Legge di Bilancio 2017: autonomia della contrattazione aziendale nella definizione della retribuzione e del welfare aziendale

14 Febbraio 2017

La riforma introdotta con i Decreti attuativi della L. n. 183/2014, ha incrementato gli spazi di autonomo intervento della contrattazione aziendale. Il cambiamento di prospettiva, rispetto ad una disciplina che era fortemente imperniata sul livello nazionale, appare evidente e costituisce il tentativo di spostare sul piano locale la regolamentazione di aspetti non secondari del rapporto di lavoro. In questo più generale contesto si collocano le disposizioni della Legge di Bilancio 2017, che attribuiscono alla contrattazione di secondo livello la possibilità di introdurre e disciplinare, a beneficio della popolazione aziendale, una retribuzione variabile legata ai risultati e la convertibilità del premio, in tutto o in parte, in prestazioni e servizi di utilità sociale (il cd. welfare).
Introduzione

La riforma delle regole del mercato del lavoro introdotta con i decreti attuativi della Legge Delega (Legge 10 dicembre 2014, n. 183) ha incrementato gli spazi di autonomo intervento della contrattazione aziendale.

Pensiamo, solo per fare qualche esempio di maggior attualità, alla possibilità riconosciuta alle parti in azienda di stabilire ipotesi di legittima assegnazione ai dipendenti di mansioni del livello immediatamente inferiore nell'ambito della categoria di inquadramento (art. 3, comma 1, D. Lgs. 15 giugno 2015, n. 81), alla possibilità per i contratti aziendali di derogare ai limiti numerici di legge sul ricorso ai contratti a termine (art. 23, comma 1, D. Lgs. n. 81/2015), oppure alla possibilità - già presente con lo Statuto dei Lavoratori, ma oggi inserita in un contesto normativo più moderno - di stipulare intese a livello aziendale sull'impiego di impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo a distanza (art. 23, comma 1, D. Lgs. 14 settembre 2015, n. 151).

La contrattazione di secondo livello, nel quadro della riforma, ha assunto una centralità che ben si riflette nella disposizione del decreto sul riordino delle tipologie contrattuali per cui il semplice riferimento ai “contratti collettivi”, in assenza di espressa previsione contraria, è da intendersi alla contrattazione collettiva di ogni livello, compreso quello aziendale (art. 51, comma 1, D. Lgs. n. 81/2015).

Il cambiamento di prospettiva, rispetto ad una disciplina che, con l'eccezione dell'(invero scarsamente applicato) art. 8, D.L. 13 agosto 2011, n. 138, era fortemente imperniata sul livello nazionale di contrattazione, appare evidente e costituisce il tentativo di spostare sul piano locale la regolamentazione di aspetti non secondari del rapporto di lavoro, in funzione delle sempre più marcate differenze che si registrano nel tessuto produttivo.

In questo più generale contesto si collocano le disposizioni della Legge di Bilancio per il 2017 (L. 11 dicembre 2016, n. 232) che, proseguendo il cammino intrapreso con la manovra finanziaria per il 2016 (L. 28 dicembre 2015, n. 208), attribuiscono alla contrattazione di secondo livello (quindi, territoriale e aziendale) la possibilità di introdurre e disciplinare, a beneficio della popolazione aziendale, l'attribuzione di una retribuzione variabile legata ai risultati e la convertibilità del premio, in tutto o in parte, in prestazioni e servizi di utilità sociale (il c.d. welfare).

Le misure sul premio variabile di risultato e sul welfare aziendale costituiscono un tentativo di spostare il baricentro delle politiche retributive dal livello nazionale di contrattazione, dove i valori salariali sono definiti in modo sostanzialmente uniforme per tutti i lavoratori di ciascun comparto merceologico/produttivo, verso un decentramento su base locale, allo scopo di collegare almeno una parte della retribuzione agli incrementi produttivi o, ad esempio, al maggior grado di efficienza registrati aziendalmente (si vedano, in questa prospettiva, gli interventi di P. Ichino “Contrattazione: le quattro ragioni per una svolta”; “L'intervento allo studio del governo in tema di contrattazione”; “Intervista sulla crisi del sistema italiano delle relazioni industriali”, in www.pietroichino.it; ma anche, per una riflessione sulle posizioni critiche delle confederazioni sindacali, G. Cazzola, “Riforma della contrattazione: Cgil, Cisl e Uil pretendono di far girare all'indietro la moviola della storia”, in www.bollettinoadapt.it).

Al contempo, l'allargamento del “paniere” di prestazioni e servizi welfare che non rientrano nella nozione di reddito di lavoro e possono essere riconosciuti mediante accordo collettivo (senza perdere, per ciò stesso, il regime di esenzione fiscale e contributiva) è un tentativo per sopperire alla crescente incapacità dello Stato di garantire adeguatamente alla collettività i primari servizi socio-assistenziali, quali l'istruzione, la casa, la sanità e la previdenza (alcuni spunti possono leggersi, sotto questo profilo, in M. Leonardi, “L'arma del welfare per la contrattazione aziendale”, in www.lavoce.info; D. Grandi, “ Il welfare aziendale nella medio e grande impresa: esperienze di successo”, in www.bollettinoadapt.it; G. Bonati, “Welfare e detassazione, importanti novità dalla Legge di Bilancio”, in Guida al lavoro, 2, 2017).

La Legge di Bilancio 2017

Alla luce delle nuove disposizioni introdotte dalla L. 11 dicembre 2016, n. 232 (Legge di Bilancio 2017) vengono implementate le misure dirette a favorire il ricorso da parte delle imprese al welfare aziendale ed al premio di risultato.

Abbiamo anticipato, ma è il caso di ritornarci sopra, che le politiche del lavoro in materia di welfare aziendale e di retribuzione variabile legata ai risultati hanno incontrato una decisa spinta con la L. 28 dicembre 2015, n. 208 (Legge di Bilancio 2016), la quale aveva reso strutturale l'istituto del premio di risultato (in precedenza soggetto ad autorizzazioni annuali) e introdotto la possibilità di usufruire della totale esenzione fiscale e contributiva (nei limiti di legge) per un variegato insieme di beni, prestazioni e servizi di utilità sociale (ivi compresi quelli di cui all'art. 100 TUIR) riconosciuti alla popolazione aziendale non solo su base volontaria, bensì anche attraverso accordo collettivo.

Le disposizioni introdotte con la finanziaria 2016 hanno dato buoni frutti, considerando che nel settore privato si è registrato un ricorso importante ai contratti aziendali volti a disciplinare il welfare e il premio variabile legato ai risultati. Dai recentissimi dati diffusi dal Ministero del Lavoro (Comunicato del 16 gennaio 2017) emerge, in questo senso, che oltre 18.000 sono i contratti di secondo livello depositati nell'ultimo anno.

Le nuove misure implementate con la Legge di Bilancio 2017 vanno in questa direzione e si propongono di rendere più appetibile il ricorso al welfare aziendale e al premio di risultato come strumenti volti, da un lato, a legare parte della retribuzione alla performance dell'azienda e, d'altro lato, ad incrementare l'offerta di prestazioni e servizi di utilità sociale per i dipendenti ed i loro familiari.

Vediamo in maggior dettaglio, sulla base della nuova manovra di bilancio, le misure di cui dispone oggi la contrattazione collettiva su base aziendale.

Premio di risultato

Il meccanismo introdotto con la Legge di Bilancio 2016 prevedeva, in sintesi, la possibilità di istituire premi di risultato - per tali dovendosi intendere le somme di ammontare variabile riconosciute ai lavoratori in presenza di incrementi di produttività, redditività, efficienza, qualità e innovazione - attraverso la stipula di contratti aziendali o territoriali, nei quali siano stati previsti criteri oggettivi di misurazione e verifica degli incrementi conseguiti dai dipendenti mediante indicatori numerici (o di altro genere).

L'importo del premio di risultato non poteva superare la soglia di 2.000 euro, elevabile a 2.500 euro se il contratto collettivo avesse previsto meccanismi di coinvolgimento paritetico dei lavoratori nella organizzazione del lavoro, e si applicava esclusivamente ai lavoratori che, nell'anno precedente alla percezione del premio, avessero conseguito un reddito di lavoro dipendente non superiore ad euro 50.000.

La Legge di Bilancio 2017 interviene in questa materia e prevede che la platea dei beneficiari sia elevata ai percettori di un reddito di lavoro dipendente, da misurare sempre con riferimento all'anno precedente quello di pagamento del premio variabile, pari a 80.000 euro.

Inoltre, la soglia massima del premio di risultato viene alzata ad euro 3.000, ulteriormente incrementabile ad euro 4.000 se l'impresa ha previsto di coinvolgere pariteticamente i lavoratori nella propria organizzazione.

A questo proposito, il coinvolgimento “paritetico” dei lavoratori si realizza, così come previsto da D.M. 25 marzo 2016, quando i lavoratori, per effetto di una previsione del contratto collettivo, partecipano attivamente alla organizzazione del lavoro in azienda.

In via esemplificativa, il decreto cita l'ipotesi della costituzione di gruppi di lavoro misti (lavoratori e responsabili aziendali) per attività finalizzate al miglioramento o all'innovazione di aree produttive, nei quali siano previsti sistemi di monitoraggio e di consultazione, oltre alla predisposizione di rapporti periodici sui risultati conseguiti.

Trasformazione del premio di risultato in welfare aziendale

La Legge di Bilancio 2016 aveva previsto che alle somme erogate sotto forma di premio di risultato si applichi una imposta sostitutiva del 10%, che ricomprende non solo l'IRPEF, ma anche le addizionali regionali e comunali.

A questo primo beneficio, si accompagnava la possibilità per i lavoratori di sostituire, in tutto o in parte, l'ammontare del premio di risultato da essi maturato con il pacchetto di prestazioni, opere e servizi di welfare messo a disposizione dall'impresa. In tal caso, optando per la conversione del premio in welfare, l'importo speso in beni e servizi di utilità sociale non è più soggetto ad imposta sostitutiva, ma gode di totale esenzione fiscale e contributiva.

Si tratta di una delle rilevanti novità della Finanziaria 2016 che sono state confermate anche per il 2017.

Per poter usufruire di questa facoltà, è necessario che la relativa regolamentazione sia prevista nell'ambito dell'accordo collettivo (aziendale o territoriale) sul premio di risultato.

Welfare aziendale

La Legge di Bilancio 2016 aveva eliminato la condizione della volontarietà come requisito per riconoscere le prestazioni welfare di cui all'art. 100, comma 1, TUIR in regime di esenzione, con la conseguenza che adesso i beni e servizi di utilità sociale erogati per finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto (giustappunto previsti dall'art. 100, comma 1) sono soggetti a totale esenzione fiscale e contributiva anche se riconosciuti in forza di un accordo collettivo.

Si tratta di una misura che ha ampliato considerevolmente l'ambito dei beni e servizi di utilità sociali che possono essere riconosciuti in forza di regolamentazione contrattuale collettiva, senza perdere, per ciò stesso, il carattere di prestazioni welfare che non concorrono a formare reddito di lavoro dipendente.

La manovra Finanziaria 2017 con norma di interpretazione autentica ha chiarito che i contratti collettivi legittimati alla introduzione delle citate misure welfare sono quelli che si sviluppano a tutti i livelli, ovvero: accordi interconfederali, contratti collettivi nazionali di lavoro, contratti territoriali e, evidentemente, accordi aziendali.

Un intervento di sicuro impatto della Legge di Bilancio 2017 risiede nell'allargamento del paniere di beni e servizi che beneficiano di totale esenzione fiscale e contributiva - in quanto espressamente inclusi tra le forme di welfare aziendale che non concorrono a formare reddito di lavoro dipendente - ai contributi e premi versati dall'impresa per prestazioni, anche in forma assicurativa, che hanno ad oggetto il rischio di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana o il rischio di gravi patologie.

Il riferimento, alla luce del rinvio operato dalla norma al Decreto Ministeriale 27 ottobre 2009 n. 12, è alle prestazioni sanitarie e alle prestazioni sociali, tra cui l'assistenza tutelare, l'aiuto personale nello svolgimento delle attività quotidiane, l'aiuto domestico familiare e la promozione di attività di socializzazione. Il tutto, sia con riferimento all'assistenza della persona a domicilio, sia all'assistenza presso strutture residenziali e semi-residenziali.

Ma la novità forse maggiore in tema di welfare risiede nella possibilità di ricorrere senza più alcun limite di spesa (ai fini della totale esenzione) ai contributi alle forme pensionistiche complementari e ai contributi di assistenza sanitaria a beneficio della popolazione aziendale, nel caso in cui a tali prestazioni abbia optato il dipendente in sostituzione (parzialmente o per l'intero) del premio di risultato.

È tuttora previsto, in proposito, che detti contributi non costituiscano reddito di lavoro dipendente solo fino ad una certa soglia, la cui misura è di euro 5.164,57 con riguardo alle forme di previdenza complementare (art. 8, co. 4 e 6, D.Lgs. n. 252/2005) e di euro 3.615,20 con riferimento all'assistenza sanitaria (art. 51, co. 2, TUIR).

Con la Legge di Bilancio 2017 tale limite non opera più in relazione ai contributi alle forme pensionistiche complementari e ai contributi di assistenza sanitaria cui il dipendente abbia optato in sostituzione, in tutto o in parte, del premio di risultato.

Dunque, quand'anche l'importo dei contributi versati dal datore di lavoro a titolo di previdenza complementare e di assistenza sanitaria, per effetto della decisione dei lavoratori di spostare il proprio premio variabile verso queste forme di welfare aziendale, superasse l'ammontare massimo previsto dalla vigente normativa fiscale, l'intero valore (anche quello eccedente la soglia massima) si considera esente.

Esempio

Il datore di lavoro versa contributi alla previdenza complementare dei propri dipendenti per euro 4.000 ciascuno. Alcuni tra questi dipendenti, che hanno maturato il premio di risultato per euro 3.000, decidono di convertirlo integralmente in una forma pensionistica complementare ricompresa nel paniere di prestazioni welfare aziendali.

Ebbene, l'intero importo destinato alla contribuzione complementare, benché il suo valore (euro 7.000) sia superiore a quello esente ai sensi dell'art. 8, D.Lgs. n. 252/2005 (euro 5.164,57), non costituirà in questo caso reddito di lavoro dipendente.

Allo stesso regime di esenzione, per effetto della Legge di Bilancio 2017, accede il valore delle azioni ricevute dai lavoratori in sostituzione, parzialmente o per l'intero, del premio di risultato, al quale non si applicherà il limite di euro 2.065,82 previsto dall'art. 51, co. 2, lett. g) del TUIR per le azioni offerte alla generalità dei dipendenti.

Laddove, dunque, i dipendenti optino per la conversione in azioni, in tutto o in parte, del premio di risultato da essi maturato, non vi saranno limiti di soglia e l'intero valore non costituirà reddito di lavoro dipendente. Inoltre, in questo caso non si applicheranno le ulteriori condizioni previste dal citato art. 51 per poter beneficiare del regime di esenzione (ovvero, che le azioni non siano riacquistate dal datore di lavoro o cedute prima di 3 anni).

Conclusioni

Il nuovo pacchetto di misure previsto dalla Legge di Bilancio 2017 aumenta gli spazi della contrattazione aziendale al fine di agganciare una parte (più robusta) della retribuzione ai risultati dell'impresa beneficiando dell'imposta sostitutiva al 10%.

Non è un traguardo di poco conto, perché non solo viene aumentato ad euro 4.000 l'importo massimo del premio di risultato soggetto ad aliquota ridotta, ma viene innalzata in modo importante la platea dei beneficiari, che ricomprende ora i percettori di reddito di lavoro fino ad 80.000 euro.

Il risparmio per le imprese, peraltro, è interessante non solo per l'agevolazione fiscale che si ha con l'introduzione di accordi aziendali che istituiscono una remunerazione variabile direttamente collegata agli incrementi (di produttività, di qualità, di innovazione, etc.) registrati in azienda, ma anche per i vantaggi che derivano dalla possibilità di istituire un welfare aziendale totalmente detassato e decontribuito, cui i lavoratori potranno accedere (a seconda di quanto si prevede nell'accordo aziendale) in alternativa o in aggiunta alla retribuzione di risultato.

Sotto questo aspetto, l'ultima manovra fiscale ha dato una grossa mano, perché l'eliminazione del limite di spesa ai contributi alle forme pensionistiche complementari e ai contributi di assistenza sanitaria, sin qui soggetti ad un “kap” oltre il quale si perdeva ogni agevolazione, consentirà alle imprese di ricorrere in modo più massiccio a queste due forme di welfare – in assoluto, tra le più ambite - nell'ambito di accordi aziendali che prevedano la convertibilità del premio di risultato in prestazioni di utilità sociale.

Motore di questa riforma è la stipula di accordi di secondo livello, che costituiscono il presupposto che la legge pone per poter beneficiare in misura piena delle agevolazioni che la manovra finanziaria del 2017 ha arricchito di nuovi contenuti.

Le spese sostenute per il welfare aziendale, del resto, sono interamente deducibili dal reddito di impresa a condizione che siano riconosciute a seguito di un accordo collettivo. Anche sotto questo aspetto, la previsione del welfare (così come della retribuzione variabile legata ai risultati) nell'ambito di un accordo aziendale mostra tutti i suoi vantaggi.

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