 92 del 2012 Il caso
Una dipendente adiva il Tribunale di Como per ottenere l'annullamento del licenziamento intimatole nell'ottobre 2010 e da lei impugnato stragiudizialmente con lettera nello stesso mese. Il giudice di prime cure dichiarava inammissibile il ricorso proposto dalla lavoratrice.
La Corte territoriale confermava la sentenza del giudice di primo grado secondo il quale la ricorrente era decaduta dall'impugnativa ai sensi dell' art. 32 comma 1, L. n. 183 del 2010 art. 2, comma 54, D.L. n. 225 del 2010 L. n. 10 del 2011 Avverso la sentenza emessa dalla Corte territoriale, la dipendente propone ricorso alla Corte di Cassazione articolato su tre motivi, cui resiste con controricorso la società datrice di lavoro.
La Suprema Corte, rilevando l'infondatezza dei motivi proposti, dichiara conforme al diritto la soluzione prospettata dalla Corte d'Appello e rigetta il ricorso. Ne consegue che secondo la Corte il termine di 270 giorni opera anche per i licenziamenti intimati prima dell'entrata in vigore della L. n. 183 del 2010 art. 6 della L. n. 604 del 1966 La questione
La questione sottoposta alla Corte di Cassazione concerne l'ambito di applicazione ratione temporis di una nuova norma incidente su un procedimento impugnatorio ancora in corso. La Suprema Corte è chiamata a stabilire se l'onere di far seguire nei 270 giorni all'impugnazione stragiudiziale (proposta entro i 60 giorni) il deposito del ricorso o la comunicazione della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, posto a pena di decadenza dal secondo comma dell' art. 6 della L. n. 604 del 1966 art. 32 della L. 183 del 2010 L. n. 92 del 2012
La soluzione adottata dalla Corte, ponendosi in continuità con i suoi precedenti, discende dal fatto che la novella legislativa di cui all' art. 32 della L. 183 del 2010
Rileva inoltre la Corte che la nuova previsione non riveste portata retroattiva e dunque è incapace di arrecare una violazione ai sensi dell'art. 11 delle preleggi, poiché ciò su cui va ad incidere non è una situazione sostanziale già esaurita, vale a dire il licenziamento asseritamente illegittimo, bensì una situazione in fieri, rappresentata dal procedimento impugnatorio ancora in corso.
Va ricordato che il licenziamento si perfeziona nel momento in cui la manifestazione di volontà del datore di lavoro giunge a conoscenza del lavoratore, anche se l'efficacia – ossia la risoluzione del rapporto di lavoro – è differita ad un momento successivo, con la conseguenza che il termine di decadenza di 60 giorni, ai sensi dell' articolo 6 della legge n. 604 del 1966 Cass. n. 6845 del 2014 art. 1442 c.c. Cass. Ord . n. 20586 del 2015 art. 6, comma 2, L. n. 604 del 1966
Alla luce di quanto esposto, la Corte riconduce l'intervento legislativo de quo non già ad un'ipotesi di retroattività normativa, bensì ad un caso di ius superveniens, in virtù del fatto che la nuova norma disciplina status, situazioni e rapporti che, pur costituendo latu sensu effetti di un pregresso fatto generatore, risultano distinti da questo sia sotto il profilo ontologico, sia funzionalmente poiché suscettibili di una nuova regolamentazione mediante l'esercizio di poteri e facoltà non consumati sotto la precedente disciplina. Mentre la retroattività normativa è riscontrabile laddove una disposizione di legge introduca, per fatti e rapporti già assoggettati all'imperio di una legge precedente, una nuova disciplina degli effetti esauritisi sotto la legge anteriore, lo ius superveniens risulta applicabile ai fatti, agli status ed alle situazioni esistenti o sopravvenute alla sua entrata in vigore, sebbene conseguenti ad un fatto passato. La novella, incidendo sul potere di impugnare il licenziamento, che era sorto già prima dell'entrata in vigore dell' art. 32, comma 1 della L. n. 183 del 2010
Inoltre la Corte non manca di sottolineare che il nuovo termine per proporre l'azione in giudizio non determina la compromissione della tutela giudiziaria, e pertanto non viola gli artt. 24 Cost. artt. 6 e 13 della Cedu Cass. 13355/2014 Cass. S.U. n. 15352 del 2015 art. 3 Cost. Corte Cost. n. 56 del 2015 art. 252 disp . att. c.c. Cass. S.U. nn . 6173 / 2008 15352 / 2015 Le soluzioni giuridiche
Al fine di comprendere compiutamente la portata della novella introdotta sembra opportuno delineare preliminarmente il quadro normativo previgente.
L'entrata in vigore della L. n. 183 del 2010
La disciplina dell'onere di impugnazione del licenziamento dettata dall' art. 6 della L. n. 604 del 1966 Cass. n. 27428 del 2005 Cass. S.U. n. 8830 del 2010
Non essendo previsto a carico del lavoratore licenziato un onere perentorio che fissava un termine celere entro il quale adire il giudice, depositando il ricorso, o chiedere la conciliazione o l'arbitrato, per il datore di lavoro poteva profilarsi una perdurante situazione di incertezza aggravata dall'emergere di conseguenze economicamente svantaggiose dovute al fatto che il lungo periodo di inerzia prima dell'introduzione del giudizio avrebbe determinato, in caso di soccombenza del datore, una condanna ad un risarcimento cospicuo poiché pari a tutte le retribuzioni maturate dal giorno del recesso compresi i contributi previdenziali ed assistenziali ( Cass. n. 10833 del 2010
L'introduzione dell' art. 6 comma 2, L. n. 604/66 art. 32, L. n. 183/2010
La nuova disciplina trova applicazione, per espressa disposizione, in tutti i casi di invalidità del licenziamento. A riguardo parte della dottrina (Vallebona, Pasqua) evidenziava come il riferimento alla categoria civilistica dell'invalidità consentisse di ritenere assoggettate all'onere di impugnazione tutte le ipotesi di recesso nullo o annullabile, vale a dire anche quelle che in passato la giurisprudenza aveva ritenuto escluse.
Giova sottolineare che la novella ha avuto il pregio di interrompere la prassi delle impugnazioni giudiziali proposte dai lavoratori dopo un considerevole lasso di tempo dal recesso, conferendo una maggiore garanzia di certezza della situazione di fatto ed una tutela pregnante alla posizione giuridica del datore di lavoro, che è così posto in grado di sapere, nel breve periodo, se il licenziamento intimato potrà costituire oggetto di accertamento giudiziale. Ciò perché non è più sufficiente che l'impugnazione stragiudiziale intervenga tempestivamente, vale a dire entro 60 giorni dalla comunicazione del recesso, bensì è previsto un ulteriore apposito termine perentorio entro cui promuovere il giudizio volto ad ottenere la caducazione del licenziamento, vale a dire il deposito del ricorso entro 270 giorni, pena la perdita di efficacia dell'impugnazione precedentemente effettuata. L'impugnazione stragiudiziale del licenziamento si configura infatti quale presupposto dell'operatività del termine dei 270 giorni.
Da ultimo è interessante notare come l' art. 32, comma 1 bis, L. n. 183 del 2010 art. 6 della l. n. 604 del 1966 Cass. n. 25103 del 2015 Osservazioni
In conclusione alla disamina del caso giova sottolineare come l'esigenza di un tale intervento legislativo fosse sentita da parte della dottrina (Vallebona) e sia stata altresì espressa dalla Commissione per lo studio e la revisione della normativa processuale del lavoro, istituita con decreto ministeriale del 28 novembre 2006. Tuttavia è opportuno ricordare che sulla reale ratio della nuova disposizione si è registrata in dottrina una mancanza di uniformità di vedute poiché mentre una parte (Vallebona) riteneva che fosse il modo di porre fine alle speculazioni da parte dei lavoratori che differivano l'introduzione del giudizio allo scopo di lucrare sulla controversia il cui l'importo dovuto aumentava con il decorso del tempo, altra parte (Centofanti, Menghini) considerava criticamente la riforma, quale strumento di svilimento ed esclusione della funzione giurisdizionale, nonché di attenuazione della tutela dei diritti dei lavoratori.
Anche la Corte Costituzionale si è occupata dell'esame della novella de qua a seguito di un'ordinanza con cui il Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro, aveva sollevato, in riferimento all' art. 3 Cost. art. 32, comma 4, lettera b), della L. n. 183 del 2010 art. 6, primo comma, della L. n. 604 del 1966 sentenze n. 10 / 2013 ,n. 17 / 2011 ,n. 82 /2010 e50 / 2010 ,n. 221 / 2008 ). La Corte, affermando che il nuovo regime introdotto dall'art. 32 della L. n. 183 del 2010 si applica nel suo complesso a tutti i contratti a termine, cioè a quelli già scaduti alla data di entrata in vigore della legge, a quelli in corso di esecuzione e a quelli instaurati successivamente, precisa che la ratio di tale disciplina si rinviene in una pluralità di esigenze: quella di garantire la speditezza dei processi mediante l'introduzione di termini di decadenza in precedenza non previsti; quella di contrastare la prassi di azioni giudiziarie proposte anche a distanza di tempo assai rilevante dalla scadenza del termine apposto al contratto, nonché quella di pervenire ad una riduzione del contenzioso giudiziario in materia (Corte Cost. n. 155 del 2014 ).
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