Lavoratore pensionabile: licenziamento, proseguimento incentivato dell'attività e stabilità del posto

13 Giugno 2016

L'incentivazione prevista dall'art. 24, comma 4, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, conv. dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 non configura un diritto potestativo del lavoratore di scegliere se rimanere in servizio fino all'età di settanta anni, con conseguente legittimità – in assenza di qualsivoglia accordo con il datore di lavoro circa la prosecuzione del rapporto -, del licenziamento ad nutum intimato alla maturazione dei requisiti pensionistici.
Massime

Trib. Lucca 15 gennaio 2016, vai alla Sezione Casi e sentenze di merito

L'incentivazione prevista

dall'

art. 24,

comma 4, del d.l.

6 dicembre 2011, n. 201

, conv. dalla

legge 22 dicembre 2011, n. 214

non configura un diritto potestativo del lavoratore di scegliere se rimanere in servizio fino all'età di settanta anni, con conseguente legittimità – in assenza di qualsivoglia accordo con il datore di lavoro circa la prosecuzione del rapporto -, del licenziamento ad nutum intimato alla maturazione dei requisiti pensionistici.

Trib. Como 21 gennaio 2016, vai alla Sezione Casi e sentenze di merito

L'

art. 24 comma 4, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201

, conv. dalla

legge 22 dicembre 2011, n. 214

non consente la prosecuzione del rapporto di lavoro fino all'età di settanta anni in difetto di una volontà in tal senso della parte datoriale che può peraltro essere manifestata, anche implicitamente, per fatti concludenti, come l'esecuzione regolare del contratto dopo la maturazione dei requisiti pensionistici, con conseguente illegittimità, per insussistenza del fatto contestato, del licenziamento intimato per raggiunti limiti di età.

I casi

Trib. Lucca 15 gennaio 2016

Un lavoratore contestava la legittimità del licenziamento intimatogli al raggiungimento dei requisiti della pensione di vecchiaia, affermando il suo diritto a rimanere in servizio fino al compimento dell'età di 70 anni ai sensi dell'

art. 24,

comma 4

, della

legge n. 214 del 2011

, con conseguente reintegrazione nel posto di lavoro.

Trib. Como 21 gennaio 2016

Un lavoratore, dopo la maturazione dei requisiti per il collocamento a riposo conseguiti in data 26.12.2013 al compimento dell'età di 63 anni e tre mesi, aveva continuato regolarmente a lavorare per i successivi 14 mesi, fino al licenziamento per raggiunti limiti di età comunicatogli con lettera del 23.2.2015. Di tale licenziamento contestava la legittimità perché discriminatorio per ragioni di età o, in subordine, per violazione dell'

art. 24,

comma 4

, della

legge n. 214 del 2011

, che prevede la stabilità reale del posto di lavoro fino all'età di 70 anni.

Le questioni

Trattandosi delle prime pronunce di merito successive all'intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione sull'incentivazione per chi resta al lavoro oltre l'età pensionabile, prevista dal quarto comma dell'

art. 24

della legge di riforma delle pensioni del 2011, la prima questione esaminata, che allo stato può ritenersi chiusa, è se sia necessario un accordo delle parti sulla prosecuzione dell'attività lavorativa fino all'età di 70 anni, con estensione delle tutele previste dall'

art. 18 dello Statuto dei lavoratori

per il licenziamento illegittimo.

La seconda questione, densa di implicazioni e che rimane attualmente aperta, riguarda come e con quali modalità debba concludersi tale accordo. Qualora il lavoratore prosegua di fatto l'attività lavorativa anche dopo il raggiungimento del diritto alla pensione di vecchiaia, può ravvisarsi in ciò il riconoscimento di una volontà effettiva delle parti di consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro ai sensi, e con gli effetti, di cui al citato art. 24?

Ultima questione, anch'essa aperta, è quella del vizio del licenziamento intimato in violazione dell'art. 24. Trattasi di licenziamento discriminatorio, nullo oppure ingiustificato?

Le soluzioni giuridiche

Come si è appena detto, sulla prima questione entrambe le decisioni pubblicate condividono e confermano l'interpretazione fatta propria dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 17589 del 4 settembre 2015, nel senso di ritenere necessario l'accordo delle parti.

Contro gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali prevalenti, che postulavano una facoltà del lavoratore di scegliere, una volta maturati i requisiti per il collocamento a riposo, se andare in pensione o se rimanere in servizio fino al settantesimo anno di età, la S.C. ha precisato che il disposto dell'

art. 24,

comma 4

, della

legge n.

214

del 2011

nel prevedere che «il proseguimento dell'attività lavorativa è incentivato, fermi restando i limiti ordinamentali dei rispettivi settori di appartenenza, dall'operare dei coefficienti di trasformazione calcolati fino all'età di settanta anni», non attribuisce al lavoratore un diritto potestativo a proseguire il rapporto sino a tale età, a fronte del quale il datore di lavoro si trovi in una situazione di mera soggezione, bensì richiede l'accordo delle parti che «consensualmente stabiliscano la prosecuzione del rapporto sulla base di una reciproca valutazione di interessi».

In particolare, come ampiamente ricordato nella motivazione del Tribunale di Lucca che riporta interi brani della sentenza delle S.U., la norma in esame introduce la mera possibilità che, «grazie all'operare dei coefficienti di trasformazione calcolati fino all'età di settant'anni, si creino le condizioni per consentire ai lavoratori interessati la prosecuzione del rapporto di lavoro oltre i limiti previsti dalla disciplina del settore», sempreché vi sia un accordo delle parti a tale prosecuzione e «non crea alcun automatismo ma solo prefigura la formulazione di condizioni previdenziali che costituiscano un incentivo alla prosecuzione del rapporto di lavoro per un lasso di tempo che può estendersi fino a settant'anni».

Il Tribunale di Lucca ha quindi concluso che la pretesa del lavoratore di rimanere in servizio fino al compimento del settantesimo anno di età, in assenza della previsione di un suo diritto potestativo, restasse subordinata al consenso del datore di lavoro, nel caso di specie del tutto assente, avendo anzi il datore medesimo intimato il licenziamento alla maturazione dei requisiti pensionistici, esercitando legittimamente il proprio diritto di recesso dal rapporto.

Nella fattispecie esaminata dal Tribunale di Como, viceversa, il datore di lavoro aveva intimato il licenziamento ben 14 mesi dopo il raggiungimento del diritto alla pensione di vecchiaia,

durante i quali il rapporto di lavoro era regolarmente proseguito. Sulla base della circostanza che il recesso del datore di lavoro non era intervenuto al compimento dell'età pensionabile, bensì a notevole distanza di tempo dalla maturazione dei requisiti pensionistici, il Giudice ha ritenuto che si fosse formato un tacito accordo per il proseguimento dell'attività lavorativa del dipendente

ai sensi, e con gli effetti di stabilizzazione del rapporto, di cui all'art. 24. Ciò in considerazione del fatto che

nel nostro ordinamento vige il principio di libertà di forma (

art. 1350 c.c.

), con la conseguenza che l'accordo richiesto dalla lettura 'consensualistica' data dalle Sezioni Unite al disposto dell'art. 24 può essere concluso in forma libera, anche oralmente o per fatti concludenti,

tale essendo la decisione delle parti di continuare a dare esecuzione al rapporto

ben oltre il raggiungimento dell'età pensionabile.

Si tratta di un aspetto estremamente importante, sul quale risultano pochi precedenti editi dovuti alla prevalenza – fino al recente intervento delle Sezioni Unite – della tesi del diritto potestativo del lavoratore di rimanere in servizio fino a 70 anni. Per un caso simile, in cui si contestava (tra l'altro) che il licenziamento non fosse intervenuto

al compimento dell'età pensionabile bensì qualche mese dopo

,

v.

Trib. Roma 30 aprile 2014, che ha invece escluso la sussistenza del tacito accordo sulla base della mera continuazione, in quanto tale, della prestazione di lavoro per circa sei mesi.

Dall'esposizione dei fatti oggetto della decisione del Tribunale di Como non risulta

che vi fosse stata una esplicita richiesta del lavoratore di rimanere al lavoro dopo la maturazione dei requisiti pensionistici per fruire degli incentivi di cui all'art. 24 o una informale

discussione sul punto con la controparte, salva l'invocazione ex post della norma in questione quale ragione invalidante l'intimato licenziamento.

Secondo tale impostazione, poiché è la prestazione lavorativa resa dopo l'età pensionabile a costituire indice del mutuo consenso richiesto dall'art. 24, ben si comprende perché il datore di lavoro debba ritenersi onerato a manifestare tempestivamente il proprio dissenso, onde evitare il formarsi di un tacito accordo per il proseguimento dell'attività lavorativa del dipendente fino a 70 anni. L'apprezzamento di convenienza si esercita con il rifiuto della prestazione, derivandone, per usare parole della sentenza

del Tribunale di Como

,

«un vero e proprio onere del datore di lavoro di manifestare il proprio dissenso tempestivamente ossia prima del raggiungimento dell'indicato limite di età».

Se il lavoratore pensionabile continua a lavorare, si ha

l'accesso automatico alla stabilità del rapporto che impedisce al datore di esercitare il recesso per raggiunti limiti di età.

Ultima questione interpretativa è quella del tipo di vizio del licenziamento comminato in violazione dell'art. 24, resa difficoltosa dal fatto che l'

art. 18 dello Statuto dei lavoratori

richiamato dalla legge di riforma pensionistica del 2011 nel testo originario, è stato novellato dalla

legge 28 giugno 2012, n. 92

. che ha riservato la reintegrazione nel posto di lavoro solo ai vizi più gravi.

In termini generali, nel licenziamento ad nutum del lavoratore pensionabile, il Tribunale di Como ha correttamente escluso la discriminazione per età, inibita dal diritto comunitario, consolidando un orientamento giurisprudenziale formatosi sull'art. 24

(Trib. Genova 11 novembre 2013, in Riv. it. dir. lav. 2014, II, 373

;

App. Genova 8 gennaio 2014, inedita a quanto consta, secondo cui è «certamente possibile, anche in relazione all'

art. 6, n. 1, direttiva 2000/78

, che, per ragioni di politica del lavoro, il legislatore preveda discipline speciali per i lavoratori anziani, sotto il profilo delle minori tutele sul piano del rapporto di lavoro ed in correlazione ai diritti pensionistici maturati, sicché una qualificazione tout court (...) in termini discriminatori (per età), di un licenziamento fondato sul ricorrere del diritto a pensione nei termini previsti dal sistema previdenziale non può essere condivisa: anche perché (...) appunto il licenziamento non era dovuto solo all'età, ma proprio alla possibilità (...) di andare in pensione, sicché, se le norme (v. l'

art. 4

,

co. 2

,

l. 108/2000

) lo avessero consentito, difficilmente si potrebbe disconoscere una reale finalità discriminatoria e tutto si ricondurrebbe, nella sostanza, ad una disciplina di legge, inerente anche la politica del lavoro e come tale comunitariamente compatibile»).

Nel licenziamento comminato in violazione dell'art. 24, si è ravvisato un licenziamento nullo per contrasto con norma imperativa

ex

art. 1418 c.c.

, e come tale "riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge" secondo la formula dell' art. 18, 1° comma, nel testo novellato nel 2012

(

App. Torino 24 ottobre

2013

, inedita a quanto consta).

Il Tribunale di Como ha invece

consapevolmente forzato la regola della "insussistenza del fatto contestato"

, altra

formula del novellato art. 18, 4° comma

che dà diritto alla reintegrazione sia pure attenuata: ha ritenuto che il licenziamento oggetto di causa, intimato prima del settantesimo anno di età e per sole ragioni di pensionabilità, risultasse privo di un diverso e necessario giustificato motivo o giusta causa legittimanti il recesso,

condannando

il datore di lavoro al

la reintegrazione in servizio del dipendente ed al pagamento di tutte le retribuzioni medio tempore maturate, non risultando alcunché da dedurre a titolo di aliunde perceptum o percipiendum.

Osservazioni

Non si può non constatare come, dopo le varie letture cui è stato sottoposto, quello dell'

art. 24

sia diventato un singolare incentivo a rimanere al lavoro fino a 70 anni, all'insegna della piena liberà di valutazione del datore di lavoro circa la convenienza della prosecuzione del rapporto con il lavoratore pensionabile ed in ogni caso - se detta possibilità non interessa al datore di lavoro –, idonea a creare in capo al medesimo un onere di comportamento da assolvere tempestivamente con il recesso per raggiunti limiti di età.

Più che stabilizzare e riequilibrare la soluzione delle Sezioni Unite, si finisce per correggerla a favore del datore di lavoro

facendone derivare effetti controproducenti.

Se solo il tempestivo recesso datoriale può impedire l'ingresso del rapporto di lavoro che di fatto prosegua nel regime di stabilità, l'art. 24 finisce per operare incentivando il licenziamento tempestivo del lavoratore pensionabile. Qualora il datore decida

di lasciare in servizio il dipendente oltre l`età pensionabile, si preclude la facoltà di recedere dal rapporto sino al compimento del limite massimo di flessibilità (70 anni

ed oltre, essendo anche questo limite da adeguare alla speranza di vita).

Sul piano pratico, la più rilevante conseguenza dell'art. 24 rispetto all'assetto normativo preesistente – basato sulla convergenza degli interessi delle parti connotata da ampi margini di discrezionalità, nel comune convincimento che nel settore privato si può lavorare quanto (e fino a quando) si vuole, pur in assenza delle tutele dell'art. 18 in caso di licenziamento illegittimo – è che il datore di lavoro non potrà scegliere il momento che ritiene più adatto per licenziare il lavoratore pensionabile, proprio tenendo conto degli svantaggi (vincolo di giustificazione necessaria del licenziamento fino a 70 anni) di questa scelta.

In sostanza l

'art. 24 riuscirebbe a tutelare l'interesse del lavoratore alla conservazione del posto oltre l'età pensionabile nei termini indiretti del condizionamento derivante sul datore di lavoro dall'esistenza del rischio

di cui si è detto (la prosecuzione di fatto del lavoro), con un risultato che va al di là delle supposte intenzioni originarie

.

Si era partiti riconoscendo al lavoratore di scegliere tra la quiescenza e la prosecuzione del rapporto, si è arrivati riconoscendo al datore di lavoro di scegliere tra il licenziamento e la prosecuzione del rapporto.

Tra gli incentivi alla permanenza in servizio, vi è l'estensione legale della tutela

dell'art. 18

oltre l'età prevista per il collocamento a riposo

e

fino al 70° anno di età

: l'ultimo periodo dell'art. 24, 4° comma stabilisce che «nei confronti dei lavoratori dipendenti, l'efficacia delle disposizioni di cui all'

articolo 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300

e successive modificazioni opera fino al conseguimento del predetto limite di età». In coerenza con l'esclusione del diritto potestativo, secondo la sentenza delle Sezioni Unite del 2015 tale disposizione andrebbe interpretata nel senso che, «ove siano maturate le condizioni previste dalla prima parte del comma (e quindi siano intervenuti i coefficienti di trasformazione ed il rapporto sia consensualmente proseguito) la tutela prevista dall'

art. 18 dello Statuto dei lavoratori

continua ad applicarsi "entro il predetto limite di flessibilità", ovvero per il periodo massimo consentito per il prolungamento del rapporto di lavoro, costituito dal raggiungimento del settantesimo anno di età« e non già «nel senso che il riconoscimento della maggior tutela si trascinerebbe il diritto a rimanere in servizio per poter godere della tutela stessa».

Vi è al riguardo da aggiungere che mentre il richiamo alle successive modificazioni dell'art. 18 ha consentito di assorbire le novità della riforma della norma statutaria introdotte nel 2012, le cose paiono destinate a cambiare con il contratto a tutele crescenti. Ai lavoratori

assunti a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015 – compresi i lavoratori anziani prossimi alla pensione – non trova più applicazione l'art. 18 dello Statuto, bensì le tutele legali contro il licenziamento illegittimo stabilite dal

d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23

. Ciò, se non preclude la possibilità di concordare la prosecuzione dell'attività lavorativa fino a 70 anni, ai sensi dell'art. 24, con tutti i vantaggi sul piano previdenziale, non comporta più vantaggi sul piano del rapporto di lavoro, non essendo più operativa per i neo-assunti la tutela

dell'

art. 18

dello Statuto dei lavoratori

.

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