Strumenti di solidarietà intergenerazionale in chiave comparata

Marianna Russo
07 Aprile 2016

La gestione equilibrata del ricambio generazionale è un problema urgente e ineludibile. Le strade finora percorse non assicurano i risultati sperati, come dimostra lo scarso utilizzo dei contratti di solidarietà espansiva e i c.d. patti generazionali. In tale prospettiva può risultare utile l'analisi di alcune esperienze di solidarietà intergenerazionale provenienti da Paesi europei molto vicini al nostro sia geograficamente sia per contesto socio-economico: Germania e Francia.
Introduzione

* Le considerazioni esposte sono frutto esclusivo del pensiero dell'autrice e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l'Amministrazione di appartenenza.

La gestione equilibrata del ricambio generazionale è un problema urgente e ineludibile. Le strade finora percorse non assicurano i risultati sperati, come dimostra lo scarso utilizzo dei contratti di solidarietà espansiva e i c.d. patti generazionali. In tale prospettiva può risultare utile l'analisi di alcune esperienze di solidarietà intergenerazionale provenienti da Paesi europei molto vicini al nostro sia geograficamente sia per contesto socio-economico: Germania e Francia.

Premessa

Il lavoro

è senz'altro un efficace “esorcismo” contro il deperimento fisico e psichico e anche per tale ragione il graduale differimento del termine per l'accesso al trattamento pensionistico è annoverabile tra le c.d. politiche di invecchiamento attivo, promosse e sostenute dall'Unione Europea.

Con l'allungamento dell'età massima lavorativa, però, si corre il rischio di un rafforzamento della posizione di preminenza degli insiders – lavoratori anziani – nei confronti degli outsiders – giovani alla ricerca di un posto di lavoro – in un momento di grave crisi economica, caratterizzata da un elevato tasso di disoccupazione (soprattutto) giovanile.

Trovare un contemperamento tra interessi ed esigenze contrastanti non è facile. E forse anche per questo motivo nel nostro Paese sono state per lo più preferite soluzioni ispirate alla c.d. tecnica “young in – old out”, come ad esempio le misure incentivanti all'esodo dei lavoratori più maturi.

Il problema della gestione del ricambio generazionale interessa l'Italia ormai da alcuni anni, ma le soluzioni finora messe in campo non risultano soddisfacenti, come emerge dai dati relativi allo scarso utilizzo dei contratti di solidarietà espansiva e dei patti generazionali a livello regionale o aziendale.

In questa prospettiva potrebbero risultare utili alcune suggestioni provenienti dall'estero, soprattutto da Paesi europei a noi molto vicini sia geograficamente sia per contesto socio-economico. Ad esempio, Germania e

Francia si sono trovati ad affrontare la stessa delicata situazione di invecchiamento demografico e di disoccupazione giovanile e, al riguardo, hanno messo in campo alcune proposte interessanti, che, mutatis mutandis, possono offrire stimoli efficaci per il nostro ordinamento.

Esperienze di solidarietà intergenerazionale in Germania

In Germania sono state sviluppate, nel corso dell'ultimo decennio, alcune buone pratiche – le c.d. best practices incoraggiate dall'Unione Europea – sia in materia di invecchiamento attivo che di contemperamento con la finalità di promozione occupazionale dei più giovani.

Nel solco del primo obiettivo è possibile rinvenire la particolare attenzione nei confronti dei problemi dei lavoratori anziani: l'ordinamento tedesco assegna al riguardo un ruolo determinante alle parti sociali. Basti pensare che tra i compiti del consiglio di fabbrica (Betriebsrat) c'è anche quello di promuovere l'occupazione dei dipendenti più maturi attraverso la c.d. umanizzazione dei processi lavorativi. Ciò si realizza soprattutto mediante un'attenta pianificazione dei cicli di vita all'interno delle imprese, la previsione di accorgimenti ergonomici nell'ottica della prevenzione e della sicurezza del lavoro.

Un altro interessante strumento è l'arbeitszeitkonten (istituto noto nell'ordinamento italiano come “banca delle ore”), che permette di accantonare le ore di lavoro straordinario per fruirne successivamente sotto forma di permessi a fini di formazione permanente o di riqualificazione professionale oppure di riduzione dell'orario di lavoro o addirittura di cessazione anticipata della prestazione, pur conservando il rapporto e mantenendo lo stesso trattamento economico fino al pensionamento.

Uno strumento considerato “miracoloso” nel management della crisi economica e nel fronteggiare la grave disoccupazione, soprattutto giovanile, è stato la kurzarbeit, cioè il lavoro a orario ridotto, comunemente detto part-time. Tale istituto, introdotto nell'ordinamento tedesco nel 1957, è stato quasi del tutto trascurato fino al 2009, anno in cui, sotto l'incalzante spinta della crisi, le parti sociali hanno cercato di approntare le soluzioni più opportune per mitigare gli effetti di una difficile situazione economica.

La kurzarbeit si presenta come uno strumento complesso, composto da elementi contrattuali, previdenziali e relativi alla codeterminazione aziendale. In pratica, il datore di lavoro stipula un accordo per la riduzione dell'orario di lavoro con il comitato aziendale (o consiglio di fabbrica) o, se in azienda non è presente alcuna rappresentanza sindacale, il Betriebsrat, direttamente con i lavoratori occupati.

Tale accordo stabilisce una riduzione dell'orario di lavoro corrispondente al livello delle commissioni o, comunque, al carico di lavoro previsto in azienda. Visto che alla riduzione dell'orario di lavoro consegue da parte del datore la corresponsione di una retribuzione inferiore – commisurata, cioè, al numero di ore effettivamente svolte – interviene l'assicurazione di disoccupazione con la c.d. indennità di orario ridotto. Tale prestazione ammonta al 60% della differenza tra la retribuzione precedente e la retribuzione ridotta, aumentata al 67% nell'ipotesi in cui il lavoratore abbia familiari a carico. La durata dell'integrazione salariale generalmente è di sei mesi, ma, per contrastare la fase più acuta della crisi, nel 2009 l'erogazione della prestazione è stata estesa fino a 24 mesi.

Tale scelta, ampiamente promossa e favorita, ha avuto un impatto molto positivo sull'andamento dell'economia tedesca.

Il contratto tra generazioni in Francia

L'esperienza francese presenta uno strumento ancora più mirato alla solidarietà intergenerazionale, cioè al bilanciamento tra le esigenze dei lavoratori anziani e dei giovani: il c.d. contrat de génération.

L'istituto è stato oggetto di numerose modifiche nell'ultimo biennio, per rendere la disciplina il più possibile fruibile: si vedano al riguardo la legge 1 marzo 2013, n. 185, il decreto 15 marzo 2013, n. 222, la legge 5 marzo 2014, n. 288, e, infine, il decreto 3 marzo 2015, n. 249.

Il contrat de génération è finalizzato a garantire la competitività del mercato del lavoro francese attraverso un'equilibrata gestione delle risorse umane, che si basa sul binomio “continuità e rinnovamento”: la conservazione delle competenze è assicurata attraverso la trasmissione del know-how aziendale da parte dei lavoratori più anziani ai giovani assunti, che, da parte loro, sono portatori di nuove competenze, creando così un auspicabile dinamismo, indispensabile nell'era della globalizzazione. Tale istituto è il risultato di un accordo nazionale interprofessionale sottoscritto il 19 ottobre 2012 da tutte le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro.

Per raggiungere gli obiettivi prefissati dalla legge - cioè, l'assunzione di giovani a tempo indeterminato, il mantenimento in servizio di

lavoratori anziani e la trasmissione del know-how - il contrat de génération è rivolto a tutte le imprese, modellando, però, la disciplina a seconda dei requisiti dimensionali.

Le imprese con meno di 300 dipendenti possono chiedere allo Stato un incentivo di € 4.000,00 all'anno per tre anni a fronte dell'assunzione di un giovane con età inferiore a 30 anni (tale contributo si raddoppia se viene contestualmente assunto anche un lavoratore anziano, cioè con età superiore ai 57 anni); le imprese che occupano tra i 50 e i 300 dipendenti sono tenute a stipulare almeno un contratto di generazione o a sviluppare un piano di azione in tal senso, a pena di una sanzione amministrativa.

Al 20 settembre 2015 risultano stipulati ben 51.768 contrats de génération, con il coinvolgimento complessivo di 103.536 lavoratori giovani e anziani.

Entrambi i Paesi analizzati, seppur brevemente, mettono in luce un dato interessante: i provvedimenti normativi non bastano se non c'è un effettivo coinvolgimento delle parti sociali nella concretizzazione degli strumenti proposti per fronteggiare la disoccupazione giovanile e promuovere l'active ageing.

Guida all'Approfondimento
  • Corti M., Active ageing e autonomia collettiva. “Non è un Paese per vecchi”, ma dovrà diventarlo presto, in Lav. dir., 2013, III, p. 384;
  • Fuchs M., Il ruolo del diritto del lavoro e della sicurezza sociale nella crisi economica. L'esperienza tedesca, relazione tenuta in occasione delle Giornate di Studio Aidlass “La crisi e i fondamenti del diritto del lavoro”, Bologna, 16-17 maggio 2013, in www.aidlass.it;
  • Pero L., Esperienze pilota di invecchiamento attivo in corso nelle aziende, in T. Treu (a cura di), L'importanza di essere vecchi. Politiche attive per la terza età, Bologna, 2012, p. 159;
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