Ammissibilità del quesito referendario sulla disciplina degli appalti

Alessandra Fabbri
08 Marzo 2017

Va dichiarata ammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione dell'art. 29, comma 2, D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, limitatamente alle parole «Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore che possono individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti» e alle parole «Il committente imprenditore o datore di lavoro è convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all'appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori. Il committente imprenditore o datore di lavoro può eccepire, nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell'appaltatore medesimo e degli eventuali subappaltatori. In tal caso, il giudice accerta la responsabilità solidale di tutti gli obbligati, ma l'azione esecutiva può essere intentata nei confronti del committente imprenditore o datore di lavoro solo dopo l'infruttuosa escussione del patrimonio dell'appaltatore e degli eventuali subappaltatori».
Massima

Va dichiarata ammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione dell'art. 29, comma 2, D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, limitatamente alle parole «Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore che possono individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti» e alle parole «Il committente imprenditore o datore di lavoro è convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all'appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori. Il committente imprenditore o datore di lavoro può eccepire, nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell'appaltatore medesimo e degli eventuali subappaltatori. In tal caso, il giudice accerta la responsabilità solidale di tutti gli obbligati, ma l'azione esecutiva può essere intentata nei confronti del committente imprenditore o datore di lavoro solo dopo l'infruttuosa escussione del patrimonio dell'appaltatore e degli eventuali subappaltatori».

Il caso

La pronuncia in commento trae origine dal giudizio di ammissibilità della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione delle disposizioni limitative della responsabilità solidale in materia di appalti.

L'art. 29, D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, nella sua attuale formulazione (frutto di reiterati interventi novellatori), disciplina il regime di tutela dei lavoratori impiegati nell'ambito di appalti di opere o di servizi. In particolare il comma 2, interessato dalla richiesta di abrogazione referendaria, contiene una previsione di rilevante portata pratica, alla luce della quale nell'ambito degli appalti di opere e servizi, committente, appaltatore ed eventuali subappaltatori sono responsabili in solido - entro il limite temporale di due anni dalla cessazione dell'appalto - per i trattamenti retributivi, previdenziali e assicurativi dei lavoratori impiegati nel periodo di esecuzione dell'appalto.

Come noto, a seguito delle modifiche all'art. 29, introdotte dalla Legge n. 92/2012, il principio di solidarietà tra committente, appaltatore e subappaltatori è stato reso più flessibile, ammettendo che, per i crediti retributivi dei lavoratori, i contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative del settore, possano derogare all'art. 29 prevedendo metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti.

In tale profilata prospettiva, sempre nel 2012, il legislatore è intervenuto anche sulla disciplina processuale della solidarietà, prevedendo che:

  1. nel giudizio di cognizione instaurato dal lavoratore nei confronti del committente siano convenuti, quali litisconsorti necessari, l'appaltatore e gli eventuali subappaltatori;
  2. l'esecuzione del credito nei confronti del committente sia ammessa solamente previa escussione del patrimonio delle altre imprese intervenute nella catena degli appalti.

Il quesito referendario si propone di eliminare - attraverso la cosiddetta “tecnica del ritaglio” - i correttivi introdotti nel 2012, lasciando intatta soltanto la disciplina sostanziale sulla responsabilità solidale negli appalti, ristabilendo il testo della norma come disciplinato dalla Legge 27 dicembre 2006, n. 296, successivamente rimodulato dai vari interventi novellatori.

La questione

La questione in esame concerne l'ammissibilità della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione dell'art. 29, co. 2, D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, dichiarata legittima, con ordinanza del 9 dicembre 2016, dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di Cassazione.

In particolare, il giudizio di ammissibilità è diretto ad accertare:

  1. l'insussistenza dei limiti indicati dall'art. 75 Cost. ovvero i limiti, rilevabili in via sistematica, attinenti alle disposizioni oggetto del quesito referendario;
  2. la corretta formulazione del quesito e, in particolare, la sussistenza dei requisiti di omogeneità, chiarezza, semplicità, coerenza, l'idoneità a conseguire il fine perseguito, nonché il rispetto della natura essenzialmente ablativa dell'operazione referendaria.
Le soluzioni giuridiche

Per giurisprudenza ormai consolidata della Corte Costituzionale, il giudizio di ammissibilità del quesito referendario abrogativo deve essere condotto non solo attraverso il parametro costituito dall'art. 75 Cost. (in base al quale non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali), bensì attraverso la verifica, in via preliminare, dell'insussistenza di ragioni costituzionalmente rilevanti, in nome delle quali si renda indispensabile precludere il ricorso al corpo elettorale.

Ai fini dei singoli giudizi di ammissibilità, la Corte, dopo un primo periodo in cui si è attenuta ad una interpretazione letterale del citato art. 75 Cost., già con la sentenza 7 febbraio 1978, n. 16, ha individuato altri limiti impliciti, raggruppabili in quattro distinti complessi di ragioni di inammissibilità.

In primo luogo, secondo la Corte deve essere ritenuto inammissibile il quesito contenente domande eterogenee, carenti di una matrice razionalmente unitaria, tale da non poter essere ricondotto alla logica dell'art. 75 Cost., discostandosi in modo manifesto ed arbitrario dagli scopi in vista dei quali l'istituto del referendum abrogativo è stato introdotto dalla Costituzione, come strumento di genuina manifestazione della sovranità popolare.

In secondo luogo, sono parimenti inammissibili le richieste che non riguardino atti legislativi dello Stato aventi forza di leggi ordinarie, ma tendano ad abrogare – del tutto o in parte – la Costituzione, le leggi di revisione costituzionale, le altre leggi costituzionali considerate dall'art. 138 Cost., gli atti legislativi dotati di una forza passiva peculiare.

A giudizio della Corte vanno del pari preclusi i referendum aventi ad oggetto disposizioni legislative ordinarie a contenuto costituzionalmente vincolato, il cui nucleo normativo non possa venire alterato o privato di efficacia, senza che ne risultino lesi i corrispondenti specifici disposti della Costituzione stessa.

Infine, devono essere sottratte al referendum abrogativo le disposizioni produttive di effetti intrinsecamente collegati all'ambito di operatività delle leggi espressamente indicate dall'art. 75 Cost., di talché la preclusione debba ritenersi sottintesa.

Nell'ambito del quadro così delineato, la Corte ha preso le mosse per l'individuazione delle cause di inammissibilità attinenti l'oggetto dei quesiti referendari, in applicazione non più solo del parametro costituzionale fornito dal testo dell'art. 75 Cost., ma attraverso un'interpretazione sistematica della norma, che allarga in modo sostanziale l'ambito applicativo del giudizio di ammissibilità.

Osservazioni

La sentenza in commento, sulla base dei principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale, ha dichiarato ammissibile la richiesta referendaria, ritenendo che nessuna preclusione provenga dai divieti posti dall'art. 75, co. 2, Cost., né da profili attinenti a disposizioni legislative ordinarie a contenuto costituzionalmente obbligato.

Secondo il giudizio della Consulta, il quesito – nonostante la formulazione con la tecnica del ritaglio - risponde pienamente ai requisiti di chiarezza, univocità e omogeneità: “esso si incentra sull'unico istituto della responsabilità solidale negli appalti, interamente disciplinato all'interno dell'art. 29, co. 2, D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, proponendo l'ablazione di due corpi di disposizioni autonome, in esso presenti, rispetto a quella che persiste di risulta”.

L'ablazione concerne, da un lato, la deroga al regime di responsabilità solidale consentita alla contrattazione collettiva nazionale e, dall'altro lato, l'articolata disciplina processuale dell'azione esperibile dal lavoratore.

Ciò che rimane in vita, invece, secondo il quesito, è la disciplina sostanziale della responsabilità solidale negli appalti, comprensiva degli obblighi tributari e dell'azione di regresso del committente.

Ne discende, pertanto, che l'elettore, è posto chiaramente in grado di scegliere se mantenere ferma l'attuale disciplina dell'art. 29, co. 2, ovvero depurarla “seccamente”, lasciando intatta esclusivamente la disciplina sostanziale sulla responsabilità solidale di committente, appaltatore ed eventuali subappaltatori.

Non coglie nel segno il rilievo sollevato dall'Avvocatura di Stato secondo cui l'eventuale esito positivo della consultazione porrebbe il problema del coordinamento tra l'art. 29, co. 2, D.Lgs. n. 276/2003 e la disposizione dell'art. 1676 c.c.

Anche ove il referendum avesse esito favorevole all'abrogazione, infatti, nel caso in esame non si verificherebbe la cosiddetta riespansione della disciplina generale prevista dal codice civile, dal momento che la normativa di risulta manterrebbe intatta la sua specialità rispetto all'art. 1676 c.c., se non altro in quanto la disciplina codicistica continuerebbe ad applicarsi agli appalti pubblici.

Restano fermi, ovviamente gli altri aspetti di diversificazione: la responsabilità solidale prevista dall'art. 1676 c.c., a differenza dell'art. 29, esclude la legittimazione attiva dei subappaltatori; si applica a tutti i datori di lavoro, comprese le persone fisiche; è prevista fino a concorrenza del debito che il committente ha verso l'appaltatore nel tempo in cui si propone la domanda; non prevede un limite di tempo specifico entro cui attivare la responsabilità solidale.

Esulano dal giudizio di ammissibilità del quesito referendario le considerazioni, formulate dall'Avvocatura di Stato, in ordine ai profili di illegittimità costituzionale della legge oggetto della richiesta referendaria o della normativa di risulta, in quanto la Corte, fuori da un giudizio di costituzionalità, non può esprimere valutazioni su tali aspetti. (Corte Cost., 24 gennaio 2012, n. 13).

A prescindere dalle valutazioni di merito in ordine all'obiettivo della proposta referendaria, sotto il profilo formale, non sussiste alcuna preclusione di ammissibilità del quesito, il quale, “incidendo su profili accessori e non connaturati o essenziali rispetto alla disciplina della solidarietà, palesa una matrice razionalmente unitaria ed evidenzia i caratteri della chiarezza ed omogeneità”.

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