Rapporto di lavoro pubblico privatizzato e potere di autotutela dell'Amministrazione
09 Dicembre 2015
Massima
In tema di lavoro pubblico privatizzato, nel cui ambito gli atti di gestione del rapporto sono adottati con i poteri e le capacità del privato datore di lavoro, l'atto con cui l'Amministrazione revochi un incarico sul presupposto della nullità dell'atto di conferimento per inosservanza dell'ordine di graduatoria, equivale alla condotta del contraente che non osservi il contratto stipulato ritenendolo inefficace perché affetto da nullità, trattandosi di un comportamento con cui si fa valere l'assenza di un vincolo contrattuale, e non potendo darsi esercizio del potere di autotutela in capo all'Amministrazione datrice di lavoro. Ne consegue che gli atti e i procedimenti posti in essere dall'Amministrazione ai fini della gestione dei rapporti di lavoro subordinati devono essere valutati secondo gli stessi parametri che si utilizzano per i privati datori di lavoro. Dunque, non potendo trovare applicazione i principi e le regole proprie degli atti amministrativi, il potere amministrativo autoritativo si trasforma in potere privato che si esercita mediante atti di natura negoziale. Il caso
A seguito di espletamento di pubblico concorso, il Comune stipulava contratto individuale di lavoro con il vincitore in qualità di autista. Successivamente avviava il procedimento in via di autotutela volto all'annullamento del bando di gara e del relativo contratto, in considerazione di riscontrate violazioni di legge. Il dipendente lamentava l'illegittimità della delibera con cui il Comune aveva dichiarato “decaduto” il contratto di lavoro stipulato, in considerazione dell'annullamento dell'intera procedura concorsuale, sostenendo che l'Amministrazione non aveva il potere di recedere unilateralmente dal rapporto di lavoro in via di autotutela. Chiedeva quindi il ripristino del rapporto di lavoro, nonché il risarcimento del danno patrimoniale pari alle retribuzioni non corrisposte. Si costituiva il Comune eccependo in via preliminare il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, venendo in considerazione, nel caso di specie, un potere dell'Amministrazione in via di autotutela. Nel merito, contestando la pretesa avversaria, affermava la legittimità della revoca del bando di concorso e del successivo contratto di lavoro.
Il Tribunale di Catanzaro rigettava la domanda. Avverso tale pronuncia proponeva appello il dipendente. La Corte d'Appello di Catanzaro, riformando la sentenza di primo grado, condannava il Comune al ripristino del rapporto di lavoro con l'appellante e al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni non percepite, ritenendo illegittima la delibera con la quale il Comune aveva dichiarato “decaduto” il contratto di lavoro stipulato.
Avverso la pronuncia della Corte d'Appello proponeva ricorso per Cassazione il Comune articolandolo su due motivi di gravame. In particolare, il Comune denunciava la violazione e falsa applicazione dell'art. 16 della L. n. 56 del 1987, dell'art. 35 del D.Lgs. n. 165/2001 nonché dell'art. 5 della L. n. 2248 del 1865. La Corte di Cassazione, esaminando congiuntamente i motivi, in quanto connessi, rigettava il ricorso riaffermando il principio secondo il quale in tema di lavoro pubblico privatizzato gli atti di gestione del rapporto di lavoro sono adottati con i poteri e con le capacità del privato datore di lavoro, non potendo prospettarsi in capo all'Amministrazione, datrice di lavoro, un potere di autotutela. La questione
La questione sottoposta alla Corte di Cassazione è di particolare rilievo perché consente di ribadire un principio consolidato in tema di lavoro pubblico privatizzato.
Invero, la Suprema Corte ha più volte posto in evidenza che in tema di lavoro pubblico privatizzato gli atti di gestione del rapporto di lavoro sono adottati con i poteri e le capacità del privato datore di lavoro. A ciò consegue che l'atto con cui l'Amministrazione revoca un incarico sul presupposto della nullità del provvedimento per inosservanza dell'ordine di graduatoria equivale alla condotta del contraente che non osservi il contratto stipulato ritenendolo inefficace perché affetto da nullità, trattandosi di un comportamento con cui si fa valere l'assenza di un vincolo contrattuale, non potendo darsi esercizio del potere di autotutela in capo all'Amministrazione datrice di lavoro (Cass. n. 8328/2010). Ne deriva che gli atti e i procedimenti posti in essere dall'Amministrazione ai fini della gestione dei rapporti di lavoro subordinati devono essere valutati secondo gli stessi parametri che si utilizzano per i privati datori di lavoro, stante la scelta legislativa dell'adozione dei moduli privatistici dell'azione amministrativa. Scelta che la Corte Costituzionale ha ritenuto conforme al principio del buon andamento dell'Amministrazione di cui all'art. 97 Cost. affermando che, quale che sia la configurazione del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti, il legislatore ha voluto modellare e fondare tutti i rapporti dei dipendenti della Pubblica Amministrazione secondo "il regime di diritto privato del rapporto di lavoro", traendone le conseguenze anche sul piano del riparto della giurisdizione, a tutela degli stessi dipendenti, in base ad una esigenza di unitarietà della materia (Corte Cost. nn. 275/2001 e 11/2002).
In altre parole, i poteri della P.A., quale datrice di lavoro, non rappresentano più l'espressione di discrezionalità amministrativa, bensì di autonomia dell'Amministrazione che si esplica non già attraverso provvedimenti amministrativi, ma con atti unilaterali privati. Questo potere della P.A. trova la sua genesi nell'art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001, come modificato dall'art. 2, comma 17 D.L. n. 95/2012, convertito dalla legge n. 135/2012, ai sensi del quale, nell'ambito delle leggi e degli atti organizzativi di cui all'art. 2, comma 1, le determinazioni per l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro.
Pertanto, anche nel caso oggetto di disamina, i Giudici di Legittimità ritengono che, esclusa la presenza di atti e procedimenti amministrativi, non possono trovare applicazione i principi e le regole proprie di questi, ma il potere amministrativo autoritativo si trasforma in potere privato che si esercita mediante atti di natura negoziale.
In altre parole, l'inammissibilità dell'autotutela deriva dal fatto che il rapporto di pubblico impiego privatizzato fra datore di lavoro e dipendente è paritetico, ed è proprio il principio di parità delle parti che non consente il configurarsi in capo all'Amministrazione, in qualità di datrice di lavoro, di un potere di autotutela. Le soluzioni giuridiche
Alla luce del fatto che nell'ambito del lavoro pubblico privatizzato, gli atti di gestione del rapporto di lavoro sono adottati con i poteri e le capacità del privato datore di lavoro, la Suprema Corte ha ritenuto, coerentemente, che il comportamento dell'Amministrazione che revoca un incarico sul presupposto che il suo conferimento sia nullo equivale alla condotta del contraente che non osservi il contratto da lui stipulato ritenendolo inefficace perché affetto da nullità. Ne consegue che l'emanazione di provvedimenti autoritativi da parte dell'Amministrazione non può trovare applicazione nel rapporto di lavoro presso le pubbliche amministrazioni che, a seguito della privatizzazione, risulta caratterizzato da una sostanziale parità tra le parti ed è regolato dalla contrattazione collettiva di settore e attualmente dal T.U. n. 165/2001 che ha sostituito il D.Lgs. n. 29/1993 e successive modificazioni.
Giova sottolineare che la soluzione giuridica seguita dalla Corte di Cassazione si inquadra nell'ambito della rinnovata disciplina del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni. Per lungo tempo il riconoscimento della natura pubblica del rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A. ha comportato notevoli differenze rispetto al rapporto di lavoro privato, di tal che la disciplina del rapporto di lavoro pubblico si configurava come unilaterale, perché rimessa alle fonti di diritto pubblico, trovava spazio limitato la contrattazione collettiva e gli atti di gestione del rapporto erano assoggettati alla disciplina dei provvedimenti amministrativi, espressione della potestà pubblicistica dell'Amministrazione, in cui ben trovava collocazione il potere di autotutela dell'Amministrazione. Secondo autorevole dottrina (Benvenuti), l'autotutela consiste nel potere dell'Amministrazione di “farsi ragione da sé”, vale a dire la possibilità riconosciuta dall'ordinamento all'Amministrazione, quale manifestazione della specialità del diritto amministrativo rispetto al diritto comune, dovuta alla sovranità e all'autarchia di cui sono titolari gli enti pubblici, di rimuovere gli ostacoli che si frappongono tra il provvedimento e il risultato cui essa mira, ovvero la realizzazione dell'interesse pubblico concreto per la tutela del quale il provvedimento è stato emanato. I contenuti del potere di autotutela progressivamente sono stati arricchiti da altre figure, per cui si può parlare di autotutela in tutti i casi in cui all'Amministrazione sia demandato il compito di risolvere situazioni conflittuali, attuali o potenziali, sorte con i soggetti che entrano in contatto con la stessa.
Pertanto, si ritiene in dottrina (Sandulli) che l'autotutela si esplichi non solo nel potere di riesame e in quello di esecuzione coattiva del provvedimento, ma anche in quello di decisione dei ricorsi amministrativi, nonché nei poteri sanzionatori, di controllo e di sospensione dei provvedimenti. Nello specifico, il riesame con esito demolitorio, cioè quel potere di autotutela che si conclude con la rimozione di un provvedimento invalido, può sostanziarsi nell'annullamento d'ufficio ex art. 21 nonies L. n. 241/1990, nella revoca ex art. 21 quinquies, ovvero nella sospensione dell'efficacia di cui all'art. 21 quater della suddetta legge. Queste attività, stante la portata demolitoria che le caratterizza, vanno ad incidere su una precedente attività provvedimentale della P.A. sospendendone in tutto o in parte gli effetti.
Va evidenziato che il potere di autotutela dell'Amministrazione, inteso quale riesame dei suoi precedenti atti, non trova collocazione nel sistema dei rapporti di lavoro pubblico privatizzato, contesto nel quale la P.A., in qualità di datrice di lavoro, ha perso il tradizionale ruolo autoritativo che rivestiva nei rapporti con i suoi dipendenti. Ne consegue che la posizione dell'Amministrazione è stata assimilata a quella dei datori di lavoro privati, per cui essa esercita la propria potestà organizzativa come un qualsiasi soggetto dotato di capacità imprenditoriale. In particolare, gli atti di gestione del rapporto di lavoro sono stati equiparati a quelli con cui un privato datore di lavoro organizza la propria attività produttiva e la posizione giuridica vantata dai privati a fronte di essi ha perso la natura di interesse legittimo, con la conseguenza della devoluzione delle relative controversie al giudice ordinario. Del resto la stessa fonte del rapporto individuale si rintraccia non più in un provvedimento pubblicistico di nomina, bensì in un contratto individuale di diritto privato. Osservazioni
A conclusione della disamina del caso, sembra opportuno fare qualche considerazione in merito all'evoluzione subita dalla materia del rapporto di lavoro alle dipendenze della Pubblica Amministrazione. Con il D.Lgs. n. 29/1993 recante “Norme in materia di razionalizzazione dell'organizzazione dell'amministrazione e revisione della disciplina del pubblico impiego” è stata eliminata l'equiparazione tra carattere soggettivamente pubblico di una delle parti del rapporto di lavoro, l'Amministrazione, e la necessaria implicazione della natura pubblicistica dello stesso. Tale riforma è stata poi completata con il D.Lgs. n. 80 del 1998 che ha contribuito ad accelerare la devoluzione del contenzioso al giudice ordinario, estendendo la privatizzazione anche ai dirigenti generali, categoria che altrimenti sarebbe rimasta assoggettata alla disciplina pubblicistica. Numerosi sono stati gli interventi legislativi che si sono susseguiti in materia di pubblico impiego, tra i quali ricordiamo la L. n. 421/1992 ed il D.Lgs. n. 29/1993 attraverso i quali si è dato inizio al processo di privatizzazione del pubblico impiego, poi integrata e parzialmente modificata, in quella che stata definita la “seconda privatizzazione”, ad opera della L. 59/1997 cd. Legge Bassanini, in base alla quale sono stati emanati il D.Lgs. n. 396/1997 in tema di contrattazione collettiva, il D.Lgs. n. 80/1998 in materia di organizzazione, di rapporto di lavoro e di giurisdizione nelle controversie di lavoro, nonché il D.Lgs. n. 387/1998. Successivamente sono intervenuti il T.U. di cui al D.Lgs. n. 165/2001, la Legge delega n. 15/2009, il D.L. n. 101/2013 “Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni”, il D.L. n. 90/2014 “Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari”, convertito in L. n. 114/2014, nonché, da ultimo, la L. n. 124/2015 cd. Riforma Madia, recante “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche” il cui art. 5 è intervenuto sulla legge n. 241/1990, modificando gli articoli 19, 21-quinquies e 21-nonies in materia di autotutela amministrativa.
In particolare, giova sottolineare che il fenomeno della privatizzazione si fonda sull'estensione delle norme del diritto privato al rapporto di pubblico impiego, sulla diretta applicabilità della disciplina della contrattazione collettiva, nonché sull'attribuzione al datore di lavoro pubblico degli stessi poteri di gestione del rapporto, propri del datore di lavoro privato, cui fa riscontro una maggiore autonomia negoziale delle parti, le quali regolano il rapporto di lavoro mediante contratti collettivi ed individuali. Se dunque il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici privatizzati è sottoposto alla medesima disciplina di qualsiasi rapporto di lavoro dei dipendenti privati, come si desume dall'art. 2, comma 2 del D.Lgs. n. 165/2001, ne deriva che sono applicabili al pubblico impiego le disposizioni dello Statuto dei Lavoratori, le norme relative al divieto di intermediazione di manodopera, le norme sulla parità uomo-donna, quelle poste a tutela delle lavoratrici madri, nonché le disposizione afferenti allo sciopero. Ulteriore corollario attiene alla separazione degli atti di diritto pubblico di organizzazione degli uffici dagli atti di diritto privato di regolazione del rapporto di lavoro, quindi alla scissione tra materie riservate alla legge e agli atti unilaterali della Pubblica Amministrazione e materie assoggettate alla disciplina privatistica, nonché alla linea di demarcazione che corre tra compiti di indirizzo politico-amministrativo e compiti di organizzazione gestionale degli uffici e dei rapporti di lavoro. In virtù di queste premesse va sottolineato che solo alcuni degli atti emessi dall'Amministrazione, in qualità di datrice di lavoro, in materia di organizzazione degli uffici hanno conservato la natura di provvedimenti amministrativi, vale a dire quelli concernenti la macro-organizzazione, laddove invece tutti gli atti di gestione del rapporto di lavoro sono stati qualificati come atti aventi natura negoziale, assunti con i poteri e le capacità del privato datore di lavoro e regolati dal diritto comune, come si evince dall'art. 5, comma 2 del T.U. n. 165/2001. Si tratta sia degli atti di micro-organizzazione, sia di quelli di gestione diretta del rapporto di lavoro, quali assunzione, trasferimento e licenziamento. Ne deriva che tali atti sono impugnabili in quanto posti in essere in violazione delle regole privatistiche cui l'Amministrazione deve attenersi nell'esercizio del rapporto di lavoro in funzione di datrice di lavoro, al pari degli atti dei datori di lavoro privato. Riferimenti bibliografici
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