La liquidazione mensile del TFR
09 Aprile 2015
Il quadro normativo
La legge di Stabilità 2015 consente, in via sperimentale, ai lavoratori dipendenti del settore privato, per i periodi di paga decorrenti dal 1° marzo 2015 al 30 giugno 2018, la possibilità di richiedere la liquidazione diretta mensile della quota maturanda del trattamento di fine rapporto (Tfr), al netto del contributo dello 0,50% destinato al Fondo pensioni dei lavoratori dipendenti (FPLD). Come è noto, il trattamento di fine rapporto è disciplinato dall'art. 2120 c.c., così come riformato dalla legge 29 maggio 1982, n. 297. Tale trattamento viene corrisposto in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato e si determina sommando per ciascun anno di servizio una quota pari all'importo della retribuzione dovuta per l'anno stesso divisa per 13,5. Le quote di Tfr così calcolate vengono accantonate dal datore di lavoro e rivalutate annualmente con l'applicazione di un tasso composto costituito dall'1,5%, in misura fissa, e dal 75% dell'aumento dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, accertato dall'ISTAT, rispetto all'anno precedente. Per effetto del D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252, il lavoratore, entro sei mesi dalla sua assunzione, deve indicare a quale fondo pensione intende versare il Tfr ovvero se intenda mantenerlo in azienda. Qualora il lavoratore non esprima una sua preferenza entro sei mesi, la legge prevede l'automatico versamento delle quote di Tfr maturande al fondo di previdenza complementare previsto dal contratto collettivo applicato in azienda. In assenza di un Fondo pensione aziendale, il Tfr deve essere conferito, in via residuale, al fondo di previdenza complementare istituito presso l'Inps (FondInps). Nel caso il datore di lavoro abbia più di 50 dipendenti, le quote di Tfr maturande dai dipendenti che abbiano esplicitamente scelto di mantenere il proprio Tfr in azienda, devono obbligatoriamente essere versate al Fondo per l'erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto di cui all'art. 2120 c.c. (Fondo di tesoreria Inps) ex legge 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, commi 755 e ss. I requisiti per poter richiedere di percepire in busta paga, come quota integrativa della retribuzione (Qu.i.r.), il Tfr maturando, sono essenzialmente due: essere lavoratore dipendente del settore privato e avere un rapporto di lavoro in essere da almeno 6 mesi presso il datore di lavoro tenuto a tale corresponsione. L'opzione può essere esercitata anche da coloro che abbiano destinato il proprio trattamento di fine rapporto a forme di previdenza complementare. La norma esclude esplicitamente i lavoratori domestici e i lavoratori agricoli. Nel DPCM, inoltre, si specifica l'esclusione per i lavoratori dipendenti per i quali la legge o il contratto collettivo nazionale di lavoro, anche mediante il rinvio alla contrattazione di secondo livello, prevede la corresponsione periodica del Tfr ovvero l'accantonamento del Tfr medesimo presso soggetti terzi (es. presso la Cassa Edile). Sono inoltre esclusi i lavoratori dipendenti da datori di lavoro per i quali, ai sensi delle disposizioni normative vigenti, siano stati autorizzati interventi di integrazione salariale straordinaria e in deroga, limitatamente ai lavoratori dipendenti in forza all'unità produttiva interessata. Sembra, inoltre, escludere i lavoratori dipendenti del settore pubblico, sebbene la disciplina del Tfr si applichi anche a loro (su base opzionale per gli assunti fino al 31 dicembre 2000, obbligatoriamente per gli assunti dopo tale data). La motivazione di questa esclusione risiederebbe nella maggiore spesa pubblica che si verrebbe a creare in questo triennio. Dal lato dei datori di lavoro, non si fanno distinzioni merceologiche né dimensionali (indifferentemente sopra o sotto i cinquanta dipendenti), imprenditori o non imprenditori, fatti salvi, come si è già detto, i datori di lavoro domestico e i datori di lavoro agricolo. Sono però esonerati dalla liquidazione mensile delle quote di Tfr maturando ai lavoratori che ne facciano richiesta i datori di lavoro sottoposti a procedure concorsuali e alle imprese dichiarate in crisi ai sensi dell'art. 4 della legge n. 297 del 1982, così come sono escluse dalla disciplina delle anticipazioni previste dal sesto comma dell'art. 2120 c.c. È stato, infine, specificato che la disposizione del Tfr, da parte del lavoratore, a garanzia di un contratto di finanziamento (es. in caso di cessione del quinto dello stipendio) preclude la possibilità di esercitare l'opzione per il conferimento del Tfr nella busta paga mensile. Il datore di lavoro deve quindi respingere tali richieste fino alla ricevuta della notifica dell'avvenuta estinzione del debito. Il lavoratore che manifesti la propria volontà, di cui al comma 756 bis dell'art. 1 legge 27 dicembre 2006, n. 296, non può revocarla fino al 30 giugno 2018. L'irrevocabilità della richiesta della Qu.i.r., dipende probabilmente dal fatto che è necessario un lasso di tempo sufficientemente lungo di sperimentazione per consentire la ripresa dei consumi, che è l'obiettivo dichiarato di tale misura. Il Tfr viene erogato mensilmente al lavoratore a partire dal mese successivo alla presentazione della richiesta; dal terzo mese successivo, per le aziende con meno di 50 dipendenti che richiedano l'accesso al previsto finanziamento agevolato per acquisire la liquidità necessaria. Si ricorda che le aziende con più di 50 dipendenti, dal punto di vista della liquidità non cambia molto perché già dal 1° gennaio 2007 non possono più mantenere il Tfr dei dipendenti nelle casse dell'azienda; le quote maturande del Tfr dei lavoratori che non hanno optato per il conferimento delle stesse a un fondo di previdenza complementare, devono infatti essere obbligatoriamente versate al Fondo di tesoreria gestito dall'Inps. I datori di lavoro che erogano il Tfr in busta paga in seguito alla manifestazione di volontà del dipendente, sono esonerati dal versamento del contributo al Fondo di Garanzia per il Tfr di cui all'art. 2 della legge n. 297/1982. Meccanismo finanziamento piccole aziende
Per i datori di lavoro con meno di 50 dipendenti che non intendono corrispondere immediatamente con risorse proprie la Qu.i.r., è possibile accedere a un finanziamento assistito dalla garanzia dello Stato tramite un apposito Fondo istituito presso l'Inps; a loro volta gli interventi del Fondo sono assistiti da garanzia dello Stato come prestatore di ultima istanza. Tale finanziamento è assistito anche dal privilegio speciale previsto per le operazioni di finanziamento alle imprese, di cui all'art. 46 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia - T.U.B. (D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385). Per accedere ai finanziamenti è però necessario richiedere preventivamente all'Inps una certificazione relativa ai requisiti dimensionali dell'azienda. Una volta ottenuto tale certificato, che sarà rilasciato entro 30 giorni dalla richiesta, il datore di lavoro potrà presentare richiesta di finanziamento a una della Banche aderenti all'accordo quadro tra ABI-Ministero del lavoro e Mef. Anche la misura della Qu.i.r. da finanziare è certificata dall'Inps che rende disponibili, ogni mese, i dati relativi al Tfr spettante a ciascun lavoratore in base ai montanti retributivi risultanti dalle denunce contributive. Il tasso di interesse applicato a tali forme di finanziamento non può essere superiore al tasso di rivalutazione del Tfr. Il Fondo di Garanzia per l'accesso ai finanziamenti ha una dotazione iniziale di 100.000 euro ed è alimentato da un contributo mensile pari allo 0,2% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali dei lavoratori per i quali è stato richiesto il finanziamento per la liquidazione mensile della Qu.i.r. Nel caso in cui i datori di lavoro con meno di 50 dipendenti non optino per l'accesso al credito agevolato, potranno, come compensazione dei costi, dedurre una percentuale del 6% del Tfr liquidato ai lavoratori in busta paga, così come già previsto in caso di destinazione del Tfr ai fondi pensione (art. 10, D.Lgs. n. 252/2005).
In base all'art. 2120 comma 6 c.c., il prestatore di lavoro, con almeno 8 anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro, può chiedere, in costanza di rapporto di lavoro, un'anticipazione non superiore al 70% sul trattamento cui avrebbe diritto nel caso di cessazione del rapporto alla data della richiesta, per far fronte a spese sanitarie per terapie e interventi straordinari, per l'acquisto della prima casa di abitazione per sé o per i figli. È possibile, inoltre, chiedere un'anticipazione per le spese sostenute durante i congedi per maternità (art. 5 del D.Lgs. 151/2001 e art. 7, comma 1, L. 53/2000) e per le spese sostenute durante i congedi per la formazione (art. 7, comma 1, L. 53/2000). Il datore di lavoro deve soddisfare ogni anno tali richieste nel limite del 10% dei dipendenti con almeno 8 anni di anzianità e comunque entro il 4% del totale dei dipendenti. L'anticipazione può essere ottenuta una sola volta nel corso del rapporto (art. 2120 , commi 7 e 9, c.c.). A prima vista, la liquidazione mensile in busta paga del Tfr maturando non sembrerebbe avere le caratteristiche per poter essere considerata una forma di anticipazione di tale indennità. Tuttavia l'ultimo comma dell'art. 2120 c.c., prevede che la contrattazione collettiva o patti individuali tra datore e prestatore di lavoro possano stabilire condizioni diverse per la disciplina delle anticipazioni del Tfr purché di miglior favore per il lavoratore. Il regime delle anticipazioni è dunque derogabile in melius dalla contrattazione collettiva e da patti individuali e, a maggior ragione, può esserlo da parte della legge. Si tratterebbe di una deroga talmente ampia da azzerare ogni limitazione, una sorta di reiterazione mensile dell'anticipazione in modo acausale. Per richiedere tale anticipazione, infatti, non è necessaria una giustificazione da parte del lavoratore, è sufficiente un'anzianità di servizio minima (6 mesi) e il datore di lavoro deve concederla a tutti i dipendenti che ne facciano richiesta, visto che non sono previsti contingentamenti, ma solo le agevolazioni di cui sopra si è parlato. Per l'esattezza alcune limitazioni ci sono: questa forma di anticipazione non può riguardare la quota di Tfr già accantonata - che continua a seguire le regole dell'aart. 2120 c.c. - ma solo la quota maturanda dello stesso mese. Inoltre è limitata, per il momento, al periodo marzo 2015 - giugno 2018. L'ipotesi che la Qu.i.r. possa essere considerata una liquidazione in acconto del Tfr sembra, invece, non potersi applicare al caso in esame, in quanto l'acconto, a differenza dell'anticipazione, può essere corrisposto solo alla cessazione del rapporto di lavoro. Prima della liquidazione definitiva del Tfr, infatti, il datore di lavoro può concedere al dipendente degli acconti sul Tfr spettante, senza che sia richiesta la sussistenza di alcuna condizione. Si deve però trattare di un rapporto di lavoro risolto: è il caso della temporanea mancanza di liquidità da parte del datore di lavoro o della difficoltà di determinare l'esatto importo di Tfr da erogare.
TFR e patti di conglobamento
La possibilità di ricevere in busta paga una retribuzione mensile comprensiva della quota di Tfr corrispondente, non costituisce del tutto una novità. In alcune realtà infatti, specialmente nell'ambito del lavoro domestico e della piccola impresa, sono diffusi i patti, detti di conglobamento della retribuzione, i quali prevedono che alcune voci retributive indirette o differite previste per legge o per contratto (quali la tredicesima mensilità, gli straordinari, le ferie e il Tfr) siano forfettizzate mensilmente. Affinché tale patto sia valido e opponibile è necessario che da esso risultino “gli specifici titoli cui è riferibile la prestazione patrimoniale complessiva, poiché solo in tal caso è superabile la presunzione che il compenso convenuto è dovuto quale corrispettivo della sola prestazione ordinaria, e si rende possibile il controllo giudiziale circa l'effettivo riconoscimento al lavoratore dei diritti inderogabilmente spettanti per legge o per contratto” (cfr. ex plurimis: Cass. 23 luglio 2014, n. 16710; Cass. 31 maggio 2011, n. 12051; Cass. 7 aprile 2010, n. 8255). In sostanza, in caso di controversia, occorre non solo dimostrare l'esistenza di un patto di conglobamento, ma è altresì necessario che in esso sia chiaramente specificato il corrispettivo della prestazione ordinaria e, separatamente, di tutti gli altri titoli che si vogliono ricomprendere nel compenso pattuito, essendo invece insufficiente la generica formula della “retribuzione tutto incluso”. Quando tali accordi includono, nella retribuzione forfettaria pattuita, anche il trattamento di fine rapporto, la legittimità di tale previsione non è del tutto pacifica. L'opinione prevalente esclude questa possibilità, in ragione dell'inderogabilità della disciplina prevista dall'art. 2120 c.c. che impone la corresponsione differita alla cessazione del rapporto di lavoro delle somme accantonate a titolo di Tfr. Anche la Corte di Cassazione nella Sentenza 11 novembre 2002, n. 15813, ha affermato, anche se solo in via incidentale, che “non è valida la pattuizione, individuale o collettiva, che dispone l'anticipazione mese per mese del trattamento di fine rapporto nella retribuzione corrente”. Tuttavia non mancano opinioni a favore di tali accordi (su questo tema v. M. Novella, Sulla legittimità del trasferimento nella retribuzione mensile del trattamento di fine rapporto, in RIDL, 2003, II, 440 ss.). Stante l'incertezza della legittimità degli accordi che prevedono il pagamento mensile del Tfr, il datore di lavoro potrebbe correre rischio di essere condannato al ricalcolo del Tfr, sulla base della retribuzione comprensiva della quota del Tfr mensile, considerata come retribuzione ordinaria, con conseguente ricalcolo dei contributi dovuti (oltre che delle mensilità aggiuntive), e alla sua nuova corresponsione, anche in presenza di un'esplicita pattuizione al riguardo tra le parti. È pertanto una prassi che di solito viene sconsigliata dagli addetti ai lavori. Tassazione e cumulo redditi: verifica della convenienza
È stato stabilito che le quote di Tfr liquidate mensilmente in busta paga saranno assoggettate alla tassazione ordinaria, a differenza di quanto stabilito al primo comma dell'art. 17 T.U.I.R. , che prevede per il Tfr la tassazione separata. A questo proposito è opportuno fare una digressione, per così dire, tecnico-tributaria, finalizzata a spiegare le modalità di tassazione del Tfr per meglio comprendere la distinzione tra tassazione separata e tassazione ordinaria, e valutare la scelta della tassazione ordinaria per il Tfr in busta paga. La disciplina fiscale del Tfr è stabilita all'art. 19 del T.U.I.R. così come modificato dal D.Lgs. 18 febbraio 2000, n. 47, a regime dal 1° gennaio 2001, e dall'art. 2, c. 514, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, con il relativo decreto attuativo, riferito alle indennità il cui diritto alla percezione è sorto a partire al 1° aprile 2008. Come si è detto, il sistema di calcolo della tassazione del Tfr è stato modificato dal D.lgs. 18 febbraio 2000, n. 47, pertanto, occorre distinguere tra Tfr maturato prima e dopo l'entrata in vigore di tale norma. Per le quote di Tfr maturate fino al 31 dicembre 2000, l'imponibile è determinato dalla somma delle quote maturate e della loro rivalutazione, al netto di un ammontare forfettario pari a 309,87 euro per ogni anno di servizio prestato. Le quote di Tfr maturate dal 1° gennaio 2001 sono imponibili solo per la quota capitale, al netto cioè delle rivalutazioni annuali. Tali rivalutazioni sono, invece, subito assoggettate all'imposta sostitutiva dell'11% (ora portata al 17% dalla stessa legge di Stabilità) che deve essere versata dal datore di lavoro secondo un meccanismo di acconto e saldo. La base imponibile del trattamento di fine rapporto alla cessazione del rapporto di lavoro è costituita dalla somma delle due componenti calcolate come sopra descritto o, nel caso il rapporto di lavoro abbia avuto inizio dopo il 1° gennaio 2001, semplicemente dalla quota capitale del Tfr accantonato. Una volta individuata la base imponibile occorre calcolare l'aliquota fiscale da applicare. Questa corrisponde ad un'aliquota media determinata sulla base del c.d. “reddito di riferimento” che è un reddito teorico medio. Il “reddito di riferimento” si ottiene dividendo la suddetta base imponibile del Tfr per il numero di anni (e frazioni) presi a base della commisurazione (anni di servizio) e moltiplicando il risultato per 12. Al reddito di riferimento si applica progressivamente l'aliquota Irpef del corrispondente scaglione di reddito secondo la normativa vigente nell'anno in cui è maturato il diritto alla percezione. L'imposta così calcolata, divisa per il reddito di riferimento e moltiplicata per 100, determina l'aliquota media da applicare al Tfr da erogare. Per i rapporti di lavoro cessati a partire dal 1° aprile 2008, se il reddito di riferimento non supera i 30.000 euro si applica, inoltre, una detrazione fiscale variabile tra i 50 e i 70 euro (D.M. 20 marzo 2008, in attuazione dell'art. 2, c. 514, L. 244/2007), che si somma, solo per i contratti a tempo determinato di durata non superiore ai 24 mesi, alla già prevista detrazione d'imposta di euro 61,97 annui. L'art. 17 del T.U.I.R. fa rientrare il Tfr fra i redditi a tassazione separata, vale a dire fra quelli tassati separatamente rispetto agli altri redditi percepiti nel corso dello stesso anno. La tassazione separata riguarda solitamente i redditi la cui maturazione avviene nel corso di più anni (redditi a formazione pluriennale) o riferiti ad un periodo d'imposta diverso rispetto a quello in cui vengono percepiti (ad es. gli emolumenti arretrati). Non concorrono quindi alla formazione del reddito complessivo cui si applica, al netto delle deduzioni previste, la tassazione ordinaria per scaglioni di reddito (art. 3 del T.U.I.R.). In virtù della progressività dell'imposta, cumulare il trattamento di fine rapporto agli altri redditi percepiti nel medesimo anno d'imposta, significherebbe calcolare l'imposta in modo via via meno conveniente per il lavoratore con l'aumentare dell'anzianità di servizio e dunque con l'aumentare delle quote di Tfr accantonate. In ogni caso, qualora fosse più conveniente, il lavoratore potrà chiedere l'opzione per la tassazione ordinaria in sede di dichiarazione dei redditi. La tassazione effettuata dal datore di lavoro, in qualità di sostituto d'imposta, è a titolo provvisorio. L'Agenzia dell'Entrate provvede infatti alla riliquidazione dell'imposta, applicando al Tfr un'aliquota media che tiene conto del reddito percepito nei cinque anni precedenti alla cessazione del rapporto di lavoro. Qualora non sia stato percepito alcun reddito in uno o più di tali anni si considererà, per quello o quegli anni, l'aliquota minima pari al 23%. In fase di conguaglio, nel caso dovesse risultare più conveniente per il contribuente, l'Agenzia delle Entrate applicherà la tassazione ordinaria. A decorrere dal 1° gennaio 2011, l'aliquota ordinaria è sempre prevista nel caso il trattamento di fine rapporto da liquidare superi la cifra di euro 1.000.000 (art. 24, comma 31, Decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201) Il Tfr liquidato mensilmente in busta paga è relativo alla quota maturata nel corso dello stesso anno, pertanto non ha le caratteristiche dei redditi soggetti a tassazione separata che, come abbiamo visto, sono redditi a formazione pluriennale oppure redditi riferiti ad anni di imposta precedenti; di conseguenza deve essere assoggettato alla tassazione ordinaria. Questo potrebbe comportare una tassazione superiore, ma per valutarlo occorre fare una distinzione. Da una parte consideriamo la tassazione relativa alla quota di Tfr erogata insieme alla retribuzione mensile; da questo punto di vista bisogna tener conto che, all'atto della liquidazione definitiva, l'imposta verrà calcolata tenendo conto dell'importo di Tfr accantonato, aumentato dalle anticipazioni (inclusa la Qu.i.r.) complessivamente erogate, al netto delle rivalutazioni già assoggettate ad imposta sostitutiva. All'imposta così calcolata verrà sottratta l'imposta già pagata sulle anticipazioni. Le imposte pagate (in eccesso o in difetto) sulle anticipazioni vengono conguagliate alla cessazione del rapporto di lavoro e dunque non ci dovrebbero essere aggravi (se non temporalmente limitati) sulla tassazione del Tfr nel suo complesso. Dall'altra parte, però, le quote di Tfr liquidate mensilmente si sommano agli altri redditi percepiti. A questo potrebbe corrispondere un aggravio di imposte dovuto alla possibile diminuzione delle detrazioni per lavoro dipendente e per i familiari a carico (che decrescono con il crescere del reddito) e l'aumento delle addizionali regionali e comunali, senza poter escludere a priori che tale aumento di reddito imponibile possa far scattare un'aliquota marginale superiore. Inoltre consegue anche l'aumento del reddito dichiarato ai fini dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) preso a misura per valutare il diritto o meno all'accesso a determinate prestazioni sociali agevolate. È stato però specificato che la Qu.i.r. non incide sul diritto al bonus di 80 euro e non è considerata imponibile ai fini previdenziali. In conclusione, il lavoratore, in caso di esigenze di liquidità per far fronte a spese ordinarie, dovrà valutare la convenienza a richiedere la Qu.i.r. in alternativa, ad esempio, a un finanziamento bancario, tenendo conto dei rispettivi costi. Conseguenze sulla previdenza complementare
La quota di Tfr di cui si può richiedere la liquidazione in busta paga come parte integrativa della retribuzione, include anche le eventuali quote destinate ai fondi pensione ai sensi del D.Lgs. 251/2005. Questa previsione contrasta con quando specificato all'art. 8, comma 7, lett. a) del suddetto D.Lgs., secondo cui solo la scelta di mantenere il proprio Tfr maturando in azienda può essere successivamente revocata in favore della destinazione a un fondo pensione, mentre l'opzione del conferimento del Tfr alla previdenza complementare sarebbe irreversibile, persino in caso di conferimento tacito (art. 8, comma 7, lett. b) del D.Lgs. 252/2005). Lo scopo di tale irrevocabilità della scelta sarebbe quello di incentivare la diffusione della previdenza complementare e la natura previdenziale di tali accantonamenti. Le uniche eccezioni al principio della irrevocabilità sono previste dall'art. 14, D.Lgs. 252/2005, che disciplina le modalità di riscatto parziale o totale delle posizioni previdenziali individuali e della loro portabilità presso altre forme pensionistiche complementari. Nello specifico, secondo l'interpretazione fornita dalla COVIP (deliberazione 21 marzo 2007), solo il lavoratore che, trovandosi nelle specifiche situazioni previste dalla normativa, provveda al riscatto integrale della propria posizione previdenziale complementare, potrebbe effettuare nuovamente la scelta iniziale tra la destinazione del Tfr ad una forma pensionistica complementare e il mantenimento del trattamento di fine rapporto ai sensi dell'art. 2120 c.c. La previsione quindi dell'art. 1, comma 26, della legge n. 190/2014, introduce un'ulteriore eccezione (seppure temporanea) alla irrevocabilità della scelta in favore della previdenza complementare. Qualora il lavoratore optasse per la liquidazione in busta paga delle quote di Tfr destinate alla previdenza integrativa, la conseguenza immediata sarebbe quella di mettere a rischio, o comunque ridurre, le risorse destinate alla previdenza complementare che, come è noto, adotta il sistema a capitalizzazione e che finora è stato considerato un settore strategico, eventualmente bisognoso di sostegno e non di disincentivi. Inoltre la maggiore tassazione delle rendite sul risparmio previdenziale (passato dall'11,5 al 20%), non fa che peggiorare la situazione. L'aumento della tassazione dovrebbe compensare la diminuzione del gettito fiscale dovuto proprio alla riduzione del risparmio previdenziale e alla conseguente riduzione delle rendite sottoposte alla tassazione. I lavoratori che avevano scelto di destinare il Tfr maturando ai fondi pensione sono coloro che avranno la minore convenienza alla liquidazione del Tfr in busta paga, sia perché i rendimenti, al momento, sono piuttosto positivi, sia perché la previdenza complementare gode di numerosi benefici fiscali.
In conclusione
La liquidazione del Tfr maturando nella busta paga mensile è un provvedimento che si inserisce nella strategia politica dell'attuale governo Renzi orientata a dare impulso ai consumi per rilanciare la crescita economica. Ha inoltre il lodevole intento di consentire ai lavoratori di scegliere liberamente come utilizzare una somma di danaro di loro spettanza ma che, fino a questo momento, era vincolata, per la sua esigibilità, alla cessazione del rapporto di lavoro. È un attestato di fiducia nella capacità dei lavoratori dipendenti di poter stabilire quale condizione sia di miglior favore per loro, se fare fronte alle spese quotidiane grazie a una maggiore liquidità oppure risparmiare tale somma fino alla cessazione del rapporto di lavoro o, ancora, investirla in un fondo pensione complementare. Si ottiene inoltre il vantaggio, per le casse dello Stato, di ricevere in anticipo delle risorse dalla tassazione di tali quote di Tfr. Per contro però, soprattutto se tale misura, al momento sperimentale, verrà resa strutturale potrebbe avere degli effetti a lungo termine non troppo favorevoli per i lavoratori. La possibilità di farsi liquidare mensilmente anche la quota di Tfr che era stata destinata a un Fondo pensione complementare, potrà, ad esempio, ulteriormente ridurre il ruolo del secondo pilastro della previdenza, che si è cercato, fino a questo momento, di incentivare proprio perché considerato uno strumento indispensabile per colmare il differenziale tra l'ultima retribuzione percepita e la pensione Inps dei più giovani che, calcolata in base ai contributi versati, sarà molto bassa. Inoltre, la Qu.i.r. potrebbe essere utilizzata dai datori di lavoro per fare fronte alle richieste di aumenti stipendiali e, nel tempo, permettere di compensare il basso livello dei redditi attraverso l'assorbimento del Tfr negli incrementi delle retribuzioni. Infine, proprio in un momento in cui la stabilità del posto di lavoro non è più una certezza, il poter contare su un “tesoretto”, il Tfr, in caso di perdita del lavoro potrebbe rappresentare, insieme alla Naspi e alle misure previste nel jobs act in tema di politiche attive per il lavoro, la possibilità di vivere una vita dignitosa in attesa di una nuova occupazione. G. Cazzola, Il T.f.r. anticipato, in F. Carinci e M. Tiraboschi (a cura di), I decreti attuativi del Jobs Act: prima lettura e interpretazioni, Adapt, n. 37, 2015; |