L’esclusione del socio da una società cooperativa determina l'automatica estinzione del rapporto di lavoro senza la necessità di un formale licenziamento
08 Maggio 2015
Massime
La delibera di esclusione del socio da una società cooperativa è sufficiente a determinare l'automatica estinzione del rapporto di lavoro, senza che sia necessario uno specifico atto di licenziamento, trovando la posizione del socio lavoratore adeguata tutela nel disposto dell'art. 2533 c.c., che gli riconosce la facoltà di proporre opposizione al tribunale contro la delibera degli amministratori o, se previsto dall'atto costitutivo, dell'assemblea.
La delibera di esclusione del socio lavoratore di cooperativa è sufficiente a determinare l'automatica estinzione del rapporto di lavoro producendo la cessazione di entrambi i rapporti, sociale e lavorativo, senza la necessità di irrogazione di uno specifico atto di licenziamento. Il socio lavoratore escluso dal rapporto sociale e, conseguentemente, da quello mutualistico, può in ogni caso avvalersi della facoltà, prevista dall'art. 2533 comma 3 c.c., di proporre opposizione al tribunale avverso la delibera degli amministratori o, se previsto dall'atto costitutivo, dell'assemblea dei soci. Il caso
La socia/lavoratrice di una Cooperativa Sociale con ricorso al competente Tribunale impugnava la delibera di esclusione da socio e contestuale risoluzione del rapporto di lavoro invocando la reintegra nel posto di lavoro ai sensi dell'art. 18 St. Lav. Il Tribunale, però, respingeva la domanda ritenendo legittima l'esclusione avendo valutato sussistenti le gravi inadempienze delle obbligazioni sottese al rapporto sociale e, per l'effetto, prive di rilievo le circostanze dell'assenza dei requisiti di validità formali e procedurali del licenziamento successivamente intimato, poiché atto connesso alla esclusione da socia. La Corte territoriale successivamente adita, respingeva il gravame e contro la sentenza veniva proposto ricorso per Cassazione, anch'esso rigettato. Le questioni
Il tema centrale della sentenza in esame riguarda la coesistenza del rapporto di lavoro subordinato con quello sociale e l'automatismo della risoluzione del rapporto di lavoro in caso di esclusione da socio della cooperativa per comportamenti lesivi delle finalità legate al vincolo societario; e, in tale evenienza, l'inapplicabilità delle norme sostanziali e strumentali regolanti i licenziamenti. Le soluzioni giuridiche
I Giudici di Piazza Cavour, nel valutare le questioni di diritto sottoposte al loro vaglio, hanno ritenuto di dover preliminarmente porre in evidenza la natura speciale del lavoro cooperativistico, che lo differenzia sia dal lavoro associativo, sia dal lavoro subordinato, nonché la prevalenza del rapporto associativo su quello di lavoro. In tale attività ermeneutica, quindi, hanno attribuito rilievo alla L. n. 142/2001 che, nell'introdurre un complesso di tutele minime e inderogabili per il socio lavoratore afferma la possibilità della contemporanea coesistenza del rapporto lavorativo (in forma subordinata, autonoma od altra) e del rapporto associativo (art. 1, comma 3). Da tale coesistenza deriva la disciplina dell'art. 5, comma 2, che prevede l'automatica estinzione del rapporto di lavoro in caso di recesso o di esclusione del socio “deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie e in conformità con gli articoli 2526 e 2527 del codice civile” senza bisogno di un separato atto di licenziamento e dell'osservanza delle garanzie procedurali di cui all'art. 7 St. Lav. Questo, perché, precisa la Corte, le norme (statutarie e di legge) che governano il rapporto sociale sono idonee a garantire la tutela del socio/lavoratore. Gli illustrati assunti esegetici, affermano i Giudici della nomofilachia, trovano conforto nella ordinanza n. 95 del 2014 della Corte Costituzionale che ha ritenuto coerente con l'art. 3 della Cost. il combinato disposto dell'art. 5, comma 2, ultima parte, L. n. 142 del 2001 e dell'art. 2533, terzo comma, c.c. allorché esclude, in caso di licenziamento del socio lavoratore, l'applicazione degli artt. 409 e ss. c.p.c., affidando la competenza al giudice civile ordinario. Osservazioni
La posizione assunta dai Giudici di legittimità nello scrutinare la vicenda sottoposta alla loro attenzione appare coerente con i dettami delle norme regolatrici.
Il comma 3 dell'art. 1 della L. n. 142 del 2001 è chiaro nell'affermare la coesistenza del rapporto societario e quello lavorativo (subordinato o autonomo in qualsiasi forma) e l'esegesi del secondo comma dell'art. 5 non lascia dubbi interpretativi quando afferma l'automatica estinzione del rapporto di lavoro a seguito di recesso o di esclusione da socio “deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie e in conformità con gli articoli 2526 e 2527 del codice civile”.
Appare evidente, quindi, che il controllo sulla legittimità dell'esclusione deve essere pregiudiziale rispetto a quello sulla validità del licenziamento; e che l'automatica estinzione del rapporto di lavoro, esclude la necessità di un successivo e distinto atto di licenziamento nonché l'applicabilità delle garanzie procedurali di cui all'art. 7, L. n. 300/1970 (Cass. sez. lav., 5 luglio 2011, n. 14741).
In tale ottica, chiosa la Corte nella parte motiva della sentenza in commento, l'estinzione del rapporto di lavoro può anche essere svincolato da condotte censurabili sotto il profilo disciplinare e che la sua tutela risulta comunque assicurata dalle norme (statutarie e codicistiche) poste a garanzia del rapporto sociale alle quali è informato nel momento rescissorio.
È stato assentito, poi, che la mancata impugnazione della delibera nel termine di decadenza di 60 giorni dalla comunicazione ex art. 2533 c.c., comporta che la risoluzione del rapporto associativo diviene definitiva cosicché, ogni successiva azione intrapresa dal socio/lavoratore diretta a contestare la legittimità del licenziamento dinanzi al Giudice del lavoro, è inammissibile. E, se quest'ultimo intende qualificare il recesso come licenziamento, deve impugnarlo nel rispetto delle regole procedimentali e temporali di cui ai commi primo e secondo dell'art. 6 L. n. 604/1966 dopo che il rapporto si è risolto a seguito della delibera di esclusione (Tribunale di Milano, 29 gennaio 2013, n. 172). A tal ultimo riguardo, di interesse è l'ordinanza del Giudice del Lavoro di Roma del 17 marzo 2014, resa in un rito Fornero, che, facendo proprio un indirizzo giurisprudenziale consolidato (cfr. ex plurimis Cass. sez. lav., 6 agosto 2012, n. 14143), ha ritenuto che quando la delibera di esclusione del socio ha fondamento solo sul licenziamento intimato, ove questo sia ritenuto illegittimo, dovrà essere ritenuta illegittima anche la delibera di estromissione da socio con la conseguente inapplicabilità della disciplina di cui all'art. 2 L. n. 142/2001. Ricorrendone i presupposti di legge, pertanto, troveranno applicazione le norme ripristinatorie e risarcitorie ordinarie poste a tutela dei lavoratori illegittimamente licenziati.
Posizione, questa, ribadita dalla Suprema Corte, sez. lavoro, con la sentenza del 23 gennaio 2015, n. 1259 la quale, però, ha aggiunto che tale principio deve essere applicato anche nell'ipotesi inversa e, cioè in quella in cui sia stata l'esclusione dal rapporto sociale a comportare il licenziamento. La suprema Corte, con un ragionamento che fa leva sulla sostanza, spiegano che quando l'estromissione dalla società, con conseguente risoluzione del rapporto di lavoro, avviene per ragioni disciplinari poi rivelatisi inidonee, l'illegittimità della estromissione da socio comporta anche l'illegittimità del licenziamento. Ciò ha per conseguenza che la fattispecie de qua non rientra fra i casi in cui l'art. 2 della L. n. 142/2001 esclude l'applicabilità dell'art. 18 St. lav., poiché tale esclusione deve essere confinata in quelle “ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro derivante dalle cause di estromissione dalla società previste dallo statuto per ragioni attinenti al rapporto societario (diverse da quelle che possono determinare il licenziamento disciplinare)”.
In ordine alla risoluzione del rapporto sociale va sottolineata, poi, la necessità che questa sia fondata su fatti connotati da particolare gravità che devono essere valutati secondo i criteri previsti dalla L. n. 604/1966 in tema di giustificato motivo soggettivo per cui, ulteriore presupposto di liceità è la brevità dello iato temporale tra gli accadimenti addebitati e l'esclusione. Un provvedimento assunto dopo un cospicuo lasso di tempo, infatti, non sarebbe coerente con i dettami delle regole di buona fede e correttezza (Cass. n. 14741/2011 cit.).
Nel caso in rassegna, il comportamento di particolare gravità posto a base del provvedimento espulsivo, alla luce delle emergenze probatorie, è stato rinvenuto dalla Corte territoriale, nella violazione dei principi di solidarietà mutualistica concretizzatisi in reiterati comportamenti della socia/lavoratrice che, contraria alle cure psichiatriche, aveva omesso “sistematicamente la somministrazione di medicine ai degenti, manifestando altresì un atteggiamento estremamente aggressivo nei confronti dei colleghi”.
Completezza espositiva impone di affrontare, infine, il tema della competenza. L'ultimo periodo del secondo comma dell'art. 5 della L. n. 142 del 2001 affida le controversie tra socio e cooperativa alla competenza del Tribunale ordinario. In caso di simultaneus processus, però, ossia quando oltre che sulla cessazione del rapporto societario si controverte anche sulla risoluzione del rapporto lavorativo, se la causa originaria rientra tra quelle di cui agli artt. 409 e 442 c.p.c., ai sensi del terzo comma dell'art. 40 c.p.c., la competenza per vis attractiva si sposta in capo al Giudice del lavoro poiché il rito del lavoro prevale su quello ordinario (Cass. civ. sez. VI – lav., ordinanza 21 novembre 2014, n. 24917). La ratio legis della disposizione alberga nell'esigenza di limitare l'abuso del ricorso all'istituto della sospensione necessaria.
Opinione, questa, decisamente prevalente ma non unanime. Di segno contrario, infatti, è Cass. civ. sez. VI, ordinanza 6 dicembre 2010, n. 24692 la quale ritiene che il giudizio relativo alla delibera societaria di esclusione con contestuale licenziamento appartenga alla competenza del giudice ordinario.
Tra i vari decisa, poi, va segnalata la sentenza del Tribunale di Matera del 10 luglio 2014 laddove ritiene che in presenza di sola impugnativa del licenziamento senza la preventiva impugnativa dell'esclusione da socio, nel momento in cui, per effetto del mutamento di rito disposto d'ufficio la causa passi al giudice ordinario, la domanda di accertamento della illegittimità della risoluzione del rapporto deve essere dichiarata inammissibile attesa la pregiudizialità dell'accertamento della esclusione dal rapporto mutualistico rispetto a quello afferente l'invalidità del licenziamento.
In tema di distribuzione dell'onere probatorio, infine, appare utile rilevare come sia stato ritenuto che, in presenza di impugnativa di licenziamento disciplinare, l'onere di provare la sussistenza anche del rapporto associativo incombe sulla società. In difetto, il lavoratore non potrà essere qualificato anche socio con la conseguente inapplicabilità dell'art. 2 della L. n. 142/2001 (Cass. sez. lav., 8 febbraio 2011, n. 3043). |