Distacco transnazionale: inquadramento e requisitiFonte: D.Lgs. 17 luglio 2016 n. 136
07 Luglio 2017
Fonti
Nel presente lavoro esamineremo la disciplina del D.Lgs. 17 luglio 2016, n. 136.
La disciplina è interamente di derivazione europea. L'istituto del distacco transnazionale nasce con la Direttiva 16 dicembre 1996, n. 1996/71/CE (c.d. «Direttiva Madre») alla quale si è più recentemente affiancata la Direttiva n. 2014/67/UE (c.d. «Direttiva Enforcement») del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, concernente l'applicazione della Direttiva (CE) 16 dicembre 1996, n. 1996/71 sul distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi.
Quest'ultima, come recita la sua denominazione ufficiale, non ha sostituito la «Direttiva Madre» ma l'ha integrata predisponendo un apparato che si prefigge di assicurarne l'effettività.
La «Direttiva Madre» era stata recepita a suo tempo dal D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 72. Il D.Lgs. n. 136/2016, emanato per recepire la «Direttiva Enforcement», ha colto l'occasione per intervenire nuovamente sulla materia, unificando la disciplina derivante dalle due Direttive ed abrogando il D.Lgs. n. 72/2000.
Il D.Lgs. n. 136/2016 è stato emanato in attuazione della «Legge di delegazione europea 2014» (L. 9 luglio 2015, n. 114) ed è entrato in vigore il 22 luglio 2016.
Per i profili previdenziali vige il Regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale. Nozione e inquadramento
Come noto, secondo la terminologia corrente, il «distacco» è l'istituto giuridico mediante il quale un datore di lavoro mette a disposizione di un diverso soggetto la prestazione di un proprio dipendente. Non è il solo istituto, anche nel diritto nazionale, che consente ad un utilizzatore diverso dal titolare del rapporto di lavoro di beneficiare della prestazione lavorativa. Con limiti e contenuti diversi, anche l'appalto e la somministrazione di lavoro realizzano tale dissociazione tra il datore di lavoro e il beneficiario della prestazione. Le conseguenze di tale dissociazione, tradizionalmente ritenute pregiudizievoli per i lavoratori, hanno animato la produzione normativa nazionale sulla materia (v. le Schede d'autore di V. F. Giglio, Distacco e Appalto).
Può accadere, inoltre, che il lavoratore sia inviato presso un utilizzatore ubicato al di fuori dei confini nazionali. In tale ipotesi sorgono numerosi ed importanti problemi connessi non soltanto alle norme in materia di immigrazione ma anche in materia previdenziale e, non ultimo, all'impatto sul mercato del lavoro ospitante di un rapporto stipulato in base alle condizioni economiche e normative del Paese di provenienza, che possono divergere in maniera significativa da quelle vigenti nello Stato di destinazione (v. le Schede d'autore di S. Lapponi, Lavoratori inviati all'estero, e di A. Costa, Stranieri).
In assenza di idonea regolamentazione, dunque, l'eventuale uso massivo dell'istituto può turbare l'equilibrio dei mercati interni creando i temuti fenomeni di dumping, ossia gli effetti distorsivi della libera concorrenza e del libero mercato del lavoro che possono derivare dallo svolgimento di prestazioni regolate (e retribuite) in modi (e misure) sensibilmente diversi tra aree del mondo o della stessa Europa.
È ciò che accadeva prima dell'emanazione della Direttiva n. 1996/71/CE. Infatti, l'impianto normativo comunitario caratterizzato dai principi di libertà di circolazione delle persone, di stabilimento e di prestazione dei servizi, non garantiva la parificazione delle condizioni di lavoro anche a quei soggetti presenti in un mercato estero solo provvisoriamente
Le istituzioni comunitarie sono pertanto intervenute a regolamentare il fenomeno. La Direttiva n. 1996/71/CE ha fissato per la prima volta precise regole alla ricerca di un equilibrio tra libertà di circolazione e prestazione dei servizi, da un lato, e protezione dei lavoratori e del mercato dall'altro, assicurando ai lavoratori distaccati il riconoscimento di un nocciolo duro di norme protettive previste dal Paese ospitante.
Tale intervento, tuttavia, non ha sortito gli effetti auspicati, atteso il suo recepimento non uniforme da parte degli ordinamenti dei singoli Stati membri, al punto che l'utilizzo abusivo ed elusivo dell'istituto è stato tutt'altro che arginato (INL, Circolare 9 gennaio, n. 1).
Più di recente si è, pertanto, reso necessario intervenire nuovamente sulla regolamentazione del distacco transnazionale attraverso l'emanazione della Direttiva n. 2014/67/UE. Questa non rappresenta una revisione della disciplina precedente ma si prefigge lo scopo di rendere più efficace l'applicazione della disciplina (art. 1, co. 1, Direttiva n. 2014/67/UE). Raffronto con la fattispecie del distacco nazionale
Risulta evidente, a questo punto, la differenza che intercorre tra i motivi ispiratori del «distacco» che si verifica all'interno dei confini nazionali e quelli del «distacco» regolato dalle norme europee.
Per comodità di esposizione, ci riferiremo al primo come al «distacco nazionale» e al secondo come al «distacco transnazionale».
L'istituto del distacco nazionale è regolato dall'art. 30, D.Lgs. n. 276/2003 quale una delle possibili manifestazioni del fenomeno interpositorio. In sintesi, nel distacco nazionale il datore di lavoro (distaccante) si spoglia (di una parte) dei poteri datoriali in favore del soggetto (distaccatario) che utilizzerà la prestazione del lavoratore (distaccato). Architrave del distacco nazionale sono l'interesse del distaccante all'operazione, interesse che deve avere natura industriale e non limitata al corrispettivo ricevuto dal distaccatario, e la temporaneità dell'operazione. Con il distacco, dunque, l'ordinamento consente in via eccezionale quella dissociazione tra il titolare del rapporto e il beneficiario della prestazione che, in linea generale, avversa.
La disciplina del distacco transnazionale, invece, comprende nel proprio ambito regolamentare non soltanto il distacco propriamente inteso ma anche la somministrazione di lavoro, l'appalto e il cabotaggio su strada (rectius, il trasporto) (art. 1, D.Lgs. n. 136/2016). Viene dunque abbracciato un panorama ben più ampio dell'omonimo nazionale, al punto che sarebbe forse stato opportuno adottare una denominazione capace di esprimere tale distanza, anziché una idonea a suggerire un'assimilazione del tutto indebita. Identificazione della fattispecie
L'identificazione della fattispecie del distacco transnazionale è consegnata a numerose disposizioni contenute nella D.Lgs. n. 136/2016, con scarsa attenzione ad un ordine sistematico. Nei paragrafi che seguono ricostruiremo i principali requisiti, soggettivi e oggettivi, tratteggiati dalla legge.
Il distacco transnazionale è dunque operato da un distaccante (il titolare del rapporto di lavoro) che invia un proprio prestatore di lavoro (il lavoratore distaccato) presso un destinatario ubicato in Italia (distaccatario). Di seguito esamineremo queste figure.
Distaccante Possono operare un distacco in qualità di distaccanti:
Il primo rilievo che occorre annotare è che per aversi distacco transnazionale il soggetto distaccante deve rivestire la qualità di imprenditore, essere, cioè il conduttore professionale di un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi (art. 2082 c.c.). Del resto, come si è visto, ciò è coerente con le ragioni ispiratrici della regolamentazione europea volta a disciplinare ordinatamente i mercati. La trasposizione italiana è, sotto questo profilo, fedele alla «Direttiva Madre» che pure identifica il distaccante in un soggetto con qualità imprenditoriale (art. 1, co. 1, Direttiva n. 1996/71/CE).
La normativa in esame appare applicabile anche al piccolo imprenditore che, pur operando con il lavoro prevalentemente proprio e della propria famiglia, partecipa della qualità di imprenditore, prevista dalla legge (e dalla stessa «Direttiva Madre») senza distinzioni (art. 2083 c.c.; art. 1, Direttiva n. 1996/71/CE). Entro questi limiti, dunque, la disciplina può risultare applicabile anche laddove il distaccante sia un prestatore d'opera che rivesta detti requisiti (artt. 2222, 2229 e segg. c.c.).
Al contrario, le disposizioni della D.Lgs. n. 136/2016 non sembrano applicabili nel caso in cui il distaccante sia un datore di lavoro non imprenditore (ad esempio, un privato straniero che invia dei propri dipendenti per opere di manutenzione di una propria residenza sul territorio italiano).
Qualora l'impresa distaccante abbia sede in uno Stato terzo, anziché nell'Unione, la disciplina in esame le sarà applicabile solo parzialmente, nei limiti che vedremo meglio più avanti.
Resta da chiedersi se l'«impresa» distaccante debba essere un soggetto munito di personalità giuridica, secondo la legge del proprio territorio, o se il distacco possa essere disposto anche da una branch (ossia, da un'articolazione produttiva del distaccante costituita in territorio straniero, art. 162 TUIR). A parere di chi scrive, la risposta dev'essere positiva. Sia la legge di recepimento, sia la «Direttiva Madre», infatti, qualificano il distaccante come «impresa» senza esigere ulteriori qualificazioni formali (art. 1, D.Lgs. n. 136/2016; art. 1, Direttiva n. 1996/71/CE). Tale conclusione, del resto, appare coerente anche con la più volte richiamata ratio della disciplina volta ad impedire operazioni distorsive del mercato. Un tale effetto potrebbe verificarsi, dunque, anche nel caso in cui il distacco sia effettuato, ad esempio, dalla branch all'estero di una società italiana verso la casa madre, qualora abbia ad oggetto prestazioni di lavoro regolate dalla legge straniera.
Per quanto concerne, infine, le agenzie di somministrazione, occorre rilevare che la disciplina appare riferibile alle sole agenzie di somministrazione con sede in uno Stato dell'Unione. Tale è infatti il requisito espressamente attribuito dalla legge all'agenzia distaccante (art. 1, co. 2, D.Lgs. n. 136/2016; laddove la norma che richiama le imprese extracomunitarie sembra escludere implicitamente le agenzie di somministrazione, art. 1, co. 5, D.Lgs. n. 136/2016, il quale richiama il co. 1 – imprese in genere – ma non il co. 2 – riservato alle agenzie). Le agenzie autorizzate dal Paese membro di appartenenza, sono accreditate anche per operare in Italia ma devono fornire prova di possedere un'autorizzazione amministrativa equivalente (art. 1, co. 3, D.Lgs. n. 136/2016; Ministero del Lavoro, Circolare 9 aprile 2015, n. 14; Ministero del Lavoro, Circolare 22 febbraio 2005, n. 7; INL, Circolare n. 1/2017).
Del resto il regime delle autorizzazioni pubbliche richieste per lo svolgimento delle attività di somministrazione di lavoro opera in automatico esclusivamente per le agenzie accreditate nell'Unione, le quali, se extracomunitarie, devono comunque avere una sede sul territorio comunitario (artt. 4 e 5, D.Lgs. n. 276/2003).
Distaccatario Esaminiamo ora la figura del distaccatario. La legge italiana ha recepito questo aspetto della disciplina in modo disordinato e impreciso, talora ridondante. Secondo la «Direttiva Madre», il distacco transnazionale può essere destinato a:
In altri termini, secondo la direttiva, il destinatario può essere:
La nostra legge nazionale ha rimescolato i requisiti ora descritti riproponendoli come segue: il distacco si verifica, nell'ambito di una prestazione di servizi da eseguirsi in Italia, in favore di:
Nel complesso, eccettuata l'ipotesi di distacco in somministrazione, la trasposizione italiana appare non puntuale rispetto alle indicazioni comunitarie. Queste ultime, come si è visto, richiedono la presenza di un contratto avente ad oggetto una prestazione di servizi per poter destinare il distacco ad un utilizzatore generico, non qualificato; mentre, nel caso di distacco infragruppo, tale requisito non viene richiesto. La formulazione italiana, dunque, sembra imporre il requisito del contratto di servizio anche nel caso del distacco infragruppo, restringendo pertanto la fattispecie nazionale, rispetto a quella comunitaria. Ne consegue che l'eventuale distacco infragruppo operato verso un'impresa italiana, in assenza di un contratto di servizio (ad esempio, per finalità di formazione di un funzionario), esulerebbe dall'ambito di applicazione della legge italiana, consentendo – astrattamente – la non applicazione dei vincoli che la stessa istituisce. La maglia della disciplina nazionale risulta pertanto, sul punto, più larga di quella prevista dall'Europa.
La trasposizione operata dall'abrogato art. 1, co. 1, L. n. 72/2000 era più aderente alla matrice comunitaria. L'Ispettorato appare comunque ancora legato a tale ricostruzione (INL, Circolare n. 1/2017).
Venendo al dettaglio della disciplina nazionale, osserviamo quanto segue.
Il soggetto che riceve la prestazione può essere, pertanto, un imprenditore. Pleonasticamente, la norma ha ritenuto di dover specificare la propria applicabilità sia alle «imprese terze», sia alle imprese dello stesso gruppo. Come si è visto a proposito del distaccante, anche il piccolo imprenditore deve ritenersi compreso nella fattispecie.
La norma accomuna del resto, senza distinzioni, anche le «unità produttive» e gli «altri destinatari» (art. 1, co. 1, D.Lgs. n. 136/2016). Occorre dedurne che possano ricevere prestazioni in regime di distacco transnazionale anche soggetti non imprenditori. Ciò sembra coerente alle ragioni ispiratrici della disciplina ben potendosi verificare distorsioni di mercato anche nell'offerta di prestazioni in favore dei consumatori o di altre categorie di beneficiari non imprenditoriali.
Il distaccatario può consistere anche in « un'altra unità produttiva ». Poiché il requisito esterno dell'operazione oltre confine permane, deve ritenersi dunque che la disciplina del distacco transnazionale si applica anche nel caso in cui la missione del lavoratore avviene presso un'articolazione produttiva (dello stesso distaccante o di terzi) non munita di propria personalità giuridica (purché nell'ambito di un contratto di prestazione di servizi).
Diversa è la disciplina posta per i soggetti utilizzatori di lavoro somministrato, i quali devono rivestire la qualità di imprenditori, come previsto dalla stessa direttiva (art. 1, co. 2, D.Lgs. n. 136/2016; art. 1, co. 3, lett. ‘c', Direttiva n. 1996/71/CE).
Distaccati Sono soggetti alla disciplina del distacco transnazionale i lavoratori subordinati. La legge infatti sembra escludere prestatori estranei a tale categoria laddove si consideri (non tanto la definizione offerta dall'art. 2, co. 1, lett. ‘d', D.Lgs. n. 136/2016, bensì) le «condizioni di lavoro e di occupazione» che costituiscono l'oggetto delle tutele imposto dalla legge in esame e che contemplano istituti propri, in Italia, del solo lavoro subordinato (limiti temporali della prestazione, ferie, trattamento economico, ecc.). Ne consegue che il distacco di un prestatore di lavoro non ascrivibile alla categoria del lavoratore subordinato resta sottratto alla disciplina dettata dalla D.Lgs. n. 136/2016. La «Direttiva Madre» rimanda espressamente la nozione di «lavoratore» a quella definita in base al diritto dello Stato ospitante, per cui, nel nostro caso, all'art. 2094 Cod. civ. (art. 2, co. 2, Direttiva n. 1996/71/CE).
Resta, escluso dall'applicazione della disciplina in analisi, il personale navigante delle imprese della marina mercantile (art. 1, co. 6, D.Lgs. n. 136/2016).
Merita un cenno l'aspetto della territorialità presente in ciascun elemento soggettivo della fattispecie.
Il distacco transnazionale riguarda, come si è detto:
Sotto il primo profilo, l'«impresa» distaccante deve essere stabilita all'estero (art. 1, D.Lgs. n. 136/2016; art. 1, Direttiva n. 1996/71/CE). Non è richiesta una speciale qualificazione dello «stabilimento», pertanto occorre comprendere nella nozione qualunque impresa munita di un'organizzazione sul territorio straniero.
Come accennato, la «Direttiva Enforcement» ha introdotto degli indici di genuinità del distacco che possono concorrere a chiarire la fattispecie. Molti di loro sono dedicati proprio all'elemento della territorialità:
I lavoratori distaccati si connotano, invece, oltre che per la natura subordinata del rapporto che li lega all'azienda distaccante, per il fatto che:
Ciascun Paese dell'Unione, dunque, è chiamato a regolare il fenomeno allorché la prestazione sia eseguita sul proprio territorio lasciando agli altri membri la regolazione del fenomeno di verso opposto (dall'Italia verso altri Paesi membri, nel nostro caso). Pertanto, il distacco operato da un'impresa italiana presso un utilizzatore situato in altro Stato dell'Unione sarà regolato dalla legge di quello Stato.
Come nel distacco nazionale è previsto che il distacco transnazionale abbia una durata delimitata, predeterminata o predeterminabile con riferimento ad un evento futuro e certo (art. 2, co. 1, lett. ‘d', D.Lgs. n. 136/2016; art. 2, co. 1, Direttiva n. 1996/71/CE).
È inoltre richiesto che durante l'intero periodo del distacco rimanga in vigore il rapporto tra il distaccante e il lavoratore distaccato (art. 1, co. 1, D.Lgs. n. 136/2016). Durante il distacco, tutti gli obblighi datoriali permangono in capo al datore distaccante: gestione del rapporto, adempimenti retributivi e previdenziali, potere disciplinare e di comunicare il licenziamento (INL, Circolare n. 1/2017).
Rispetto alla fattispecie del distacco nazionale, invece, è assente nella legge di recepimento una previsione espressa concernente l'interesse del distaccante. Per l'esattezza la Direttiva n. 1996/71/CE richiedeva altresì che l'impresa distaccante operasse il distacco «per proprio conto e sotto la propria direzione», almeno nelle operazioni extra-gruppo (art. 1, co. 3, lett. ‘a', Direttiva n. 1996/71/CE). Nel testo della direttiva, quindi, un riferimento all'interesse del distaccante («per proprio conto») è comunque previsto e di ciò si dovrà tener conto in sede ermeneutica.
Molti di questi elementi sono a base degli ulteriori indici di genuinità identificati dalla «Direttiva Enforcement»:
Il distacco transnazionale può essere disposto:
Anche questa ulteriore specificazione sembra concorrere alla delimitazione dell'ambito di applicazione della disciplina dettata dal D.Lgs. n. 136/2016.
Le ultime due ipotesi si incentrano sullo strumento contrattuale utilizzato a monte dalle parti attive del distacco (distaccante e distaccatario).
La prima delle nozioni sopra richiamate, invece, evoca degli ambiti economici più che giuridici, lasciando pertanto aperta la fattispecie all'impiego di strumenti giuridici diversi. Una prestazione di servizi, infatti, può essere realizzata con diversi strumenti e per innumerevoli risultati.
Una prestazione di servizi, in primo luogo, può essere realizzata mediante un contratto di appalto (art. 1655 e segg. c.c.). Meno univoca appare l'applicabilità della disciplina nel caso di un distacco, nel senso indicato dalla nostra norma nazionale (art. 30, D.Lgs. n. 276/2003). È infatti possibile che l'interesse del distaccante che sorregge, nel nostro Paese, l'istituto non sia funzionale ad una prestazione di servizi, mentre potrebbe, ad esempio, essere giustificato dall'interesse del distaccante a che il lavoratore apprenda presso la casa madre metodi produttivi, organizzativi, ecc., per poi tornare a farne più efficace applicazione in patria. Se ciò è vero, ipotizzando che un siffatto schema giuridico-economico sia utilizzato da un'impresa straniera che distacchi un proprio lavoratore in Italia, questi sarebbe sottratto al rispetto delle disposizioni fissate dal D.Lgs. n. 136/2016. Al contrario, anche un tale distacco rientrerebbe nell'ambito di applicazione della disciplina di derivazione comunitaria laddove fosse riconducibile ad una prestazione di servizi (per quanto, in questo caso, è più probabile che si ricada nello schema dell'appalto).
Una espressa eccezione è rappresentata dalle attività di messa in opera di fornitura: restano, infatti, sottratti ad una parte della disciplina i lavori di assemblaggio iniziale o di prima installazione di un bene previsti in un contratto di fornitura di beni, qualora tuttavia ricorrano alcune condizioni:
In questi casi, non trovano applicazione le disposizioni normative e di derivazione collettiva in tema di:
L'eccezione ora descritta non è applicabile alle attività del settore edilizio individuate nell'allegato A) del decreto medesimo, il quale per la verità, abbraccia una parte assai ampia delle attività edilizie (art. 4, co. 2, D.Lgs. n. 136/2016; art. 3, co. 2, Direttiva n. 1996/71/CE).
Va rilevato che il riferimento alla «fornitura» sembra doversi intendere in modo atecnico laddove possono presumibilmente rientrare nell'eccezione anche attività connesse all'esecuzione di un contratto di appalto o di vendita o di locazione, ad esempio.
Il distacco transnazionale mediante somministrazione di lavoro potrà avere gli oggetti consentiti dalle legislazioni applicabili.
La disciplina del distacco transnazionale è espressamente applicabile, nell'ambito del trasporto su strada, al c.d. «cabotaggio» (art. 1, co. 4, D.Lgs. n. 136/2016).
Per cabotaggio si intende il trasporto su strada di merci o di persone effettuato per conto terzi e a titolo temporaneo in uno Stato membro, da parte di un vettore stabilito in uno Stato membro diverso, consistente in una tratta internazionale seguita dall'uscita del mezzo dal Paese (artt. 2 e 8 Regolamento n. 1072/2009/CE; artt. 2 e 14, Regolamento n. 1073/2009/CE; INL, Circolare n. 1/2017).
Con riferimento al cabotaggio di merci, in base alle regole comunitarie un vettore stabilito in un Paese dell'Unione può svolgere tale attività per conto terzi all'interno del territorio di un diverso Stato membro, permanendovi per un massimo di 7 giorni e svolgendo non più di 3 operazioni in tale arco temporale (art. 8, Regolamento n. 1072/2009/CE; Ministero dell'Interno e Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Circolare 15 gennaio 2015; INL, Circolare n. 1/2017).
Nel caso di cabotaggio di persone, il D.Lgs. n. 136/2016 si applica anche alle ipotesi di:
Restano, invece, esclusi dalla portata del decreto:
Come accennato, la «Direttiva Enforcement» e, di conseguenza, il D.Lgs. n. 136/2016, hanno introdotto nella disciplina positiva dell'istituto degli indici di valutazione della genuinità del distacco, al fine di agevolare il compito degli organi preposti nell'accertamento e nella repressione degli abusi. Nel dettaglio abbiamo già esaminato tali indici.
L'oggetto fondamentale dell'indagine degli organi di controllo è volto a verificare che l'attività della distaccante non si limiti alla mera gestione o amministrazione del personale e che il distaccato non sia già residente nel territorio italiano. Nel compiere tale indagine, gli organi ispettivi possono far leva sugli indici di genuinità forniti dalla legge i quali vanno esaminati nel loro complesso (art. 3, co. 1, D.Lgs. n. 136/2016). Essi inoltre non hanno carattere tassativo, potendo essere valorizzato ogni ulteriore aspetto ritenuto utile ad accertare l'autenticità del distacco (art. 3, co. 2, lett. ‘g' e art. 3 co. 3, lett. ‘i', D.Lgs. n. 136/2016).
In particolare, il possesso o meno del Mod. A1 (attestante l'iscrizione dell'impresa straniera presso il sistema di sicurezza sociale del Paese d'origine) può anch'esso rappresentare un indice (positivo o negativo) della genuinità del distacco, senza essere di per se determinante in un senso o nell'altro (INL, Circolare n. 1/2017).
La verifica in ordine all'autenticità del distacco avverrà con riferimento ad ogni singolo lavoratore coinvolto (INL, Circolare n. 1/2017).
In linea generale, inoltre, l'assenza di uno o più indici non può di per sé certificare la non genuinità del distacco (art. 4, co. 4, Direttiva n. 2014/67/UE). Ciò significa, in altri termini, che gli indici normativi non possono essere considerati quali elementi costitutivi della fattispecie ma solo elementi utili a rivelare la sussistenza o meno dei requisiti essenziali.
L'Ispettorato ha poi fornito una casistica, seppure anch'essa a mero titolo esemplificativo, delle principali ipotesi di distacco non autentico:
Ulteriori indicazioni ispettive erano state fornite con il Vademecum ad uso degli ispettori e delle imprese del novembre 2010. Oggetto della tutela: le condizioni di lavoro e di occupazione dei lavoratori distaccati
Come accennato, alla radice delle pratiche di dumping vi è la disparità fra i differenti livelli di protezione dei lavoratori assicurati dagli ordinamenti degli Stati membri. Durante l'intero periodo del distacco, dunque, è previsto l'obbligo di applicare ai lavoratori distaccati alcune delle «condizioni di lavoro e di occupazione» stabilite, a favore dei lavoratori subordinati che svolgono analoghe prestazioni di lavoro, da disposizioni normative e dai contratti collettivi (artt. 2, co. 1, lett. ‘e' e 4, D.Lgs. n. 136/2016; art. 3, co. 1 e 8, Direttiva n. 1996/71/CE).
Nel nostro odierno ordinamento il riferimento va alle norme in materia di orario di lavoro, ferie e riposi (D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66), alla retribuzione minima costituzionale (art. 36 Cost.), alla disciplina della salute e sicurezza sul lavoro (D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81), alle norme sulla tutela della maternità e della paternità (D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151), alle norme sul lavoro dei bambini e degli adolescenti (L. 17 ottobre 1967, n. 977), alle norme volte al contrasto della discriminazione (D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198, cd. «Legge sulle Pari opportunità»; art. 15, Statuto dei Lavoratori; art. 3, L. 11 maggio 1990, n. 108; D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 215 e D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 216; e, naturalmente, l'art. 18, co. 1, Statuto dei Lavoratori e l'art. 2, D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23).
I contratti collettivi di riferimento sono quelli sottoscritti, a livello nazionale, territoriale o aziendale, da organizzazioni sindacali qualificate (art. 2, co. 1, lett. ‘e', D.Lgs. n. 136/2016; art. 51, D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81; sono peraltro stati sollevati dubbi, in dottrina, in merito alla conformità al diritto comunitario del riferimento tout court ai nostri contratti collettivi, sprovvisti, salvo il meccanismo dell'art. 36 Cost. per i minimi retributivi, dell'efficacia generalizzata richiesta dalla Direttiva n. 1996/71/CE.
Si noti che il rinvio operato dalla D.Lgs. n. 136/2016 non è alla totalità delle discipline richiamate ma soltanto ad alcuni loro aspetti, ossia:
Per quanto concerne in particolare la retribuzione è stato affermato la stessa deve essere determinata secondo la nozione di reddito da lavoro dipendente valido ai fini fiscali (Ministero del Lavoro, Interpello 12 ottobre 2010, n. 33). Più precisamente il salario minimo dei lavoratori distaccati deve essere commisurato prendendo a riferimento la retribuzione dei colleghi composta da:
Occorre ancora notare, infine, che al di fuori dei confini segnati dalla legge e finora descritti, si deve ritenere che le condizioni di lavoro possano tornare a differenziarsi. Pertanto i rapporti di lavoro dei lavoratori distaccati potranno continuare ad essere regolati dall'ordinamento di provenienza per tutti gli aspetti che esulano da quelli specificamente indicati. Tale conclusione, tuttavia, va coordinata con il generale principio di preminenza delle leggi di applicazione necessaria (art. 8, Regolamento (CE) 17 giugno 2008, n. 593/2008; artt. 16 e 17, L. 31 maggio 1995, n. 218), tenendo tuttavia presente che l'ordinamento comunitario non consente restrizioni alla libertà di circolazione e di concorrenza che non siano specificamente previste (Corte di Giustizia, 19 giugno 2008, n. 319-06).
La legge prevede l'obbligo per il Ministero del Lavoro di pubblicare gratuitamente tutte le informazioni relative alle condizioni di lavoro e di occupazione che devono essere rispettate nelle ipotesi di distacco sul sito istituzionale del Ministero, sia in lingua italiana sia in inglese (art. 7, D.Lgs. n. 136/2016). Il Ministero ha realizzato un sito dedicato, reperibile all'indirizzo: http://www.distaccoue.lavoro.gov.it.
L'equiparazione richiesta dalla legge, tra i trattamenti dei lavoratori distaccati e i colleghi residenti nel territorio di destinazione, appare viceversa più ampia nel caso di somministrazione transnazionale di manodopera.
In tal ambito, infatti, la legge richiama il principio espresso dalla norma nazionale sulla parità di trattamento dei lavoratori somministrati i quali hanno diritto, a parità di mansioni svolte, a condizioni economiche e normative complessivamente non inferiori a quelle dei dipendenti di pari livello dell'utilizzatore (art. 4, co. 3, D.Lgs. n. 136/2016; art. 35, co. 1, D.Lgs. n. 81/2015).
La tutela fin qui esaminata è offerta, nella sua interezza, per i lavoratori distaccati in ambito europeo. La legge estende tuttavia (parte di) tali tutele anche al caso in cui il distacco sia operato da un'impresa stabilita al di fuori dell'Unione (art. 1, co. 5, D.Lgs. n. 136/2016).
In questo caso, sono applicabili le norme che stabiliscono:
Risultano pertanto non applicabili ai distaccanti extracomunitari le sanzioni per il mancato adempimento degli obblighi amministrativi, che, pertanto, restano privi di deterrente (art. 1, co. 5 e art. 12, D.Lgs. n. 136/2016) e le norme che ne disciplinano l'esecuzione nei confronti del trasgressore.
A completamento della trattazione, v. "Distacco transnazionale: previdenza e tutela dei lavoratori".
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