Il complesso meccanismo della modifica del CCNL applicabile: tra vincolo associativo, condotta antisindacale e contrattazione individuale

Matteo Verzaro
12 Gennaio 2017

Costituisce condotta antisindacale la violazione dell'accordo, concluso per fatti concludenti a livello sia collettivo sia individuale, con il quale è stato recepito il CCNL da applicare ai lavoratori e, con esso, anche la clausola relativa all'efficacia temporale dello stesso contratto.
Massime

Sentenza Trib. Roma 28 luglio 2016, n. 83750: costituisce condotta antisindacale la violazione dell'accordo, concluso per fatti concludenti a livello sia collettivo sia individuale, con il quale è stato recepito il CCNL da applicare ai lavoratori e, con esso, anche la clausola relativa all'efficacia temporale dello stesso contratto.

Sentenza Trib. Torino 13 ottobre 2016, n. 1743: è illegittimo il comportamento del datore di lavoro che recede dal CCNL fino ad allora applicato al personale dipendente in forza dell'adesione all'associazione imprenditoriale firmataria.

I casi

Entrambe le decisioni affrontano il tema della modificazione del CCNL applicato in azienda con un diverso CCNL.

Nel primo caso, il datore di lavoro – non iscritto ad alcuna associazione imprenditoriale – ha deciso unilateralmente di sostituire, prima della scadenza, il CCNL fino ad allora applicato e recepito attraverso un accordo concluso per fatti concludenti a livello sia collettivo sia individuale.

Nel secondo, il datore di lavoro volendo avvalersi di un CCNL diverso da quello applicato, ha esercitato il recesso da quest'ultimo CCNL intendendo in tal modo estinguere l'obbligo di rispettare tale CCNL, senza sciogliersi dal vincolo associativo con l'associazione stipulante.

La questione

La questione che emerge in entrambe le decisioni è quella della modifica unilaterale da parte del datore di lavoro del CCNL applicato.

Per comprendere la questione è necessario analizzare in via preliminare il fatto costitutivo dell'obbligo ad applicare un contratto collettivo che consegue:

  1. al vincolo che lega il datore di lavoro all'associazione imprenditoriale firmataria del contratto;
  2. al rinvio contenuto nella lettera d'assunzione del singolo lavoratore;
  3. al recepimento del CCNL da parte del contratto aziendale attraverso l'accordo con le R.s.a. o con la R.s.u.

È altresì necessario evidenziare che l'obbligo di applicare il CCNL si può estinguere a fronte:

  1. del recesso dall'associazione imprenditoriale firmataria;
  2. della modifica convenuta con il lavoratore della clausola di rinvio contenuta nella lettera d'assunzione;
  3. del recesso esercitato dal datore di lavoro dal contratto aziendale di recepimento del CCNL.
Le soluzioni giuridiche

È noto che, seppur per il contratto collettivo di diritto comune non vige l'art. 2070 c.c. (e quindi il datore di lavoro è libero di scegliere quale CCNL applicare), il recesso dallo stesso non è consentito al singolo datore di lavoro in quanto non è parte stipulante del contratto collettivo nazionale.

La Cassazione, la cui posizione è a tutt'oggi consolidata in questo senso, ha affermato (Cass. sez. lav., 19 aprile 2011, n. 8994) che «nel contratto collettivo di lavoro la possibilità di disdetta spetta unicamente alle parti stipulanti, ossia alle associazioni sindacali e datoriali che di norma provvedono anche a disciplinare le conseguenze della disdetta; al singolo datore di lavoro, pertanto, non è consentito recedere unilateralmente dal contratto collettivo, neppure adducendo l'eccessiva onerosità dello stesso, ai sensi dell'art. 1467 c.c., conseguente ad una propria situazione di difficoltà economica, salva l'ipotesi di contratti aziendali stipulati dal singolo datore di lavoro con sindacati locali dei lavoratori».

E che pertanto «l'unica via per sottrarsi a tale efficacia è quella del recesso dall'associazione», in quanto «il contratto collettivo costituisce un "atto normativo" con efficacia vincolante per il singolo aderente alle associazioni stipulanti, cui non pertengono poteri modificativi della suddetta regolamentazione» (Cass. civ., sez. VI, 4 settembre 2014, n. 18715).

Una corrente minoritaria della giurisprudenza rileva che «il recesso unilaterale dell'imprenditore dal contratto collettivo a tempo indeterminato non comporta la risoluzione dei contratti individuali in corso, che rimangono efficaci fino a nuovi e contrari accordi, collettivi o individuali, ma comporta solo che l'imprenditore non ne sia vincolato in sede di stipulazione dei nuovi contratti individuali», risultando altrimenti violato il principio dell'art. 1372, comma 1, c.c. (Cass. sez. lav., 7 marzo 2002, n. 3296).

Resta comunque ferma per le parti stipulanti la facoltà di recesso dal contratto collettivo senza predeterminazione di un termine di efficacia, non essendo consentiti vincoli perpetui per le parti firmatarie e nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede (Cass. sez. lav., 28 ottobre 2013, n. 24268).

Osservazioni

Le due decisioni in commento intervengono sulla sostituzione, in via unilaterale, del CCNL applicato, sanzionando la condotta del datore di lavoro, ma non sempre sciogliendo i nodi del problema.

Innanzitutto, si può notare che il contratto collettivo di categoria si collega direttamente al rapporto di lavoro, sussistendo – molto spesso – un rinvio, ovvero un recepimento, nella lettera d'assunzione del singolo lavoratore.

In entrambi i casi, i giudici muovono dal contratto individuale: quello romano, in quanto l'applicazione continuativa del CCNL aveva dato luogo ad un accordo individuale per fatti concludenti; quello torinese, in quanto il CCNL era stato adottato a seguito dell'adesione del datore di lavoro all'associazione stipulante.

È bene notare che, per giurisprudenza consolidata, nel nostro ordinamento non opera l'art. 2070 c.c., così che la scelta del CCNL da applicare è rimessa all'autonomia delle parti.

Il giudice di Roma riscontra nella modifica unilaterale una violazione dell'accordo individuale, poiché la sostituzione del CCNL lede i lavoratori «che ritengano, nella loro autonomia negoziale individuale, maggiormente rispondente ai loro interessi il mantenimento dell'applicazione del CCNL Confcommercio».

L'obbligo ad applicare il CCNL, in questo caso, deriva dall'accordo concluso tra lavoratore e datore che può essere modificato solo consensualmente, con la conseguenza che il lavoratore potrà valutare, a fronte di una proposta del datore di lavoro di modificare il CCNL richiamato nella lettera di assunzione, la convenienza ad assoggettare il rapporto individuale di lavoro alla regolamentazione collettiva prevista da un diverso CCNL. Nel caso in esame si deve evidenziare che il datore di lavoro non era iscritto ad alcuna associazione e dunque l'autonomia negoziale delle parti del contratto individuale ben poteva esercitarsi nell'individuare il CCNL applicabile.

Se, quindi, l'individuazione del CCNL applicabile al rapporto di lavoro deriva da un atto negoziale, occorre esaminare quali siano tali atti.

In primis l'adesione del datore di lavoro all'associazione imprenditoriale stipulante il CCNL, da cui discende un vincolo, appunto associativo, all'applicazione del contratto.

Il giudice di Torino riscontra l'appartenenza dell'impresa alle associazioni locali Assolombarda e Unindustria di Roma e, per tal via, a Federmeccanica, con il conseguente obbligo all'applicazione del CCNL metalmeccanico.

La ricostruzione operata dal tribunale torinese sembra fondarsi sul mandato a contrarre che verrebbe conferito all'atto dell'adesione all'associazione da parte del datore di lavoro e, dunque, il vincolo del mandante a dare applicazione al negozio concluso dal mandatario.

Tuttavia, la teoria del mandato non esaurisce la fattispecie, in quanto il vincolo associativo comporta, per il datore di lavoro che lo contrae, l'assunzione dell'obbligazione ad applicare il contratto collettivo e non un separato contratto di mandato per la stipula dello stesso.

In questo caso, è interessante notare come l'impresa applicasse due contratti collettivi (CCNL metalmeccanici e CCNL terziario) in virtù della presumibile iscrizione (anche se la sentenza ne evidenzia solo una) a due associazioni di categoria: Federmeccanica e Confcommercio. La scelta del datore di lavoro di sostituire il CCNL metalmeccanici senza recedere dal vincolo associativo intercorrente con Federmeccanica viene sanzionata dal giudice, in quanto il datore di lavoro, non essendo parte del CCNL, non può esercitare il recesso consentito solo alle parti stipulanti; ciò che, invece, rileva è l'estinzione del rapporto associativo che lega il datore di lavoro all'associazione stipulante il CCNL.

Una volta che sia stato esercitato il recesso nei confronti dell'associazione stipulante si pone l'ulteriore problema della clausola di rinvio contenuta nei contratti individuali e del vincolo da essa derivante. In questo caso il datore di lavoro non potrà sostituire unilateralmente il CCNL applicato in forza della clausola di rinvio presente nei contratti individuali. Tale modifica, infatti, dovrà essere concordata con il lavoratore.

Sennonché nella loro autonomia individuale, le parti possono comunque dare applicazione ad un diverso contratto collettivo, ma ciò, certamente, in assenza di vincolo associativo del datore di lavoro.

Nel caso all'attenzione del Tribunale di Roma, infatti, le imprese non erano soggette ad alcun vincolo associativo e il CCNL veniva applicato in esecuzione del rinvio contenuto in un accordo aziendale, concluso per comportamento concludente. Rinvio che recepiva l'intero CCNL ed anche la clausola relativa all'efficacia temporale del CCNL.

In questo caso, il datore di lavoro potrà recedere dal contratto collettivo aziendale in quanto parte di questo, ma l'antisindacalità viene a configurarsi in quanto gli effetti del recesso dal contratto aziendale di recepimento del CCNL potranno prodursi soltanto dalla data di scadenza di tale CCNL, atteso che con il suo recepimento le parti si erano vincolate anche ad applicare il CCNL per tutto il periodo della sua vigenza.