Caporalato: le novità della legge n.199

Iunio Valerio Romano
06 Dicembre 2016

La L. 29 ottobre 2016, n. 199, entrata in vigore il successivo 4 novembre, ha riscritto l'art. 603-bis c.p., introducendo una serie di misure volte al contrasto del cd. caporalato, fenomeno particolarmente significativo nel settore agricolo, e ad una maggiore tutela dei lavoratori occupati in tale ambito. L'intento del Legislatore è stato quello di superare il deficit di efficacia della originaria fattispecie, introdotta dall'art. 12 del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, affiancando la previsione di una più incisiva reazione sanzionatoria, anche sul piano dell'ablazione patrimoniale, agli interventi di politica economico e sociale tesi a scardinare un atavico e odioso sistema produttivo.
Premessa

*Il presente contributo è frutto esclusivo del pensiero dell'Autore e non è in alcun modo vincolante per la P.A. di appartenenza.

La Legge 29 ottobre 2016, n. 199, pubblicata in GU n. 257 del 3 novembre 2016 ed entrata in vigore il successivo 4 novembre, si compone di dodici articoli e reca disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo.

Tale provvedimento ha il chiaro intento di contrastare, una volta per tutte e in maniera efficace, il fenomeno del cd. caporalato, ovvero dell'intermediazione illegale e dello sfruttamento lavorativo, condotte particolarmente riscontrabili in agricoltura.

Il Legislatore ha, dunque, introdotto una serie di novità che si sostanziano:

  • nella riscrittura della fattispecie di reato introdotta nel 2011 (art. 603-bis c.p.), prevedendo, tra l'altro, la sanzionabilità anche del datore di lavoro;
  • nell'applicazione di un'attenuante in caso di collaborazione con le autorità;
  • nella previsione dell'arresto obbligatorio in flagranza di reato;
  • nel rafforzamento dell'istituto della confisca (sul punto, cfr., altresì, D.Lgs. 29 ottobre 2016, n. 202);
  • nell'adozione di misure cautelari relative all'azienda in cui è commesso il reato;
  • nell'estensione alle persone giuridiche della responsabilità per il reato accertato;
  • nell'estensione alle vittime del caporalato delle provvidenze del Fondo antitratta (cfr. art. 12, comma 3, L. 11 agosto 2003, n. 228);
  • nel potenziamento della Rete del lavoro agricolo di qualità, in funzione di strumento di controllo e prevenzione del lavoro nero in agricoltura (cfr. art. 6, D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito con modificazioni dalla Legge 11 agosto 2014, n. 116);
  • nella previsione del graduale riallineamento delle retribuzioni nel settore agricolo.
La fattispecie di reato

L'art. 603-bis c.p. prevede un delitto contro la persona e, più in particolare, contro la libertà e la personalità individuale. La reazione penale è giustificata dal particolare disvalore sociale insito in una condotta tesa a ledere persino la dignità di un soggetto (il lavoratore), parte di un rapporto che, per definizione, lo vede già in partenza in una posizione non del tutto paritaria e di oggettiva debolezza.

L'attuale previsione di legge, superando la sostanziale inadeguatezza del previgente impianto normativo, rivisita la struttura del reato enucleato dall'art. 12, D.L. 13 agosto 2011, n. 138. Sempre che la condotta non integri gli estremi di una fattispecie illecita più grave, commette il reato di intermediazione illecita e sfruttamento della manodopera chiunque:

  • recluti manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori;
  • utilizzi, assuma o impieghi manodopera, anche mediante la predetta attività di intermediazione, sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno.

Intermediazione illecita e sfruttamento della manodopera

Pena:

  • reclusione da uno a sei anni e multa da 500 a 1.000 € per ciascun lavoratore reclutato;
  • se i fatti sono commessi mediante violenza o minaccia, reclusione da cinque a otto anni e multa da 1.000 a 2.000 € per ciascun lavoratore reclutato.
Trattasi di un reato comune, sebbene sia stata prevista la sanzionabilità specifica del datore di lavoro.Sotto il profilo psicologico, sembrerebbe essere richiesto il dolo specifico nell'ipotesi dell'intermediazione, con l'ulteriore requisito dell'approfittamento dello stato di vulnerabilità del lavoratore, a fronte del mero dolo generico richiesto nella condotta di chi utilizzi, assuma o, comunque, impieghi manodopera che versi in stato di bisogno, sottoponendola a condizioni di sfruttamento.Sotto il profilo materiale, rilevano l'attività illecita di mediazione tra domanda e offerta di lavoro, le oggettive condizioni di sfruttamento dei lavoratori interessati e l'approfittamento di uno stato di forte disagio economico e sociale, tale cioè da compromettere anche le necessità di vita primarie degli stessi. Rapporto con la vecchia fattispecieRispetto al testo previgente, si rileva l'estensione della punibilità anche al datore di lavoro. Nella precedente formulazione, inoltre, era disposta la pena della reclusione da cinque a otto anni e della multa da 1.000 a 2.000 € per ogni lavoratore reclutato in capo a chiunque svolgesse attività organizzata di intermediazione, reclutando manodopera o organizzandone l'attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento, mediante violenza, minaccia o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori. Nella nuova fattispecie sono venuti meno i riferimenti all'organizzazione dell'attività lavorativa, allo stato di necessità del lavoratore soggetto passivo del delitto e, soprattutto, alla violenza, minaccia o intimidazione. Conseguentemente, le pene risultano abbassate. La violenza e la minaccia permangono, tuttavia, come circostanze aggravanti del fatto, che, in tal caso, sarà sanzionabile con le vecchie pene.Per il nuovo delitto di intermediazione illecita, infine, è stato previsto l'arresto obbligatorio in flagranza, laddove in precedenza era disposto l'arresto facoltativo dell'indiziato sorpreso in flagrante.
Gli indici di sfruttamento
La norma precisa che costituiscono indici di sfruttamento:
  • la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;
  • la reiterata violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all'aspettativa obbligatoria, alle ferie;
  • la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro;
  • la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti.
E' indubbio che le condizioni di fatto costituenti gli indici legali di sfruttamento indicati dalla norma hanno una funzione di “orientamento probatorio” per la magistratura e non integrano l'elemento materiale del reato. Essi non descrivono il fatto tipico e non sono elementi costitutivi del delitto.Peraltro, quando il Legislatore parla di reiterazione (e non più di sistematicità) delle violazioni, chiede l'abitualità nel porre in essere condotte, di per sé illecite, ma che possono, ancor più, comprovare una condizione di sfruttamento. L'abitualità del comportamento illecito è in stretta correlazione con la reiterazione nel tempo di più condotte identiche e omogenee, ma, nel campo degli illeciti amministrativi, quest'ultima non opera in caso di estinzione del procedimento sanzionatorio a seguito di pagamento della sanzione in misura agevolata (cfr. art. 13, D.Lgs. n. 124/2004 e successive modificazioni), ovvero ridotta (cfr. conciliazione amministrativa ex art. 16, L. n. 689/1981). Pertanto, è da capire se, ai fini del predetto orientamento probatorio, l'accertamento nel tempo di più condotte illecite identiche e omogenee, con riguardo alle quali non sia intervenuto un provvedimento definitivo (ordinanza-ingiunzione integrante l'esercizio della potestas puniendi), possa di per sé rilevare ovvero sia da ritenere dal punto di vista indiziario tamquam non esset. Ad ogni modo e al solo fine di meglio chiarire il concetto, la violazione della normativa prevenzionistica in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro non è di per sé, ad esempio, capace di integrare gli estremi del delitto in esame, occorrendo pur sempre che il lavoratore risulti sfruttato e che del suo stato di bisogno il datore di lavoro abbia approfittato.

Lo sfruttamento di manodopera

Il concetto di sfruttamento deve essere ricondotto a quei comportamenti, anche se posti in essere senza violenza o minaccia, idonei a inibire e limitare la libertà di autodeterminazione della vittima mediante l'approfittamento dello stato di bisogno in cui versa. La nozione di sfruttamento implica concettualmente una compressione temporalmente apprezzabile dei beni/interessi tutelati. Non si sfrutta il lavoratore con un unico atto, ma attraverso condotte che ne compromettono per una durata significativa i diritti fondamentali che rilevano nell'ambito del rapporto di lavoro.

Lo stato di bisogno

Nell'ipotesi enucleata dall'art. 603-bis c.p., lo stato di bisogno non può tradursi nella necessità di lavorare per vivere, ma presuppone uno stato di difficoltà tendenzialmente irreversibile, che, pur non annientando in modo assoluto qualunque libertà di scelta, comporta un impellente assillo, tale da compromettere fortemente la libertà contrattuale della persona.

Reiterazione degli illeciti amministrativi (art. 8-bis, L. n. 689/1981).
Salvo quanto previsto da speciali disposizioni di legge, si ha reiterazione quando, nei cinque anni successivi alla commissione di una violazione amministrativa, accertata con provvedimento esecutivo, lo stesso soggetto commette un'altra violazione della stessa indole.

Si ha reiterazione anche quando più violazioni della stessa indole commesse nel quinquennio sono accertate con unico provvedimento esecutivo.

Si considerano della stessa indole le violazioni della medesima disposizione e quelle di disposizioni diverse che, per la natura dei fatti che le costituiscono o per le modalità della condotta, presentano una sostanziale omogeneità o caratteri fondamentali comuni.

La reiterazione è specifica se è violata la medesima disposizione.
Le violazioni amministrative successive alla prima non sono valutate, ai fini della reiterazione, quando sono commesse in tempi ravvicinati e riconducibili ad una programmazione unitaria.
La reiterazione determina gli effetti che la legge espressamente stabilisce. Essa non opera nel caso di pagamento in misura ridotta.

Gli effetti conseguenti alla reiterazione possono essere sospesi fino a quando il provvedimento che accerta la violazione precedentemente commessa sia divenuto definitivo. La sospensione è disposta dall'autorità amministrativa competente, o in caso di opposizione dal giudice, quando possa derivare grave danno.

Gli effetti della reiterazione cessano di diritto, in ogni caso, se il provvedimento che accerta la precedente violazione è annullato.

Cass. pen. sez. V, 27 marzo 2014, n. 14591

In tema di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, il reato di cui all'art. 603-bis c.p. punisce tutte quelle condotte distorsive del mercato del lavoro, che, in quanto caratterizzate dallo sfruttamento mediante violenza, minaccia o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori, non si risolvono nella mera violazione delle regole relative all'avviamento al lavoro sanzionate dall'art. 18, D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto integrato il requisito della intimidazione nella rinuncia dei lavoratori stranieri, privi di adeguati mezzi di sussistenza, a richiedere il pur irrisorio compenso pattuito con l'agente, per il timore di non essere più chiamati a lavorare).

Le aggravanti e le attenuanti specifiche
Costituiscono aggravante specifica e comportano l'aumento della pena da un terzo alla metà:
  • il fatto che il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre;
  • il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa;
  • l'aver commesso il fatto esponendo i lavoratori sfruttati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro.
La pena è, invece, diminuita da un terzo a due terzi nei confronti di chi, nel rendere dichiarazioni su quanto a sua conoscenza, si adopera per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori ovvero aiuta concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella raccolta di prove decisive per l'individuazione o la cattura dei concorrenti o per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite.Nel caso di dichiarazioni false o reticenti si applicano le disposizioni dell'art. 16-septies, D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla Legge 15 marzo 1991, n. 82. L'introdotta attenuante specifica, in linea con la legislazione di emergenza di tipo premiale e con effetto viepiù speciale, rende inapplicabili le disposizioni di cui all'art. 600-septies c.p., applicabile a tutti gli altri delitti contro l'incolumità individuale. Il fine della attenuante specifica prevista dal Legislatore è quello di rompere qualsiasi pactum sceleris, sotteso da interessi comuni o tra loro collegati e reso ancor più forte dal regime di omertà che permea il contesto di cui trattasi.
Le misure ablative
In caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell'art. 444 c.p.p., è sempre obbligatoria, salvi i diritti della persona offesa alle restituzioni e al risarcimento del danno, la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto o il profitto, salvo che appartengano a persona estranea al reato. Ove essa non sia possibile, è disposta la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilità, anche indirettamente o per interposta persona, per un valore corrispondente al prodotto, prezzo o profitto del reato. La novella ha, altresì, introdotto l'istituto del cd. controllo giudiziario dell'azienda, quale vera e propria misura cautelare reale. Ed invero, qualora ricorrano i presupposti indicati nel comma 1, art. 321 c.p.p., il giudice andrà a disporre, in luogo del sequestro, il controllo giudiziario dell'azienda presso cui è stato commesso il reato, laddove l'interruzione dell'attività imprenditoriale possa comportare ripercussioni negative sui livelli occupazionali o compromettere il valore economico del complesso aziendale (cfr. art. 3, L. n. 199/2016).L'amministratore giudiziario, scelto tra esperti in gestione aziendale e iscritto in apposito Albo, ha il compito di affiancare l'imprenditore nella gestione dell'azienda ed autorizza lo svolgimento degli atti di amministrazione utili all'impresa, riferendo al giudice con cadenza almeno trimestrale. Peraltro, al fine di impedire che si verifichino situazioni di grave sfruttamento lavorativo, l'amministratore giudiziario ha l'onere di controllare il rispetto delle norme e delle condizioni lavorative la cui violazione costituisce indice di sfruttamento lavorativo, procedendo alla regolarizzazione dei lavoratori che al momento dell'avvio del procedimento penale prestavano la propria attività lavorativa in assenza di un regolare contratto e, al fine di impedire che le violazioni si ripetano, adotta adeguate misure anche in difformità da quelle proposte dall'imprenditore o dal gestore. Sebbene il Legislatore non l'abbia specificato, proprio perché gli indici di sfruttamento non costituiscono elementi costitutivi del delitto di intermediazione illecita e sfruttamento della manodopera, non opererà alcuna connessione ai sensi dell'art. 24, L. n. 689/1981 con il fatto costituente reato e saranno oggetto di autonoma sanzione, nei tempi e nei modi dettati dai singoli e particolari accertamenti, quali fatti tipici integranti specifici illeciti amministrativi e/o contravvenzionali. L'istituto del controllo giudiziale è stato previsto con il chiaro intento di difendere il valore commerciale dell'impresa, a prescindere dalla responsabilità penale dei singoli, che, per definizione è personale, e i posti di lavoro di soggetti che, altrimenti, oltre al danno subirebbero un'ulteriore beffa.
Conclusioni
L'intervento legislativo testimonia la volontà politica di contrastare ogni forma di sfruttamento in ambito lavorativo non soltanto a tutela della libertà e della dignità dei lavoratori, ma anche per garantire il rispetto della leale concorrenza nei settori produttivi. Peraltro, il paventato rischio di esporre l'imprenditore al ricatto di una denuncia penale, anche meramente strumentale, laddove non dovesse risultare perfettamente in regola con la normativa legale e contrattuale in materia lavoristica, appare assolutamente infondato alla luce di quanto sopra evidenziato in ordine alla valenza degli indici di sfruttamento e al fatto che gli stessi possono avere un peso indiziario a fronte di condotte illecite non certo isolate, ma ripetute e definitivamente accertate nel tempo secondo il modello dell'abitualità. Considerato, peraltro, che per abituale non può che intendersi la condotta illecita reiterata (e non sistematica), come espressione di un modus operandi scellerato, giovandosi di una condizione di subalternità che va oltre la oggettiva soggezione insita nel rapporto di lavoro, ma trascende nello sfruttamento a proprio vantaggio di una conclamata situazione di indigenza sotto il profilo umano e materiale. Infine, è da rimarcare che, sebbene la novella, dando rilevanza allo sfruttamento della manodopera anche in assenza di intermediazione illecita, abbia esteso la tutela anche ai lavoratori che non siano immigrati irregolari, sarà da definire il rapporto tra il reato di cui allart. 603-bis c.p. e quello di cui all'art. 22, comma 12-bis, D.Lgs. n. 286/1998 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nell'ipotesi in cui persone offese siano, per l'appunto, extracomunitari clandestini.

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