Prove in appello e poteri ufficiosi: diniego della valenza probatoria della dichiarazione sostitutiva di notorietà

06 Marzo 2015

L'esercizio dei poteri istruttori d'ufficio in grado d'appello presuppone la ricorrenza di alcune circostanze: l'insussistenza di colpevole inerzia della parte interessata, con conseguente preclusione per inottemperanza ad oneri procedurali, l'opportunità di integrare un quadro probatorio tempestivamente delineato dalle parti, l'indispensabilità dell'iniziativa ufficiosa, volta a non superare gli effetti inerenti ad una tardiva richiesta istruttoria o a supplire ad una carenza probatoria totale sui fatti costitutivi della domanda, ma solo a colmare eventuali lacune delle risultanze di causa. Non ricorrono, pertanto, i suddetti presupposti, allorché la parte sia incorsa in decadenze per la costituzione in giudizio in primo grado e non sussista, quindi, alcun elemento, già acquisito al processo, tale da poter offrire lo spunto per integrare il quadro probatorio già tempestivamente delineato.
Massima

L'esercizio dei poteri istruttori d'ufficio in grado d'appello presuppone la ricorrenza di alcune circostanze: l'insussistenza di colpevole inerzia della parte interessata, con conseguente preclusione per inottemperanza ad oneri procedurali, l'opportunità di integrare un quadro probatorio tempestivamente delineato dalle parti, l'indispensabilità dell'iniziativa ufficiosa, volta a non superare gli effetti inerenti ad una tardiva richiesta istruttoria o a supplire ad una carenza probatoria totale sui fatti costitutivi della domanda, ma solo a colmare eventuali lacune delle risultanze di causa. Non ricorrono, pertanto, i suddetti presupposti, allorché la parte sia incorsa in decadenze per la costituzione in giudizio in primo grado e non sussista, quindi, alcun elemento, già acquisito al processo, tale da poter offrire lo spunto per integrare il quadro probatorio già tempestivamente delineato.

Il caso

La Corte di Appello di Bari, riformando la sentenza di primo grado, condannava l'INPS al pagamento, in favore del ricorrente, della pensione di inabilità con decorrenza del 28/02/2005, oltre accessori. La pronuncia motivava la sussistenza del requisito sanitario richiamando gli esiti della consulenza tecnica d'ufficio disposta in secondo grado, e considerava provato il requisito reddituale sulla base delle certificazioni, rilasciate in relazione agli anni dal 2005 al 2010 dall'Agenzia delle Entrate, attestanti la insussistenza di redditi incompatibili con la prestazione. L'INPS proponeva ricorso in Cassazione, sulla base di due motivi: 1) la violazione degli artt. 11 e 12 della L. n. 118 del 1971, dell'art. 2967 cod. civ. e degli artt. 345, 414, 416, 412, e 437 cod. proc. civ., per avere il giudice di appello ammesso in seconde cure la produzione di documenti relativi al requisito cd. reddituale, non prodotti da ricorrente in primo grado, 2) omessa e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, per non avere la Corte motivato in ordine alla ammissione delle prove prodotte tardivamente e per non avere specificato se, nella valutazione del requisito reddituale, era stato preso in considerazione, come prescritto, anche il reddito dell'eventuale coniuge.

Le questioni

Le questioni in esame sono le seguenti:

a) l'esercizio del potere d'ufficio del giudice può riguardare una prova da cui la parte è decaduta?

b) è possibile riconoscere nel giudizio civile valore probatorio, anche solo indiziario, alla dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà?

Le soluzioni giuridiche

L'ordinanza in commento affronta uno dei temi maggiormente dibattuti in giurisprudenza, quello dell'ammissibilità della produzione in giudizio dei documenti oltre il termine di deposito degli atti introduttivi.

La Corte segue l'orientamento dettato dalle Sezioni Unite con la pronuncia n. 8202/2005 che, componendo il contrasto, ha chiarito che la produzione documentale è soggetta alle stesse preclusioni previste per le prove costituende, salvo che essa non sia giustificata dal tempo della loro formazione o dall'evolversi della vicenda processuale successivamente al ricorso ed alla memoria di costituzione. Ciò, ovviamente, vale anche per la successiva fase di giudizio, posto che l'inosservanza degli oneri correlati al rispetto di termini perentori comporta una preclusione definitiva ed irreversibile.

Tale rigoroso sistema di preclusioni trova, tuttavia, un temperamento, ispirato all'esigenza della ricerca della verità materiale, nei poteri istruttori del giudice il quale, anche in appello, può ammettere nuovi mezzi di prova, in applicazione dell'art. 437 comma 2 c.p.c., ove le reputi indispensabili ai fini della decisione della causa e purchè tali poteri siano esercitati esclusivamente in presenza delle allegazioni di parte.

La Corte precisa, quindi, che per l'ammissione d'ufficio da parte del giudice di appello dei mezzi istruttori preclusi alle parti, occorra la sussistenza delle seguenti condizioni:

-il fatto che l'iniziativa del giudice non sia suppletiva dell'iniziativa probatoria della parte, ma si riferisca ai fatti allegati dalle parti ed emersi nel processo a seguito del contraddittorio tra le stesse; l'esigenza di integrare il materiale probatorio già acquisito;

- l'indispensabilità dell'iniziativa istruttoria di ufficio, in funzione dell'esigenza di colmare eventuali lacune delle risultanze di causa.

Ammessa in astratto la possibilità di integrare in appello gli elementi di prova già ritualmente acquisiti nel processo, si pone il problema della valenza della dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, prevista dall'art. 4 della legge n. 15 del 1968, quale “risultanza probatoria” idonea a sollecitare l'attivazione dei poteri ufficiosi, in base ai quali il giudice di secondo grado aveva ammesso la produzione delle certificazioni dell'Agenzia delle Entrate, ritenendo così integrata la prova della sussistenza del requisito reddituale.

La Suprema Corte, in applicazione del costante orientamento di legittimità, ha ritenuto che tale dichiarazione, sebbene idonea a comprovare, fino a contraria risultanza, detta situazione nei rapporti con la pubblica amministrazione e nei procedimenti con la predetta instaurati, non ha nessun valore probatorio, neanche indiziario, nel giudizio civile caratterizzato dall'onere della prova, atteso che la parte non può derivare elementi di prova a proprio favore, al fine del soddisfacimento dell'onere della prova di cui all'art. 2967 cod. civ., da proprie dichiarazioni.

Alla stregua di tali principi, la produzione in appello delle certificazioni attestanti i redditi del ricorrente non poteva considerarsi meramente integrativa di quelli già prodotti in primo grado, costituiti dalla dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà; pertanto, il potere d'ufficio del giudice non poteva essere legittimamente esercitato stante l'irreversibilità della decadenza dal diritto alla produzione documentale in cui era incorsa la parte.

Osservazioni

Per lungo tempo si è coltivato un contrasto in giurisprudenza riguardo la natura e l'ampiezza dei poteri officiosi del giudice; l'esigenza di trovare un compromesso tra il potere istruttorio ex art. 421 c.p.c. ed il principio dispositivo ha dato vita a numerose pronunce della giurisprudenza di legittimità, divisa tra la rigorosa tesi del potere istruttorio discrezionale, l'esercizio del quale non vale a sanare le decadenze e le preclusioni già verificatesi, e la tesi del potere - dovere del giudice, il quale può ammettere mezzi di prova, superando decadenze e preclusioni maturate, ove sussistano ragionevoli probabilità di accertare attraverso essi la verità.

Nell'ambito di quest'ultimo orientamento, maggioritario, si è creato il consistente filone delle cd. piste probatorie, in cui certamente si inserisce l'ordinanza in commento, secondo cui quando le risultanze di causa offrono significativi dati di indagine, non può farsi meccanica applicazione della regola formale di giudizio fondata sull'onere della prova, occorrendo, invece, che il giudice, ove reputi insufficienti le prove già acquisite, eserciti il potere-dovere di provvedere d'ufficio agli atti istruttori sollecitati da tale materiale ed idonei a superare l'incertezza sui fatti costitutivi dei diritti in contestazione, senza che a ciò sia d'ostacolo il verificarsi di preclusioni o decadenza in danno delle parti.

La condizione, quindi, per la ammissibilità d'ufficio di prove indispensabili per la dimostrazione di fatti costitutivi allegati è pur sempre la preesistenza di altri mezzi istruttori, ritualmente dedotti e acquisiti, meritevoli di approfondimento.

Nel caso in esame, la Corte, applicando un costante orientamento di legittimità, nega la possibilità di attivare il potere d'ufficio sulla base della considerazione che la documentazione prodotta in appello non può considerarsi integrativa di quella depositata in primo grado, attesa l'irrilevanza probatoria della dichiarazione sostitutiva di notorietà.

Invero, in materia assistenziale e previdenziale si erano registrati due orientamenti contrastanti sulla valenza probatoria delle dichiarazioni sostitutive; l'orientamento dominante negava qualsiasi efficacia probatoria a dette dichiarazioni nella fase giurisdizionale delle controversie previdenziali, mentre un orientamento minoritario riconosceva loro un valore meramente indiziario, stante la continuità tra la prodromica fase amministrativa ed il successivo giudizio di cognizione, che imponeva di riconoscerne la valenza probatoria anche in sede giudiziaria.

Tale contrasto rese necessario l'intervento delle Sezioni Unite che, con sentenza n. 5167 del 3 aprile 2003, ritenne che anche nelle controversie previdenziali ed assistenziali, si applicasse il principio sancito in generale dalle S.U. con la pronuncia n. 10153/1998, secondo cui le dichiarazioni sostitutive nell'ambito del giudizio civile, caratterizzato dal principio dell'onere della prova, non hanno nessun valore probatorio, neanche indiziario.

Recentemente le S.U. sono intervenute nuovamente sul tema, in materia di prova della qualità di erede, con la sentenza n. 12065 del 29 maggio 2014 che, pur negando ogni efficacia probatoria, anche indiziaria, alle dichiarazioni sostitutive pone un temperamento costituito dall'onere di contestazione gravante sulla parte ai sensi dell'art. 115 c.p.c., precisando che “l'onere di contestazione del contenuto della suddetta dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà posto a carico della parte nei cui confronti tale dichiarazione vien prodotta onde impedire l'operatività del principio di non contestazione nei termini sopra evidenziati, deve essere caratterizzato da un grado di specificità strettamente correlato e proporzionato al grado ed alle modalità di specificazione della qualità di erede contenuti nella dichiarazione sostitutiva medesima”.

Ciò assume maggiore pregnanza nel rito lavoro, stante lo specifico onere di contestazione previsto dall'art. 416 c.p.c., in base al quale la Corte di Cassazione aveva statuito che “laddove manchi una contestazione da parte dell'amministrazione in ordine all'ammontare del reddito, la prova del requisito reddituale non è richiesta, in quanto il requisito non contestato non è compreso nel novero dei fatti costitutivi della pretesa che la parte deve dimostrare, cosicchè il giudice può ritenerlo sussistente a prescindere da una eventuale autocertificazione" (Cass. civ., sez. lav., sent. 14 aprile 2005, n. 7746).

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