Il clima di tensione creato nell’azienda giustifica il licenziamento
07 Settembre 2015
Cass. sez. lav., 2 settembre 2015, n. 17435
La Corte d'Appello, confermando la sentenza di primo grado, rigettava l'istanza volta ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento irrogato per giusta causa al dipendente che creava un clima di tensione nell'azienda farmaceutica ove lavorava. Il lavoratore ricorreva in Cassazione lamentando un atteggiamento complessivamente persecutorio nei suoi confronti, che avrebbe provocato i fatti addebitatigli e che, in ogni caso, non legittimerebbe il recesso, in quanto non proporzionale ai fatti contestati.
La Suprema Corte condivide le conclusioni dei giudici territoriali che hanno ritenuto, con giudizio di fatto non censurabile in sede di legittimità, che il lavoratore non avesse “contestato i fatti addebitatigli, anzi ammettendoli quale reazione all'atteggiamento datoriale nei suoi confronti, e concentrando la sua difesa sulla sussistenza di un comportamento persecutorio che è stato ritenuto non provato”. Allo stesso modo costituisce giudizio di fatto e, in quanto tale, riservato al giudice del merito, la valutazione circa la proporzionalità della sanzione, se congruamente e logicamente motivata come nel caso di specie, ove la Corte d'Appello ha altresì “verificato la legittimità del licenziamento sulla base del CCNL di categoria applicabile alla fattispecie e che espressamente prevede il licenziamento senza preavviso per i comportamenti contestati al lavoratore nel caso in esame (comportamento ingiurioso o minaccioso durante il servizio, violazione di ogni norma di legge riguardante il deposito, la vendita o il trasporto di medicinali)”. |