Per una teoria unitaria sulla decorrenza della prescrizione civile nei diritti nascenti in situazioni lungolatenti
08 Settembre 2016
Massima
Il diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto patologie causate da HBV, HCV o HIV per fatto doloso o colposo di un terzo è soggetto al termine di prescrizione quinquennale, che decorre, a norma dell' art. 2935 c.c. art. 2947 c.c. Il caso
Un bambino talassemico, soggetto come tale a emotrasfusioni settimanali fin dall'età di due mesi, è contagiato nel corso di una di queste con morbo HIV.
I genitori propongono domanda di risarcimento danni nei confronti del Ministero della Salute, con atto notificato il 10 aprile 2003, che viene respinta per intervenuta prescrizione.
Il primo giudice colloca la decorrenza della prescrizione quinquennale al 7 febbraio 1998, data di scoperta della patologia HIV.
Il giudice d'appello retrodata la decorrenza al 12 febbraio 1990, quando i genitori (o il danneggiato divenuto nel frattempo maggiorenne) avrebbero potuto raggiungere il grado di consapevolezza sul nesso di causalità tra contagio e trasfusioni, con l'aiuto di soggetti tecnicamente qualificati.Le questioni
La Corte di legittimità ha cassato la sentenza d'appello, enunciando la massima sopra riportata.
La pronuncia ci sembra della massima importanza perché, ponendosi nel quadro tracciato da Cass. S.U. 576/2008 (di cui appresso), lo completa, definendo in termini rigorosi la nozione di conoscibilità oggettiva che, per la sua genericità, aveva dato luogo a orientamenti dissonanti. Le soluzioni giuridiche
La decorrenza della prescrizione nel codice civile
Il punto di partenza è costituito dall' art. 2935 cod.civ. , per il quale la prescrizione decorre dal giorno in cui il diritto può esser fatto valere.
La formula è volutamente vaga, per potere applicare il principio a qualsiasi diritto civile ed in qualsiasi situazione fattuale.
Quello che occorre tenere ben presente, per applicare correttamente il principio alle varie situazioni, è che la prescrizione è un evento ( MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano 1957, I, 178 ), in quanto comporta l'estinzione istantanea di un diritto; il termine prescrizionale è un periodo, che deve iniziare correlativamente da un evento, una data, un dies a quo, un giorno, come si esprime l'art. 2935.
Diverse norme, sia del codice civile, sia di leggi speciali, determinano con precisione il giorno di decorrenza della prescrizione per alcuni diritti.
Per l' art. 2947 c.c. , sotto il quale ricade il caso in esame, il diritto al risarcimento del danno per fatto illecito si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il fatto si è verificato.
Per l' art. 112 t.u. 1124/1965 il diritto alle prestazioni Inail si prescrive in tre anni dal giorno dell' infortunio sul lavoro.
Altro principio generale è che l'ignoranza sull'esistenza del diritto non impedisce di per sé la decorrenza della prescrizione ( da ultimoCass. 20 gennaio 2016 n. 983 ). Detta impostazione civilistica, modellata sui diritti di credito interpersonali, è stata sottoposta a profonda revisione dalla giurisprudenza di legittimità, in relazione all'evoluzione della concezione del danno alla persona.
La prescrizione nelle lungolatenze in campo risarcitorio
Cass. Sez. Un. 2008 n. 576 ha operato un duplice passaggio (o, per usare i termini della sentenza, ribaltamento): dal verificarsi del danno alla sua manifestazione esteriore; dalla manifestazione alla consapevolezza soggettiva dell'interessato della rapportabilità causale del danno; detta consapevolezza non costituisce un impedimento soggettivo all'esercizio del diritto, come tale irrilevante, bensìuna oggettiva mancanza di conoscenza ( Cass. 6 ottobre 2014 n. 21026 ).
Ai medesimi principi si era già ispirata Cass., sez. lav. 20 gennaio 2000 n. 616 , che in una fattispecie di erronea individuazione da parte del servizio sanitario dell'Istituto assicuratore della causa delle subdole manifestazioni patologiche lamentate dal lavoratore, ha fatto decorrere la prescrizione triennale non dal giorno dell'infortunio, come prescrive l'art. 112 t.u. 1124 cit., ma dal momento in cui l'assicurato ha acquisito la consapevolezza della riconducibilità della patologia ad una causa violenta costituente infortunio sul lavoro. Rimane, come residuo o tributo all'imprinting originario, l'inciso: da quando il danno viene percepito dall'interessato “o può essere percepito usando l'ordinaria diligenza, secondo le conoscenze scientifiche del tempo”. Intanto questa conoscibilità oggettiva, costituendo un dies a quo, deve comunque impersonarsi in un evento, in un cippo, dal quale poter iniziare a contare il periodo prescrizionale. Essa, come precisa la sentenza in commento, non può consistere in una vaga atmosfera culturale, in un arco temporale più o meno ampio, né risolversi in un giudizio inquisitorio sul quoziente intellettuale dell'interessato, del tipo “avrebbe dovuto capire”; e da tale deficit intuitivo inferire la decorrenza della prescrizione. C'è da chiedersi poi in che cosa consista la ordinaria diligenza. Nel coltivare le conoscenze scientifiche? Nel seguire i mezzi di informazione? Di che livello e attendibilità? Nell'intuire che una determinata patologia, analoga a quella di altri casi simili conosciuti dall'interessato, ha una origine analoga, quando sono noti i processi di rimozione psicologica che perfino i medici subiscono per le più gravi patologie da cui possano essere affetti essi stessi? E soprattutto, quali sono i criteri per la collocazione temporale di siffatta conoscibilità diffusa con quel grado di certezza e obiettività richiesti per la decorrenza della estinzione per prescrizione di diritti fondamentali? Come possono le conoscenze diffuse individuare il grado preciso della lesione richiesto per il superamento della soglia invalidante, da cui nasce il diritto e inizia il decorso della prescrizione?
La conoscibilità oggettiva e la prescrizione, precisa la sentenza in esame, non possono derivare da un mero sospetto, né dall'omissione di un presunto ma insussistente obbligo di informazione; essa deve essere desunta dalla documentata storia clinica individuale, e quindi da un atto, un documento dal quale sia desumibile la conoscibilità del nesso causale, quali un certificato medico ( Cass. 2 luglio 2013, n. 16550 ), o la domanda amministrativa di indennizzo ( Cass. 19 dicembre 2013, n. 28464 ; Cass. 18 novembre 2015 n. 23635 ), o altri analoghi che diano la “assoluta sicurezza” della conoscibilità del nesso causale.
Pertinente è anche Cass. 14 marzo 2016 n. 4899 , che ha dichiarato, al pari dei due gradi di merito, non prescritto il diritto al risarcimento dei danni azionato all'età di 29 anni, per una violenza sessuale subita venti anni prima, perché solo con l'età adulta “si è innestato il processo di slatentizzazione” del trauma infantile, “come accertato da ctu”. E in effetti, da quale altro momento si sarebbe potuto far decorrere la prescrizione? Ci sembra evidente che in siffatta situazione così intima non è sostenibile il parametro della normale conoscibilità secondo criteri oggettivi e ordinaria diligenza. Né può essere eccepita la straordinarietà della fattispecie, perché appartiene comunque all'ambito psicologico il processo di presa di coscienza dell'esistenza di un diritto e della sua riferibilità causale. Francamente, il ricorso al sostegno “scientifico” della ctu ci sembra un espediente per ottenere un ancoraggio temporale, nell'ambito della teoria esistente, per giustificare una protezione ritenuta comunque dovuta in relazione alla natura del diritto.
Le lungolatenze in materia previdenziale
Analogo il percorso della Sezione Lavoro, pour cause richiamata da S.U. 576/2008. Le situazioni lungolatenti possono derivare da malattie professionali, prevalentemente, ma anche da infortuni sul lavoro. Nella seconda categoria vanno inquadrate, tecnicamente, le infezioni virali del personale ospedaliero, del genere di quella oggetto della sentenza in esame, la cui natura professionale può essere affermata anche solo in via probabilistica ( Cass. 12 maggio 2005 n. 9968 Cass. 28 ottobre 2004 n. 20941 Inoltre gli infortuni per così dire classici possono dar luogo a postumi inferiori al minimo indennizzabile; in tal caso non sorge alcun diritto e non corre alcuna prescrizione; ma i postumi possono aggravarsi lentamente nel tempo, ed allora l'interessato deve stare in guardia per cogliere l'attimo in cui i postumi raggiungono il minimo indennizzabile e incomincia a decorrere la prescrizione (problema analogo per la decorrenza della revisione; sul tema DE MATTEIS-OSSICINI, Infortuni e malattie professionali con postumi inferiori al minimo indennizzabile: quale decorrenza per la revisione?, in Prevention&Resaearch.com, agosto 2016).Per le malattie professionali l' art. 112 t.u. 1124/1965 lla malattia professionale. Il successivo art. 135, in omaggio alla necessità di individuare in un punctum temporis la decorrenza della prescrizione, precisa che la manifestazione della malattia professionale si intende verificata, con presunzione assoluta, nel primo giorno di astensione dal lavoro per malattia o, se non vi è stata astensione, nel giorno di presentazione all'Inail della denuncia amministrativa con certificato medico.
Il venir meno della presunzione assoluta, ad opera della Corte costituzionale ( Corte cost. 18 febbraio 1988 n. 179 ; sulla lunga resistenza della Corte, prima del revirement di tale sentenza,ci sia consentito rinviare sul punto a DE MATTEIS, Infortuni sul lavoro e malattie professionali, Milano, 2016, 363 segg.), e delle certezze ad essa correlate, aveva indotto la giurisprudenza di merito, nella ricerca di nuovi ancoraggi, a privilegiare la manifestazione obiettiva, individuabile mediante valutazioni medico-legali, anche per la preoccupazione di evitare che una nozione di manifestazione della malattia esclusivamente soggettiva potesse condurre all'ammissibilità di domande ad libitum. Succedeva così che se la ctu medico legale disposta in corso di causa accertava che la malattia aveva raggiunto la soglia indennizzabile molti anni prima, il giudice del merito rigettava la domanda per intervenuta prescrizione.
La Corte di legittimità ha bocciato tale orientamento.
Il merito della ricostruzione sistemica più completa va attribuito a Cass. 5 aprile 2001 n. 5090 .
Essa, e la consolidata giurisprudenza successiva, con formula ormai tralaticia, afferma: “La manifestazione della malattia professionale, rilevante quale dies a quo per la decorrenza del termine prescrizionale di cui all' art. 112 d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 , può ritenersi verificata solo quando la consapevolezza circa l'esistenza della malattia, la sua origine professionale ed il suo grado invalidante sia desumibile da eventi oggettivi ed esterni alla persona dell'assicurato, che costituiscano fatto noto ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c. , quali la domanda amministrativa (con valore di presunzione semplice), certificati medici che attestino l'esistenza ed il grado invalidante della malattia al momento della certificazione; diagnosi medica, dal momento della sua comunicazione all'interessato, dalla quale la malattia sia riconoscibile per l'assicurato ( Cass. 8 gennaio 1996, n. 63 ), od altri fatti noti dai quali sia possibile trarre presunzioni gravi, precise e concordanti circa lo stato soggettivo di consapevolezza dell'assicurato” ( da ultimo Cass. 6 agosto 2014, n. 17700 ; Cass. 31 gennaio 2013, n. 2285 . Tra le meno recenti: Cass. 19 agosto 2003, n. 12157 ; Cass. 24 maggio 2003, n. 8257 ).
Le motivazioni di tali sentenze offrono preziose precisazioni ed indicazioni:
Le lungolatenze nel pubblico impiego
Sulla stessa lunghezza d'onda la giurisprudenza amministrativa, che si segnala perché introduce il concetto di ragionevolezza, quale limite alla pretesa di una consapevolezza anteriore. Perché il termine estintivo del diritto alla prestazione possa decorrere non è sufficiente che il pubblico dipendente abbia conoscenza di una malattia o lesione, ma occorre altresì la piena consapevolezza della natura e della gravità dell'infermità denunciata , e del nesso causale con il servizio” ( Con s. Stato, sez. III, 15 aprile 2015 n. 1935 ; Cons. Stato, sez. II, 2 ottobre 2014 n. 4899).
Tale termine, se è di agevole determinazione quando l'infermità e conseguenza di un evento dannoso, può non essere identificabile con precisione quando l'infermità deriva da circostanze ambientali, che col decorso del tempo incidono sull'integrità psicofisica del dipendente; “pertanto in tale secondo caso il principio di ragionevolezza deve indurre a ritenere tempestive le domande proposte entro il termine decorrente dalla chiara consapevolezza del dipendente di aver contratto la malattia quale conseguenza della prestazione del servizio” ( Cons. Stato, sez. VI, 5 agosto 2013 n. 4065 ; Con s. Stato , sez. III, par.
7
marzo
2006
n. 232 ).
E benché tale giurisprudenza abbia ad oggetto diritti diversi, oggetto di decadenza, il quadro è unificato dal carattere comune che questi nascono da situazioni lungolatenti, e richiedono quindi un criterio unitario di individuazione del dies a quo di decorrenza del termine estintivo del diritto.
Consonanze e dissonanze
Rispetto a tale quadro giurisprudenziale piuttosto coerente, appare dissonante la recente svolta della Sezione Lavoro che, pur rendendo formale omaggio al principio tralaticio sopra riportato, intende poi la conoscibilità in senso puramente oggettivo: “la conoscibilità altro non è che la possibilità che un determinato elemento (nella specie l'origine professionale della malattia) sia conoscibile in base alle conoscenze scientifiche del momento. Non rileva invece (e non potrebbe rilevare, pena lo sconfinamento nella pura soggettività) il grado di conoscenze e di cultura del soggetto interessato dalla malattia” ( Cass. 28 gennaio 2013, n. 1822 , in Foro it., 2015, I, 239 con
nota di Ferrari , La manifestazione della malattia professionale: conoscenza o conoscibilità?, che ha dichiarato prescritto il diritto alla rendita ai superstiti, perché già al momento del decesso era conoscibile il rapporto con la malattia professionale, come accertato da ctu postuma), così riesumando l'antico orientamento di merito, tanto da indurre la dottrina a sollecitare un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite. Osservazioni
La Corte di legittimità ha operato il “ribaltamento” della disciplina codicistica in punto di decorrenza della prescrizione per adeguarla alla nuova concezione del danno alla persona, costituzionalmente orientata.
Riteniamo che analoga riflessione vada fatta in relazione alla tematica, anch'essa di recente sviluppo, dei diritti fondamentali, quali sono quelli relativi alla tutela della salute ex art. 32 Cost , ed ai mezzi adeguati di vita ex art. 38
Una prima opzione è che la giurisprudenza di legittimità si consolidi nei termini della sentenza in commento, nel senso cioè che la obiettiva conoscibilità, dalla quale far decorrere la prescrizione di siffatti diritti, deve derivare dalla documentata storia clinica individuale, deve consistere in un evento riconoscibile da tutti, e quindi anche, “ragionevolmente”, dal diretto interessato. La critica di pura soggettività (il lupo cattivo il cui timore sostiene psicologicamente la tesi avversaria) non è sostenibile, perché è proprio l'evento esterno ex artt. 2727 e 2729 cod.civ. , che consente alle lungolatenze di emergere dalla clandestinità come dato obiettivo.
Una seconda opzione, riservata alla rendita per malattia professionale, è il recupero delle ragioni del regime originario degli artt. 112 e 135 t.u. 1124/1965 , che affidava l a decorrenza della prescrizione del diritto alle prestazioni per malattia professionale, in ultima istanza, allo stesso assicurato. Una denuncia amministrativa tardiva, rispetto al raggiungimento del minimo indennizzabile, poteva far perdere i ratei pregressi, ma non pregiudicava il diritto alla rendita per il tempo futuro. In tal modo l'art. 135, comma 2, realizzava un sistema corrispondente a quello dei diritti previdenziali imprescrittibili, quali le p ensioni del pubblico impiego ( art. 5 d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 ), la pensione di vecchiaia ( art. 129 r.d.l. 1827/1935 ; art. 6 d.l. 29 marzo 1991, n. 103 , convertito, con modificazioni, nella legge 1° giugno 1991, n. 166 ; Cass. 23 marzo 1989, n. 1482 ), d i anzianità ( Cass. 27 maggio 2010, n. 12966 ; Cass. 26 giugno 2004, n. 11935 ), d i inabilità (Corte. cost. sent. 14 aprile 1988, n. 436), d i invalidità civile, indennità di accompagnamento, assegno di cura e mantenimento previsto dall' art. 4 della legge 14 dicembre 1970, n. 1088 in favore degli affetti da tbc, sostitutivo della retribuzione, nonché gli accertamenti che incidono su tali diritti ( Cass., sez. un., 3 d icembre 1991, n. 12973 ; in dottrina Cinelli , Diritto della previdenza sociale, Torino, 2012, 274).
Utili riflessioni vengono anche dall'inserimento nel tessuto esistente della “nuova malattia”, l' istituto inventato dalla Corte costituzionale ( Corte cost. 2 febbraio 2010 n. 46 ; DE MATTEIS, Nuova malattia e prescrizione, in Riv.Inf.mal.prof. 2013, I, 7) per assicurare la continuità di tutela agli aggravamenti da noxa permanente anche dopo il quindicennio di consolidamento dei postumi. In tal caso la prescrizione decorre, secondo l' Istituto assicuratore ( Circ. 21 gennaio 2014 n. 5 ), ad ogni 1% di aggravamento: il che rende problematica la attuazione dell'apertura della Corte costituzionale, ed impone una profonda rimeditazione di tutto il sistema, così profondamente inciso ed evoluto, in specie del principio di consolidamento dei postumi e della prescrizione.
La terza e risolutiva opzione sarebbe dichiarare imprescrittibili i diritti che assicurano i mezzi adeguati di vita o relativi al danno alla salute.
In particolare la giustificazione del regime di prescrittibilità dei diritti nascenti da infortunio sul lavoro o da malattia professionale, e cioè l'esigenza di accertamento precoce, non sembra più spendibile, per le medesime ragioni – il progresso della scienza medica - che la stessa Corte costituzionale (sent. 18 febbraio 1988 n. 179) ha posto a base della dichiarazione della incostituzionalità del regime di presunzione assoluta del sistema tabellare, anche nella parte in cui (art. 134 t.u. 1124 ) poneva un limite temporale per l'operatività della presunzione, decorrente dalla cessazione della lavorazione. Sicché, come il lavoratore può ora provare, con onere a proprio carico, l'origine professionale di una malattia tabellata, in ogni tempo, anche dopo il limite temporale della colonna 3 della tabella all. 4, e di una malattia non tabellata senza condizioni, così egli potrebbe provare in ogni tempo il proprio diritto, senza quei limiti prescrizionali che costituiscono un discrimine deteriore e non più giustificato rispetto agli altri diritti previdenziali imprescrittibili egualmente presidiati dall'art. 38, comma 2, Cost.
A tale conclusione non osta il timore di un'esplosione del bilancio dell' Istituto assicuratore, perché questo non ha mai pensato di calibrare il suo forte attivo sulla negazione dei diritti; né di una esplosione del contenzioso, perché le questioni di prescrizione non assorbono energie minori della decisione nel merito.
In definitiva salvaguardare in ogni tempo i mezzi adeguati di vita, decidendo secondo fairness in base all' art. 38 Cost. |