Uso e abuso del contratto a termine nel settore scolasticoFonte: L. 13 luglio 2015 n. 107
09 Marzo 2017
Il contratto a termine nel pubblico impiego
Il fenomeno del precariato nel pubblico impiego, ed in particolare nel settore scolastico, è sempre stato al centro del dibattito giurisprudenziale a causa delle forti ripercussioni sociali in termini di tutela dei lavoratori. Lo stesso, infatti, ha alimentato nel corso degli anni un significativo contenzioso giudiziario nazionale e comunitario che ha costretto il legislatore interno a continui interventi riformativi.
Di ciò è prova l'ultima legge di riforma del sistema scolastico italiano, ovvero la Legge n. 107/2015, meglio nota come “Legge sulla buona Scuola”, emanata in risposta alla nota sentenza della Corte di Giustizia Mascolo, con la quale il giudice comunitario ha dichiarato la normativa nazionale in materia di supplenze contraria ai principi del diritto nazionale laddove prevede la possibilità di reiterare contratti a tempo determinato, in assenza della determinazione di un termine entro il quale procedere all'indizione di procedure concorsuali ed in assenza di specifiche misure sanzionatorie, come meglio si vedrà.
Tuttavia prima di passare all'analisi dei vari profili problematici che solleva la normativa attualmente vigente in materia di contratto a termine nel settore scolastico, appare preliminare l'esame della disciplina legislativa che regola la possibilità per la Pubblica Amministrazione di stipulare contratti a termine.
Ebbene, tale forma contrattuale nel pubblico impiego è attualmente disciplinato dall'art. 36, D.Lgs. n. 165/2001, norma che negli anni è stata soggetta a numerose modifiche legislative, a riprova della ricerca di un delicato equilibro da un lato tra il rispetto dei principi costituzionali e dall'altro di rilevanti interessi economici ed occupazionali.
In realtà, sulla vera ragione che ha portato il legislatore a prevedere l'uso di forme contrattuali flessibili all'interno della PA, la dottrina si è divisa. Una parte ha ritenuto di rinvenire la vera ragione che ha spinto il legislatore a ricorrere a tale forma contrattuale nel “voler far transitare il mercato del lavoro da una politica dei redditi verso una politica della competitività”. Altra parte ha invece sostenuto che il ricorso alle forme di assunzione atipiche rappresentasse una risposta alla crescente necessità di reclutare in maniera più semplice e diretta rispetto alla selezione pubblica nuove professionalità specialistiche, spesso notevolmente diverse rispetto alle figure ed ai profili professionali tradizionali utilizzati nell'amministrazione pubblica, e dall'altro all'esigenza di migliorare i processi organizzativi tendenti alla modernizzazione della PA nonché all'omogeneizzazione normativa tra disciplina del settore pubblico e di quello privato.
Ciò chiarito, nella formulazione attualmente in vigore l'art. 36, D.Lgs. n. 165/2001 prevede che il ricorso al lavoro flessibile nelle PA sia consentito solo “per rispondere ad esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale”, mentre al secondo comma del citato articolo, in un'ottica di prevenzione degli abusi legati all'utilizzo delle forme di lavoro flessibili, è prescritto l'obbligo per le amministrazioni pubbliche di sottoscrivere contratti a tempo determinato con i vincitori e gli idonei delle proprie graduatorie vigenti per concorsi pubblici a tempo indeterminato.
In tal modo si consente l'applicazione dell'articolo 3, comma 61, terzo periodo, Legge 24 dicembre 2003, n. 350, concernente la possibilità di effettuare assunzioni anche utilizzando le graduatorie di pubblici concorsi approvate da altre amministrazioni, previo accordo tra le amministrazioni interessate, ferma restando la salvaguardia della posizione occupata nella graduatoria dai vincitori e dagli idonei per le assunzioni a tempo indeterminato.
Cuore della disposizione normativa e fonte di un dibattito giurisprudenziale particolarmente acceso è tuttavia il quinto comma dell'articolo 36, il quale, in un'ottica esplicitamente sanzionatoria, sancisce il divieto di trasformazione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato in ipotesi di violazioni di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori da parte delle pubbliche amministrazioni e prevede esclusivamente a fare del lavoratore il diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro fornita, appunto, in violazione di legge.
Oltre al riconoscimento della tutela indennitaria, al fine di evitare abusi nell'uso di tale forma contrattuale e di responsabilizzare la dirigenza pubblica, la norma pone a carico delle Pubblica Amministrazione uno specifico obbligo attenente al recupero delle somme pagate a titolo indennitario nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia ad essi imputabile a titolo di dolo o colpa grave. Infine la norma prescrive la responsabilità disciplinare dei dirigenti che operano in violazione delle disposizioni prescritte nell'art. 36.
A seguito della riforma operata sulla norma con la Legge 30 ottobre 2013, n. 125, al comma 5-bis sono stati, infine, inseriti i commi 5-ter e 5-quater, i quali rispettivamente stabiliscono da un lato l'espressa applicazione al datori di lavoro pubblici delle disposizioni contenute nel D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, il principio per cui la facoltà di ricorrere ai contratti di lavoro a tempo determinato è data alla P.A. esclusivamente per rispondere ad esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale ed il divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato e dall'altro quello della responsabilità erariale in caso di stipulazione di contratti a termine nulli.
Tale il quadro normativo ed i limiti imposti alla Pubblica Amministrazione in ipotesi di stipulazione con i lavoratori di contratti a termine o comunque flessibili. Il contratto a termine nel settore scolastico
La disciplina normativa del contratto a termine nel settore scolastico rappresenta da sempre un corpus normativo speciale rispetto non solo alla disciplina del contratto a termine prevista per il settore del lavoro privato, ma anche a quella vigente per il pubblico impiego privatizzato.
L'insieme di leggi e decreti ministeriali che si sono susseguiti nel corso degli anni e che sono andati a regolamentare i vari aspetti dell'uso di tale forma contrattuale all'interno del mondo scuola hanno infatti costituto una disciplina speciale rispetto a quanto stabilito dall'art. 36, D.Lgs. n. 165/2001.
Sulla base di ciò, l'analisi normativa può certamente partire dalla Legge n. 417/1989, la quale, intervenendo su una normativa già preesistente, ha istituito quello che è stato definito il doppio canale di accesso ai ruoli. L'art. 2 prevedeva, infatti, che l'accesso a quest'ultimi del personale docente della scuola materna, elementare e secondaria, dei licei artistici e degli istituti d'arte dovesse aver luogo mediante concorso per titoli ed esami e mediante concorso per soli titoli, riservando a ciascun tipo di concorso il 50% dei posti destinati alle procedure concorsuali.
Successivamente con il D.Lgs. n. 297/1994, ovvero il Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione, agli artt. 399, 400 e 401, il legislatore ha ribadito che l'accesso ai ruoli del personale docente doveva aver luogo per il 50% dei posti sulla base di concorsi per titoli ed esami e per il restante 50% attingendo alle graduatorie istituite dall'art. 401.
La Legge n. 124/1999 è tuttavia decisiva per quanto attiene alla disciplina del reclutamento scolastico così come di quello delle supplenze.
Essa, infatti, ha eliminato il concorso per soli titoli ed ha trasformato le graduatorie per soli titoli in graduatorie permanenti periodicamente integrate con l'inserimento dei docenti vincitori dell'ultimo concorso regionale per titoli ed esami e dei docenti richiedenti il trasferimento dalla corrispondente graduatoria permanente di altra provincia.
Ma la legge in questione è intervenuta a disciplinare anche il sistema delle supplenze descrivendone all'art. 4 tre diverse tipologie.
Infine, l'ultimo intervento in materia di supplenze è avvenuto per mezzo della Legge n. 107/2015 nota come la Legge “sulla buona scuola”.
In particolare, per ciò che interessa, il comma 131, art. 1, ha finalmente introdotto il limite temporale dei trentasei mesi anche per i contratti a termine stipulati nell'ambito del settore scolastico. Tuttavia la norma in questione trova applicazione solo per le supplenze assegnate per la copertura di posti vacanti e disponibili e comunque a decorrere comunque dal 1 settembre 2016.
Inoltre la stessa novella ha previsto l'avvio delle procedure di immissione in ruolo di numerosi docenti precari per mezzo del piano straordinario di assunzione, suddiviso in 4 fasi ma destinato esclusivamente ai docenti iscritti nelle graduatorie ad esaurimento di cui al comma 605, art. 1, Legge n. 296/2006. Il principale ostacolo posto alla stabilizzazione dei precari del settore scolastico discende da più disposizioni normative quali l'art. 36, comma 5, D.Lgs. n. 165/2001, che, come visto, vieta ogni forma di conversione del contratto a termine in uno a tempo indeterminato, la specifica normativa regolatrice della materia delle supplenze nel comparto scolastico, ed il principio costituzionale dell'acceso al lavoro pubblico mediante concorso.
Venendo alla natura della disciplina normativa del contratto a termine nel settore scolastico, la giurisprudenza di merito e di legittimità ha spesso messo in luce come tale rappresenti da sempre un corpus normativo speciale rispetto, non solo, alla disciplina del contratto a termine prevista per il nel settore del lavoro privato, ma anche a quella vigente per il pubblico impiego privatizzato.
Più nello specifico, è stato sottolineato come la disciplina del reclutamento del personale a termine del settore scolastico, contenuta nel D.Lgs. n. 297/1994, non sia stata abrogata dal D.Lgs. n. 368/2001, essendone disposta la salvezza dall'art. 70, comma 8, D.Lgs. n. 165/2001, che le attribuisce un connotato di specialità, ribadito dall'art. 9, comma 18, D.L. n. 70/2011, convertito in Legge n. 106/2011, tramite la conferma dell'esclusione della conversione in contratto a tempo indeterminato dei contratti a termine stipulati per il conferimento delle supplenze.
Inoltre la Corte di Cassazione, nella sentenza del 20 giugno 2012, n. 10127, ha evidenziato come lo speciale “corpus” normativo delle supplenze, consentendo la stipula dei contratti a termine solo per esigenze oggettive dell'attività scolastica, cui non fa riscontro alcun potere discrezionale dell'amministrazione, costituisce “norma equivalente” alle misure di cui alla Direttiva n. 1999/70/CE, aggiungendo che da ciò discendendo la circostanza per cui la reiterazione dei contratti a termine non potrebbe conferire uno specifico diritto alla conversione in contratto a tempo indeterminato, né il diritto al risarcimento del danno, laddove non venga provato uno specifico abuso del diritto nell'assegnazione degli incarichi di supplenza.
A fronte di tale fermo orientamento, tuttavia, alcuni tribunali di merito hanno invece ritenuto applicabile la sanzione della conversione del contratto a tempo indeterminato anche nel settore pubblico ed in particolare nel settore scolastico, quali i Tribunali di Siena, Trani e Livorno. In particolare, secondo il giudice senese, poiché la giurisprudenza interna successiva alle pronunce comunitarie avrebbe messo in luce l'inadeguatezza della sanzione meramente risarcitoria, l'unica misura effettivamente adeguata resterebbe la conversione del contratto, anche nel pubblico impiego (oltre al risarcimento del danno subito per l'illegittima apposizione del termine).
Per tali motivi con le ordinanze del 2, 15 e 29 gennaio 2013 e del 3 luglio 2013 il Tribunale di Napoli e la Corte Costituzionale hanno richiesto alla Corte di Giustizia europea di esprimersi in via pregiudiziale sulla compatibilità tra il corpus normativo disciplinante il sistema delle supplenze in Italia e la Direttiva CE recettiva dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato.
Come noto, i giudici Europei interrogati sulla problematica, nella statuizione del 26 novembre 2014, nelle cause riunite C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, in primo luogo hanno ricordato il principio per cui gli stati membri, in conformità al dettato della clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro europeo sul contratto a tempo determinato, devono attuare una tra le tre misure indicate dalla norma, tra le quali la previsione di ragioni obiettive che giustificano il rinnovo di tali contratti o rapporti di lavoro, la durata massima totale degli stessi contratti o rapporti di lavoro successivi o il numero massimo dei rinnovi di questi ultimi.
Successivamente hanno ritenuto che la normativa nazionale, oggetto di rinvio, in effetti attualmente consente di assumere docenti con una successione di contratti di lavoro per il conferimento di supplenze senza prevedere alcun limite per la durata massima degli stessi, il numero dei loro rinnovi e una ragione obbiettiva tale da giustificare detti rinnovi.
Ed infatti, secondo la Corte di Lussemburgo l'articolo 4, comma 1, Legge n. 124/1999, letto in combinato disposto con l'articolo 1, D.M. n. 131/2007, sarebbe usata appunto al fine di far fronte esigenze permanenti e durevoli del datore di lavoro, in assenza di indicazioni specifiche che fissino un termine preciso riguardo all'organizzazione delle procedure concorsuali, dipendendo l'avvio di tali dalle possibilità finanziarie dello Stato e dalla valutazione discrezionale dell'amministrazione.
Per tali motivi, i giudici europei hanno concluso nel senso che l'accordo quadro europeo sul lavoro a termine osta “ad una disciplina come quella nazionale che autorizzi, in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali per l'assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza indicare tempi certi per l'espletamento di dette procedure concorsuali ed escludendo qualsiasi possibilità, per tali docenti e detto personale, di ottenere il risarcimento del danno eventualmente subito a causa di un siffatto rinnovo.” La sentenza della Corte Costituzionale n.187/2016
Come immaginabile, dopo la pronuncia della Corte di Giustizia Europea la Corte Costituzionale con sentenza 20 luglio 2016, n. 187, ha sancito l'incostituzionalità del primo e dell'articolo 4, comma 11, Legge n. 124/1999, in materia di attribuzione delle sostituzioni scolastiche.
Tuttavia, la pronuncia in questione è destinata a sollevare vari interrogativi e si presta ad alcune critiche già mosse dalla dottrina più attenta sin dall'indomani della sua pubblicazione.
In particolare le maggiori critiche mosse alla statuizione del giudice delle leggi derivano dal fatto che la Corte, pur dichiarando l'incostituzionalità della norma in coerenza con il disposto della sentenza della Corte di Giustizia Mascolo, ha ritenuto non esaurita con il giudizio di costituzionalità la questione, in particolare con riferimento alle ricadute sanzionatorie dell'illecito perpetrato dall'Italia, rivendicando sul punto una propria specifica competenza in conformità con il diritto interno.
Infatti, dopo aver riportato il testo del paragrafo 79 della sentenza Mascolo, secondo cui «quando si è verificato un ricorso abusivo a una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato, si deve poter applicare una misura che presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori al fine di sanzionare debitamente tale abuso e cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell'Unione», ed il paragrafo 77, ai sensi del quale, quando il diritto dell'Unione non prevede sanzioni specifiche, spetta alle autorità nazionali individuare misure proporzionate, sufficientemente energiche e dissuasive, il Giudice delle leggi ha stabilito di dover esaminare la questione non solo alla luce della normativa vigente all'epoca del rinvio interpretativo alla Corte Europea, ma anche in virtù della normativa sopravvenuta e pertanto considerando le misure adottate dal legislatore con la Legge n. 107/2015, all'evidente scopo di assicurare la corretta applicazione dell'accordo quadro.
Proprio in tale Legge e nelle sue disposizioni aventi ad oggetto il piano straordinario di assunzioni, l'introduzione del limite dei 36 mesi per la stipulazione di contratti a termine e la fissazione del termine triennale di cadenza del concorso pubblico per il reclutamento dei docenti, la Corte Costituzionale ha rinvenuto la misura idonea a cancellare l'abuso perpetrato dall'Italia.
Pertanto, considerata la pluralità delle misure autorizzate dalla normativa comunitaria, la Corte Costituzionale ne ritiene applicabile anche una sola e la individua, come già detto, nel piano straordinario di assunzioni. Nel ragionamento della Corte Costituzionale il piano straordinario di assunzioni costituisce, infatti, una forma di risarcimento in forma specifica tale da raggiungere gli scopi richiesti dalla Corte di Giustizia, in quanto garantisce ai docenti precari serie e indiscutibili chances di immissione in ruolo secondo una delle alternative espressamente prese in considerazione dalla Corte di Giustizia.
Ebbene tale conclusione, come già premesso, non ha soddisfatto completamente la dottrina. Infatti numerose sono le questioni lasciate irrisolte dalla Consulta e forse le forzature interpretative operate.
In primo luogo, la Corte Costituzionale, nel ritenere cancellato l'abuso, fa riferimento alle disposizioni normative contenute nella Legge n. 107/2015, dal comma 95 al 105, le quali hanno ad oggetto l'assunzione di docenti iscritti esclusivamente nelle graduatorie ad esaurimento di cui all'art. 1, co. 605, lett. c), Legge 27 dicembre 2006, n. 296 e successive modificazioni. Pertanto vengono esclusi dalla novella legislativa del 2015 tutti gli insegnati iscritti nelle graduatorie di circolo ed istituto che spesso sono utilizzati nella pratica per coprire supplenze annue. Per tali soggetti, in via logica, dovrebbe permanere la sanzione del risarcimento del danno per come ormai quantizzato dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza a Sezioni Unite n. 5072/2016.
In secondo luogo, anche se appare indubitabile che le previsioni contenute nella Legge sulla Buona Scuola siano favorevoli ai docenti precari, tuttavia le stesse molto probabilmente non basteranno a garantire l'effettiva immissione in ruolo di tutto il personale precario a cui la normativa si indirizza. Di ciò sembra essere consapevole anche la Consulta nel momento in cui utilizza l'espressione per cui i docenti godrebbero della “possibilità di avere serie ed indiscusse chances d'immissione in ruolo”, locuzione che ha lasciato interdetta parte della dottrina dato che indica sì una ragionevole possibilità, ma non certo un'assoluta certezza di ottenere la stabilizzazione del rapporto lavorativo.
Ci si chiede allora quale debba essere la misura sanzionatoria applicabile a tali soggetti. In realtà, volendo partire dal dato testuale della sentenza n. 187/2016, a quest'ultimi non spetterebbe alcun risarcimento del danno, in quanto destinatari dalla possibilità di fruire di un accesso privilegiato al pubblico impiego, teso a garantire serie e indiscutibili chances di immissione in ruolo.
Una tale conclusione sarebbe tuttavia inaccettabile, in quanto li priverebbe di ogni tipo di risarcimento e tutela effettiva e dissuasiva. Si prospetterebbe allora la possibilità per tali soggetti di far valere in giudizio la mancata applicazione del principio d'uguaglianza dando però in tal modo origine ad un nuovo e cospicuo contenzioso giudiziario.
In realtà, parte della dottrina ritiene che anche per i docenti in questione andrebbe attuata la misura del risarcimento del danno. Ciò deriverebbe dal fatto che la previsione contenuta nel comma 132, art. 1, Legge n. 107/2015, nel creare il fondo specifico di dieci milioni di Euro per l'anno solare 2015 e 2016, in relazione alla necessità di dare esecuzione ai provvedimenti giurisdizionali aventi ad oggetto il risarcimento dei danni conseguenti alla reiterazione dei contratti a termine superiori ai trentasei mesi, non distingue tra docenti e personale ATA. Conseguentemente, non vi sarebbero ostacoli ad applicare dunque la misura risarcitoria anche per i docenti a cui si rivolge il piano straordinario di assunzioni ma che verosimilmente ne resteranno esclusi.
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