Ipoacusia professionale: il metodo Rossi non è più applicabile nel regime del d.lgs. 38/2000

Adriano Ossicini
09 Giugno 2016

È inammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza di merito che ha fatto applicazione del metodo Rossi nel regime del d.lgs. 38/2000 proposto solo per vizi di motivazione.
Massima

È inammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza di merito che ha fatto applicazione del metodo Rossi nel regime del

d.lgs. 38/2000

proposto solo per vizi di motivazione.

Il caso

Il giudice del merito ha condannato l'INAIL a liquidare ad un lavoratore un indennizzo, ai sensi dell'

art. 13 d.lgs. 38/2000

, per malattia professionale (dalla ctu si ricava per artrosi ed ipoacusia), contratta nella guida prolungata di un autocarro, decurtando il danno del 50%, in applicazione del c.d. metodo Rossi.

Il ricorso per cassazione, basato solo su vizi di motivazione, è stato dichiarato inammissibile dalla Corte.

Le questioni

Le questioni in esame sono le seguenti:

  • le caratteristiche del metodo Rossi,

  • se l'applicazione di una determinata tabella per la valutazione della ipoacusia professionale costituisca nel regime del

    t.u. 1124

    vizio di motivazione o violazione di legge,

  • l'introduzione di tabelle legali da parte del

    d.lgs. 38/2000

    ,

  • se la Corte poteva rilevare la violazione di legge, in assenza di specifico motivo di impugnazione.

Le soluzioni giuridiche | Osservazioni

Il problema dei criteri di valutazione delle ipoacusie è di grande rilevanza, perché esse rappresentano circa il 50% delle malattie professionali riconosciute dall'INAIL, e per l'esigenza di adottare criteri uniformi in tutti i casi.

Sotto il regime del

t.u. 1124

, nel quale veniva indennizzata la riduzione dell'attitudine al lavoro (

art.

74

), le tabelle allegate al t.u. per la valutazione della ipoacusia professionale prevedevano

solo la sordità unilaterale (rispettivamente 15% in industria, all. 1, e 20% in agricoltura, all. 2) e bilaterale (60% in entrambi i settori).

La medicina legale aveva perciò elaborato diverse tabelle per il calcolo dei valori intermedi, denominate dal loro autore, le quali basavano la propria autorità sulla validità scientifica e la condivisione dei criteri adottati, e che trovavano applicazione prevalentemente su base locale in base alla diverse scuole accademiche. Tra queste il c.d. metodo Rossi

, il quale

detrae dal deficit uditivo rilevato e valutato secondo la tabella Rossi la quota parte addebitabile a fattori di naturale invecchiamento o di inquinamento

acustico ambientale.

Poiché nessuna di queste era universalmente accettata, l'INAIL ed i patronati avevano stipulato un accordo al fine di applicare criteri uniformi di valutazione in tutti i casi denunciati e su tutto il territorio nazionale (accordo 1° agosto 1991, circ. INAIL 31 marzo 1992 n. 17), accordo che, diversamente dal metodo Rossi, escludeva lo scorporo di un quantum di danno attribuibile alla socio-presbiacusia.

L'adozione dell'una o dell'altra tabella non è indifferente per la quantificazione del danno e per l'entità della prestazione riconoscibile. Limitando il raffronto al metodo Rossi con l'accordo INAIL-patronati, la tabella convenuta con questo accordo attribuisce, rispetto alla tabella Rossi, valori superiori per i danni

gravi, leggermente inferiori per quelli lievi, ed è sovrapponibile per i danni medi. Applicando poi ai valori rilevati con la tabella Rossi lo scorporo previsto dal metodo Rossi (e non dall'accordo INAIL-patronati), i valori finali risultano ancora inferiori.

L'accordo INAIL-patronati si muoveva quindi lungo una linea di valorizzazione dei danni gravi, che sarà poi seguita dal

d.lgs. 38/2000

.

La giurisprudenza di legittimità è consolidata nel senso che

la valutazione del grado di riduzione dell'attitudine lavorativa importa non già una questione di natura giuridica, riservata al giudice, ma un giudizio di ordine sanitario, e pertanto le varie

tabelle e accordi hanno il valore di un ausilio scientifico per un apprezzamento di mero fatto,

demandabile, in quanto tale, ad un consulente tecnico (da ultimo

Cass. 21 marzo 2016 n. 5522

).

Sulla base di queste premesse, sono stati ritenuti validi, sì da costituire corretta ragione decisoria in sede di merito, se non validamente contestati in sede di legittimità sotto il profilo motivazionale, sia le tabelle Motta (

Cass. 9 maggio 2006 n. 10646

e

Cass. 16 novembre 2011 n. 23970

), sia il

metodo Rossi (

Cass. Sez. un. 4 giugno 1992 n. 6846

, in Riv.inf.mal.prof. 1992, II, 78). La pronuncia delle Sezioni unite ha così legittimato tale metodo, consentendone un largo impiego (da ultimo

Cass. 19 luglio 2004 n. 13390

; Cass. 9 giugno 2000 n. 7993), ma non lo ha assolutizzato come unico metodo ammesso. Trattandosi di valutazione di fatto,

i criteri scientifici a base dell'accordo INAIL-patronati possono essere motivatamente applicati nel caso singolo e prevalere sul metodo Rossi (

Cass. 25 gennaio 2016 n. 1247

).

A seguito della pronuncia delle Sezioni unite, INAIL e patronati hanno raggiunto nel 1994

un secondo accordo, nel quale hanno adottato un doppio standard:

nel contenzioso “informale” (collegiali tra INAIL e Parti sociali) e nelle valutazioni effettuate dai medici d'Istituto, nessuno scorporo; al contrario, nel giudizio formale di I e II grado, si possono seguire i principi espressi dalla Suprema Corte nella sentenza del 1992.

Benvenuto quindi il nuovo regime del

d.lgs. 38/2000

, nel quale ricade il caso in esame: il legislatore (

art. 13

, lett. a) e b) ha stabilito criteri legali di valutazione del danno biologico, che tengono già conto, ai fini dell'indennizzo relativo, dell'età dell'assicurato, demandati ad apposito decreto del Ministro del lavoro, su proposta dell'INAIL

.

La tabella delle menomazioni approvata con d.m. 12 luglio 2000 prevede sia la sordità completa unilaterale, cui attribuisce un valore del 12% (voce 310), e bilaterale (voce 311, valore 50%), uguale per industria ed agricoltura, sia il valore del deficit uditivo parziale, per il quale rinvia alla tabella di cui all'all. 1 che assegna un valore ponderato per ogni singola frequenza, richiamando la tabella Marello, e senza alcuna sottrazione per presbioacusia (CIMAGLIA-ROSSI, Danno biologico. Le tabelle di legge, Milano, 2006, pagg. 254 e 316).

Il quadro è perciò radicalmente cambiato: poiché il d.m. 12 luglio 2000 è delegato dall'

art. 13 d.lgs. 38/2000

, esso costituisce fonte di diritto oggettivo

di natura regolamentare dotato di rilevanza esterna, suscettibile di esame diretto e di interpretazione da parte del giudice di legittimità ai sensi dell'

art. 360 c.p.c.

; ne consegue che

la violazione dei criteri da esso dettati costituisce ora violazione di legge, e non questione di mero fatto.

Invero il dilemma è chiaro e netto: se il deficit uditivo è diacronico, cioè anteriore alla noxa professionale, siamo nel campo delle concause preesistenti extraprofessionali concorrenti e si applica la formula Gabrielli (DE MATTEIS, Infortuni sul lavoro e malattie professionali, Milano 2016, 62; OSSICINI, Infortuni e Malattie professionali. Metodologia operativa 2.0, Milano 2014, 67).

Se la causa extraprofessionale è sincronica, cioè coesiste con quella professionale, siamo nel campo delle concause, cui si applica il principio della equivalenza causale, secondo la regola dell'

art. 41 cod. pen.

che trova piena applicazione nella nostra materia, senza nessuna possibilità sottrattiva del danno provocato dalla concausa (ex plurimis da ultimo

Cass.

26 marzo 2015 n. 6105

;

Cass.

11 novembre 2014 n. 23990

).

L'applicazione del metodo Rossi costituisce perciò, nel regime del

d.lgs. 38/2000

, violazione di legge.

Esso sopravvive solo nei casi di revisione di rendite riconosciute sotto il regime del

t.u. 1124

, effettuate nel periodo successivo al 9 agosto 2000 (data di entrata in vigore del nuovo regime:

Cass.

5 maggio 2011 n. 9956

), perché la revisione appartiene al regime dl

t.

u. 1124

e va effettuata secondo le regole e metodologie in uso all'atto della costituzione della rendita. Tale principio, enunciato dall'

art. 9 d.lgs. 38/2000

solo per la revisione per errore, va applicato, secondo l'accordo INAIL-patronati, anche alla revisione per miglioramento o per peggioramento; in tal modo i criteri iniziali assumono una continuità normativa.

Poteva la Corte enunciare il corretto principio di diritto da applicare alla fattispecie?

Secondo il nostro sistema delle impugnazioni civili, improntato al principio devolutivo, certamente la Corte non poteva accogliere un ricorso per violazione di legge, quando erano stati denunciati solo vizi di motivazione.

Eppure una diversa soluzione era, a nostro avviso, possibile, alla luce dell'

art. 363 c.p.c.

Il testo originario prevedeva che quando le parti non hanno proposto ricorso o vi hanno rinunciato, il Procuratore generale presso la Corte di cassazione può proporre egli stesso ricorso per chiedere che sia cassata la sentenza, nell'interesse della legge. Due sono quindi i presupposti dell'ipotesi originaria: la mancanza di un ricorso per cassazione e l'impulso del Procuratore generale.

Il

d.lgs. 2

febbraio 2006 n. 40

(

art. 4

)

,

al dichiarato fine di rafforzare la funzione nomofilattica della Corte, ha rivitalizzato l'istituto, introducendo una seconda ipotesi: il giudice di legittimità, quando ritiene che la questione decisa è di particolare importanza, può pronunciare d'ufficio, senza l'impulso del Procuratore generale, il principio di diritto al quale il giudice del merito avrebbe dovuto conformarsi, anche quando dichiara inammissibile il ricorso.

L'invito del legislatore non è rimasto inascoltato, perché più volte negli anni successivi la Corte ha fatto applicazione dell'

art. 363 c.p.c.

riformato, sia a sezioni unite (ord. 1° ottobre 2014 n. 20661; sentt. 13 aprile 2012 n. 5873; 22 dicembre 2011 n. 28335; 19 ottobre 2011 n. 21582) che in sezione semplice (sent. 21 giugno 2013 n. 15685).

Il caso presente sottolinea la bontà del disegno del legislatore del 2006, volto ad una razionale economia del sistema giustizia complessivo.

L'ultimo comma dell'

art. 363

ha conservato la regola secondo cui la pronuncia della Corte non ha effetto sul provvedimento del giudice del merito, che passa in giudicato con la pronuncia di inammissibilità; pertanto il lavoratore non avrebbe avuto un diretto beneficio dalla enunciazione del principio di diritto.

Ma l'enunciazione del principio di diritto avrebbe avuto almeno tre effetti positivi: avrebbe avvertito i giudici di merito di non ripetere simili errori (come nelle intenzioni del legislatore); nello specifico del nostro campo l'INAIL, di solito molto attento alle indicazioni della Corte Suprema, avrebbe potuto diramare istruzioni conformi agli uffici periferici; infine avrebbe potuto intervenire d'ufficio sul caso singolo, senza che fosse di ostacolo il giudicato, perché di misura inferiore.

Così si sarebbe compiuto il maestoso ruolo congiunto Corte di legittimità-Istituto assicuratore per rendere giustizia in ogni caso concreto.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario