Tratti distintivi della somministrazione a termine e indennizzo risarcitorio nelle conversioni del rapporto

09 Ottobre 2014

Dalle aule di giustizia è emerso un numero elevato di controversie sulla corretta qualificazione formale dei contratti di lavoro temporaneo, tra cui la somministrazione a termine e la misura dell'indennizzo risarcitorio conseguente all'accertamento della somministrazione irregolare. Le due pronunce della Suprema Corte nn. 21000/2014 e 21001/2014 hanno il pregio di ricostruire con efficacia i tratti distintivi della somministrazione di lavoro a tempo determinato e di offrire un quadro completo ed aggiornato sui più recenti approdi della giurisprudenza.

Le fattispecie

Con la pronuncia n. 21000 del 5 ottobre 2014, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso di una società contro la sentenza della Corte di Appello di Cagliari che, sul presupposto di un contratto di somministrazione di lavoro a tempo determinato irregolare, aveva dichiarato la instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra lavoratore e impresa utilizzatrice, condannando quest'ultima al versamento di cinque mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto a titolo risarcitorio.

Nella sentenza d'appello oggetto di ricorso per cassazione si segnalava che, a prescindere dalla genericità della ragione aziendale indicata in contratto per giustificare il ricorso alla somministrazione a tempo determinato – l'esigenza indicata consisteva nella “sostituzione di lavoratori che svolgono attività formativa ovvero che prestano temporaneamente attività lavorativa al di fuori dell'unità produttiva di appartenenza”, ma il lavoratore non ne aveva fatto motivo di censura – la società non aveva provato l'esistenza della causale dedotta e il nesso di causalità con la somministrazione del lavoro a termine. La Corte di Cassazione ha respinto l'impugnazione della società, confermando la correttezza della motivazione sviluppata nel suo iter logico e giuridico dal giudice del secondo grado.

Con la pronunzia n. 21001 del 6 ottobre 2014, la Suprema Corte ha rigettato parzialmente il ricorso di una società contro la sentenza della Corte di Appello di Venezia che aveva condannato l'utilizzatrice al ripristino del rapporto di lavoro, disponendo il prosieguo dell'istruttoria per l'accertamento della entità del risarcimento del danno sul presupposto della non applicabilità alla somministrazione di lavoro irregolare dell'indennizzo onnicomprensivo di cui all'art. 32, comma 5, L. n. 183/2010.

La Corte d'Appello perveniva a questa decisione sul rilievo che la causale, in mancanza di alcuno specifico elemento, era stata espressa genericamente - la formula utilizzata in sede contrattuale consisteva in “punte di più intensa attività derivanti dalla acquisizione di commesse che prevedono inserimenti in reparto produttivo” – risultando, inoltre, inidonea la documentazione prodotta dalla società a provare l'esistenza del picco di attività. Con la successiva sentenza definitiva veniva liquidato a favore del lavoratore un indennizzo risarcitorio corrispondente alle retribuzioni maturate sino alla data dell'effettivo ripristino, dedotto quanto percepito aliunde nello stesso periodo.

La Corte di Cassazione ha respinto parzialmente l'impugnazione della società, confermando il carattere irregolare della somministrazione e, quindi, la conversione a tempo indeterminato del rapporto alle dipendenze dell'utilizzatrice, ma disponendo che la misura del risarcimento dovesse essere ridotta sulla scorta dei parametri di cui all'art. 32, comma 5, L. n. 183/2010.

Le due pronunce meritano di essere segnalate sia per l'attenzione riposta dalla Suprema Corte nel tratteggiare e riassumere i tratti distintivi e qualificanti del contratto di somministrazione di lavoro a tempo determinato in rapporto al contratto a termine classico, sia perchè sono la plastica rappresentazione delle problematiche che, a vario titolo, hanno investito la giurisprudenza nella valutazione dei requisiti formali e sostanziali di validità della somministrazione di lavoro a tempo determinato prima della più recente riforma delineata con il D.L. n. 34/2014 (il decreto Poletti).

I principi di diritto

Le pronunce in esame ribadiscono che il contratto di somministrazione di lavoro può essere accostato, per taluni aspetti, al contratto a tempo determinato, atteso che entrambe le fattispecie contrattuali costituiscono strumenti negoziali alternativi di ricorso a prestazioni lavorative temporanee.

I presupposti oggettivi di utilizzo tanto dell'uno quanto dell'altro tipo contrattuale consistono, nel vigore della disciplina che ha preceduto le più recenti modifiche introdotte dal D.L. n. 34/2014, nella presenza di ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo anche se riferite all'ordinaria attività dell'impresa, così come previsto, quanto al contratto a termine, dall'art. 1, comma 1, D. Lgs. 368/2001 e, quanto al contratto di somministrazione a tempo determinato, dall'art. 20, comma 4, D. Lgs. 276/2003.

La stessa simmetria si verifica, come suggerito dalla pronuncia della Suprema Corte n. 21001 con riferimento alla possibilità di ricorrere sia al contratto di somministrazione di lavoro a tempo determinato sia al contratto di lavoro a termine senza dover indicare una specifica esigenza aziendale per l'utilizzo/assunzione di lavoratori in mobilità (art. 20, comma 5 bis, D. Lgs. 276/2003 per la somministrazione a tempo determinato; art. 8, comma 2, L. 223/1991 per il contratto di lavoro a termine).

L'assimilazione tra le due fattispecie negoziali quanto ai presupposti oggettivi che ne legittimano il ricorso non elimina le sostanziali differenze che connotano e qualificano la somministrazione di lavoro sul piano tecnico/giuridico rispetto al contratto di lavoro a termine. Entrambe le pronunce in commento sottolineano, in questo senso, che il contratto di somministrazione è un contratto commerciale tipico avente ad oggetto la fornitura professionale di manodopera, mediante il quale l'impresa utilizzatrice è abilitata ad avvalersi temporaneamente del lavoratore, per tutta la durata della missione, senza che si costituisca un rapporto contrattuale diretto con quest'ultimo.

Dal combinato disposto degli artt. 2, comma 1, lett. a), e 20, comma 1, D. Lgs. 276/2003 si ricava che la somministrazione di lavoro vede il coinvolgimento di tre soggetti (rispettivamente, il lavoratore somministrato, l'agenzia di somministrazione e l'impresa utilizzatrice) tra loro vincolati sulla base di due specifici contratti: il contratto commerciale di somministrazione che l'utilizzatore conclude allo scopo di poter usufruire delle prestazioni di lavoro temporaneo di uno o più lavoratori e il contratto di lavoro sottostante – che può essere a termine o a tempo indeterminato, nel quale ultimo caso si utilizza, in gergo tecnico, la definizione di “staff leasing” – concluso tra agenzia per il lavoro e il lavoratore inviato in missione. Le due sentenze della Suprema Corte nn. 21000 e 21001 precisano, a questo proposito, che i due singoli contratti, pur avendo ciascuno causa e oggetto propri, sono funzionalmente collegati per la reciproca integrazione degli interessi economici e danno luogo ad una separazione tra la titolarità giuridica del rapporto di lavoro (che compete al somministratore) e la gestione tecnico/produttiva del rapporto stesso (che compete, invece, all'utilizzatore).

Ad ulteriore conforto della presenza di sostanziali elementi di distinzione tra le due tipologie negoziali, la pronuncia n. 21000 del 5 ottobre 2014 richiama la recente sentenza della Corte di Giustizia 11 aprile 2013, Della Rocca, in causa C-290/2012, la quale ha ribadito come siano diverse le fonti europee di riferimento del contratto a termine (Direttiva n. 1999/70/CE) e della somministrazione a tempo determinato (Direttiva n. 2008/104/CE), trattandosi di due fattispecie giuridiche regolate in maniera differente dal diritto comunitario, con la conseguenza che, per tale motivo, non è possibile applicare al lavoratore somministrato la medesima disciplina prevista per il lavoratore a termine.

Muovendo da queste considerazioni, appare giustificata, secondo la sentenza della Corte di Cassazione n. 21001 del 6 ottobre 2014, la differente valutazione sui requisiti formali che devono presiedere alla instaurazione del contratto di somministrazione di lavoro nella modalità a tempo determinato rispetto al contratto a termine ordinario. Con riferimento alla causale del contratto di somministrazione a tempo determinato, che era richiesta obbligatoriamente prima dei recenti interventi legislativi operati dalla L. 92/2012 (Riforma Fornero) e, da ultimo, dal D.L. n. 34/2014 (D.L. Poletti), un indirizzo significativo della giurisprudenza, cui si associa la Suprema Corte nella pronuncia in esame, ha affermato che le esigenze tecniche, organizzative, produttive o sostitutive non debbono essere indicate in sede contrattuale con quel grado di specificità che è richiesto, invece, per l'attivazione del contratto a termine.

Si tratta di un approdo cui la giurisprudenza di legittimità è pervenuta in parallelo ad una serie di decisioni della giurisprudenza di merito, tale per cui è idonea a legittimare sul piano formale il contratto di somministrazione a termine una enunciazione della causale sufficientemente intellegibile, anche se non specifica e dettagliata, a condizione che in giudizio sia fornita la prova della effettiva esistenza delle ragioni aziendali indicate e del nesso di causalità con il ricorso alla somministrazione a tempo determinato (Cass. 15 luglio 2011 n. 15610 e Cass. 21 febbraio 2012 n. 2521).

Con la sentenza n. 21001 del 6 ottobre 2014 la Corte di Cassazione ha affrontato anche la tematica relativa alla questione del risarcimento dovuto al lavoratore a seguito della conversione a tempo indeterminato del contratto di somministrazione irregolare, facendosi questione se si dovesse, o meno, applicare l'indennità omnicomprensiva fissata dall'art. 32, comma 5, L. 183/2010 (il Collegato Lavoro) in misura compresa tra 2,5 e 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.

La Corte di Cassazione fa propria la interpretazione di tipo sostanzialista per la quale nel raggio di applicazione dell'art. 32, comma 5, L. 183/2010 rientrano le forme contrattuali, tra cui la somministrazione di lavoro, caratterizzate dall'elemento della temporaneità. La Corte di Cassazione afferma, in proposito, che l'art. 32, comma 5, fa riferimento all'istituto del contratto a tempo determinato con una formulazione unitaria, indistinta e generale, che non può intendersi limitata alla sola fattispecie del contratto a tempo determinato di cui al D. Lgs. 368/2001.

Questa stessa lettura è stata offerta da altre pronunce della giurisprudenza di legittimità, anche molto recenti (Cass. 8 settembre 2014 n. 18861), le quali hanno segnalato che il regime risarcitorio previsto dall'art. 32, comma 5, L. 183/2010 ricorre in presenza del duplice presupposto della natura temporanea del contratto di lavoro e della insorgenza di un fenomeno di conversione del contratto a termine in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. La sentenza n. 21001 fa proprio questo orientamento e precisa che si ha conversione del contratto a tempo determinato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato anche se tale effetto si accompagna alla sostituzione del titolare del rapporto di lavoro, che nel caso della somministrazione irregolare è l'impresa utilizzatrice.

Sempre a questo proposito, si precisa, ripercorrendo il precedente orientamento di altra recente pronuncia della Suprema Corte (Cass. 29 maggio 2013 n. 13404), che ad avvalorare la tesi della estensione della disciplina sull'indennizzo risarcitorio ex art. 32, comma 5, L. 183/2010 alla somministrazione di lavoro a tempo determinato soccorre l'art. 1, comma 13, L. 92/2012, il quale, con una disposizione interpretativa del medesimo art. 32, comma 5, ha fatto riferimento al provvedimento giudiziale di “ricostituzione” del rapporto di lavoro. Si legge in sentenza che tale locuzione appare decisiva, in quanto l'utilizzazione del termine “ricostituzione” segnala che il concetto di conversione ricomprende non solo il provvedimento di natura dichiarativa, ma anche il provvedimento di natura costitutiva che si realizza in presenza di conversione della somministrazione irregolare in rapporto di lavoro a tempo indeterminato ex art. 27, comma 1, D. Lgs. 276/2003.

Le conclusioni

Le due sentenze della Suprema Corte sono rappresentative di una serie di tematiche che, con alterne posizioni interpretative, hanno indubbiamente irrigidito e reso meno agevole l'utilizzo dei contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato nel mercato del lavoro.

Dalle aule di giustizia è emerso un numero elevato di controversie proprio sulla corretta qualificazione formale dei contratti di lavoro temporaneo, tra cui in primis la somministrazione a termine, e più di recente anche sulla misura dell'indennizzo risarcitorio conseguente all'accertamento della somministrazione irregolare.

Le due pronunce della Suprema Corte nn. 21000 e 21001 hanno il pregio di ricostruire con efficacia i tratti distintivi della somministrazione di lavoro a tempo determinato e di offrire un quadro completo ed aggiornato sui più recenti approdi della giurisprudenza.

Fonti giurisprudenziali

Precedenti giurisprudenziali sui requisiti formali del contratto di somministrazione a tempo determinato:

Corte di Cassazione, Sez. Lav. 15 luglio 2011, n. 15610

Corte di Cassazione, Sez. Lav. 21 febbraio 2012, n. 2521

Precedenti giurisprudenziali sull'applicabilità dell'indennità omnicomprensiva di cui all'art. 32, comma 5, L. 183/2010 al contratto di somministrazione a tempo determinato irregolare:

Corte di Cassazione, Sez. Lav., 8 settembre 2014, n. 18861

Corte di Cassazione, Sez. Lav., 29 maggio 2013 n. 13404

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