Sospensione della prescrizione per il riconoscimento delle prestazioni da infortunio sul lavoro e malattie professionali

Luigi Di Paola
10 Aprile 2015

La sospensione della prescrizione triennale dell'azione per il riconoscimento delle prestazioni da infortunio sul lavoro e malattie professionali, di cui all'articolo 111, secondo comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, opera limitatamente al decorso dei centocinquanta giorni previsti per la liquidazione amministrativa delle indennità dal terzo comma della stessa disposizione: la mancata pronuncia definitiva dell'INAIL entro il suddetto termine configura una ipotesi di «silenzio significativo» della reiezione dell'istanza dell'assicurato e comporta, quindi, l'esaurimento del procedimento amministrativo e, con esso, la cessazione della sospensione della prescrizione.
Massima

La sospensione della prescrizione triennale dell'azione per il riconoscimento delle prestazioni da infortunio sul lavoro e malattie professionali, di cui all'art. 111, secondo comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, opera limitatamente al decorso dei centocinquanta giorni previsti per la liquidazione amministrativa delle indennità dal terzo comma della stessa disposizione: la mancata pronuncia definitiva dell'INAIL entro il suddetto termine configura una ipotesi di «silenzio significativo» della reiezione dell'istanza dell'assicurato e comporta, quindi, l'esaurimento del procedimento amministrativo e, con esso, la cessazione della sospensione della prescrizione.

Il caso

Tizia, premesso di aver subito un infortunio sul lavoro in data 10 settembre 2001, conveniva in giudizio l'INAIL con ricorso del 22 aprile 2005, per sentir accertare il suo diritto alla corresponsione di una rendita rapportata all'accertato grado di inabilità. L'INAIL eccepiva che l'atto interruttivo rappresentato dalla domanda giudiziale era intervenuto a prescrizione oramai maturata, essendo decorsi i tre anni più i centocinquanta giorni - nel corso del quale opera la sospensione della predetta prescrizione - previsti per l'esaurimento della procedura amministrativa di liquidazione. In primo grado e in appello l'eccezione veniva respinta sul rilievo che la durata della sospensione in questione è legata alla definizione effettiva – quand'anche non verificatasi entro i centocinquanta giorni - della procedura amministrativa. L'Istituto ricorrente, proponendo ricorso per cassazione, contestava tale opzione argomentativa.

In motivazione.

«Secondo l'interpretazione qui non condivisa la sospensione della prescrizione, una volta presentata l'istanza in via amministrativa, opera fino a quando l'INAIL non abbia definitivamente provveduto su di essa, sine die. Tuttavia è lo stesso successivo comma terzo dell'art. 111 a stabilire che "tale liquidazione, peraltro, deve essere esaurita" nel termine di 150 o 210 giorni – a seconda della prestazione richiesta - ed aggiunge che, "trascorsi tali termini senza che la liquidazione sia avvenuta, l'interessato ha facoltà di proporre l'azione giudiziaria". A parere del Collegio il dato letterale rappresentato dall'utilizzo del verbo che configura un obbligo procedimentale - la liquidazione amministrativa "deve essere esaurita" - unitamente alla considerazione che, decorsi i termini senza liquidazione, l'assistito può esercitare la tutela giudiziale del diritto preteso, consentono di affermare che l'inerzia provvedimentale dell'INAIL, protratta per il tempo previsto, configuri con chiarezza una ipotesi di "silenzio significativo" della reiezione dell'istanza amministrativa».

La questione

La questione in esame è la seguente: la durata della sospensione della prescrizione triennale dell'azione per il riconoscimento delle prestazioni da infortunio sul lavoro e malattie professionali è limitata al periodo di centocinquanta giorni previsti dalla legge per l'esaurimento della procedura amministrativa di liquidazione oppure si protrae fino a quando la predetta procedura non sia giunta effettivamente a conclusione?

Le soluzioni giuridiche

Il quadro normativo di riferimento è il seguente.

L'art. 112, primo comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 stabilisce che "L'azione per conseguire le prestazioni di cui al presente titolo si prescrive nel termine di tre anni dal giorno dell'infortunio o da quello della manifestazione della malattia professionale". L'art. 111, a sua volta, prevede che: "1. Il procedimento contenzioso non può essere istituito se non dopo esaurite tutte le pratiche prescritte dal presente titolo per la liquidazione amministrativa delle indennità. 2. La prescrizione prevista dall'art. 112 del presente decreto rimane sospesa durante la liquidazione in via amministrativa dell'indennità. 3. Tale liquidazione, peraltro, deve essere esaurita nei termine di centocinquanta giorni, per il procedimento previsto dall'art. 104 (…). Trascorsi tali termini senza che la liquidazione sia avvenuta, l'interessato ha facoltà di proporre l'azione giudiziaria".

Sulla questione interpretativa del dato normativo si fronteggiano due orientamenti:

a) quello, maggioritario e più risalente - che trova compiuta espressione nella sentenza in esame - secondo cui l'articolo 111 del d.P.R. n. 1124/1965 va interpretato nel senso che il decorso dei centocinquanta giorni per la liquidazione in via amministrativa della prestazione indennitaria prevista dal terzo comma della stessa disposizione, senza che l'Istituto si sia pronunciato, comporta il formarsi del silenzio rigetto, e quindi l'esaurimento del procedimento amministrativo e, con esso, la cessazione della sospensione della prescrizione” (in questo senso v., tra le altre, Cass. civ., sez. 6 - lav., ord. 30 agosto 2011, n. 17822; analogamente v., più di recente, Cass. civ., sez. lav., sent. 5 giugno 2013, n. 14212);

b) l'altro, imperniato sulla considerazione che “il termine di prescrizione delle azioni per conseguire le prestazioni dell'INAIL di cui all'art. 112 del d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 è sospeso durante la pendenza del procedimento amministrativo anche ove questo non si concluda nel termine di 150 giorni previsto dalla legge” (Cass. civ., sez. lav., sent. 21 giugno 2013, n. 15733).

Osservazioni

A fondamento del primo orientamento vi è il convincimento (già espresso, in origine, da Cass. civ., sez. lav., sent. 14 marzo 1991, n. 2662) che la predeterminazione ex lege del periodo massimo di sospensione risponda ad esigenze di carattere pubblicistico, quali la celerità degli accertamenti volti al riconoscimento della tutela assicurativa in prossimità dei fatti, che non consentono di attribuire rilevanza, rispetto a tale interesse generale, ad un interesse personale al prolungamento del termine di sospensione fino a comprendervi tutto l'iter amministrativo.

Peraltro la tesi in questione sarebbe, secondo la pronuncia in esame, l'unica in linea con il dato normativo, giacché se la procedura di liquidazione deve esaurirsi nel termine di 150 giorni, trascorso il quale l'interessato ha facoltà di proporre l'azione giudiziaria, ciò inevitabilmente implica che l'inerzia provvedimentale dell'INAIL, protratta per il tempo previsto, configura una ipotesi di “silenzio significativo” della reiezione dell'istanza amministrativa.

A supporto del secondo indirizzo vi è, principalmente, l'affermazione - tratta da una sentenza delle Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., sent. 16 novembre 1999, n. 783) - che l'efficacia sospensiva della prescrizione prevista dall'art. 111 del d.P.R. n. 1124 del 1965 “permane fino alla definizione del procedimento amministrativo di liquidazione”; l'affermazione in questione è agganciata all'idea che l'attribuzione della facoltà di agire in giudizio non comporta anche l'onere di agire, in pendenza del procedimento amministrativo (magari prossimo a chiudersi favorevolmente), onde evitare la prescrizione; al contrario, apparirebbe contraddittorio prevedere una fase amministrativa destinata a prevenire procedimenti giudiziari e allo stesso tempo forzarne la definizione entro un certo termine, impedendo all'assicurato di consentirne lo svolgimento onde tutelarsi contro la prescrizione.

Entrambe le descritte soluzioni presentano profili di plausibilità.

Tuttavia l'opzione fatta propria dalla sentenza in esame sembra maggiormente in linea con esigenze (attualmente particolarmente avvertite) di speditezza nella definizione delle vicende giuridiche e, conseguentemente, di certezza, entrambe suscettibili di esser assicurate mediante la fissazione di intervalli temporali il più possibile scanditi per l'agevole accertamento dei fatti (il cui accadimento, pertanto, non può esser troppo risalente nel tempo); né, del resto, è ragionevolmente immaginabile che una procedura amministrativa possa durare per un lasso di tempo eccessivo (magari tre o quattro anni), congelando al contempo il decorso della prescrizione.

Assai convincente, molto più di quello letterale (spesso controvertibile), è pertanto l'argomento logico – tratto da Cass. civ., sez. un., sent. 6 aprile 2012, n. 5572 - fondato sul principio “di settore” secondo cui, nell'ambito di diritti di natura previdenziale ed assistenziale che godono della speciale protezione di cui all'art. 38 Cost., laddove il procedimento amministrativo sia definito e l'azione giudiziale sia procedibile, la sospensione della prescrizione cessa.

In buona sostanza, il criterio orientatore che assicura equilibrio di sistema è quello fondato sulla predeterminazione del periodo entro il quale - al fine di evitare un prematuro e forse inutile contenzioso - l'Istituto deve pervenire alla liquidazione dell'indennità. Sennonché, spirato il periodo in questione, in cui l'obbligatoria attesa dell'interessato è compensata dalla sospensione del decorso della prescrizione, è data la facoltà di agire in giudizio per il conseguimento dell'indennità; e da tale momento, che segna la fine della valenza utile della procedura amministrativa (che in tal senso può definirsi ultimata, benché sarebbe più corretto parlare di scadenza della fase temporale per il relativo espletamento) alla riacquistata libertà di azione fa da contrappeso la perdita del beneficio della sospensione.

Il pur apprezzabile obiettivo di prevenire la fase del contenzioso giudiziario non sembra pertanto destinato a prevalere, nel sistema della legge, incondizionatamente.

Un elemento di complicazione è certamente offerto dalla possibilità dell'infortunato di interrompere la prescrizione in via stragiudiziale, qui producendosi una situazione di indeterminatezza temporale (correlata al nuovo decorso della prescrizione che in astratto legittima l'inerzia dell'infortunato medesimo per un altro triennio) analoga a quella sopra delineata.

Tuttavia, nel calibrare l'approccio ermeneutico occorre aver riguardo a quello che è l'assetto tendenziale prefigurato dal legislatore, senza accordare eccessivo peso alle “falle” che la contingenza può aprire nel sistema.

E, nel caso, risponde al normale andamento delle cose che l'infortunato agisca in giudizio - una volta scaduti vanamente i centocinquanta giorni - quanto prima, al fine di non veder frustrate le possibilità di un genuino accertamento dei fatti. L'ipotesi di una interruzione stragiudiziale non seguita, in tempi ravvicinati, dall'azione, costituisce, per converso, ipotesi eccezionale, che, peraltro, sposta il rischio di una difficoltà di accertamento dei fatti sull'interessato, a causa di una sua scelta.

In definitiva, una lettura dell'impianto normativo in chiave sollecitatoria (e sul punto v. anche C. cost., Sentenza 27 giugno 1997, n. 207) sembra quella più rispondente alle finalità di perseguimento di interessi generali, unitamente ai quali, peraltro, trovano adeguato soddisfacimento, in un contesto di normalità, anche quelli particolari.