Eccessiva la sanzione della sospensione per il lavoratore che rivolge frasi minacciose al collega

La Redazione
10 Febbraio 2015

Sancita definitivamente l'illegittimità della sanzione disciplinare adottata da ‘Poste Italiane' nei confronti di un dipendente. Nessun dubbio sull'episodio contestato al lavoratore, il quale ha rivolto frasi minacciose, ma non offensive, all'indirizzo di un collega, però è valutato comunque come eccessivamente duro il provvedimento messo in atto dall'azienda.

Cass.civ., sez. VI, 6 febbraio 2015, n. 2330, ord.

Sancita definitivamente l'illegittimità della sanzione disciplinare adottata da ‘Poste Italiane' nei confronti di un dipendente. il quale ha rivolto frasi minacciose, ma non offensive, all'indirizzo di un collega. I giudici di legittimità hanno valutato eccessivamente duro il provvedimento messo in atto dall'azienda.

Condotta poco elegante di un lavoratore, che rivolge epiteti non proprio oxfordiani a un collega. Testimoni due lavoratrici, che hanno addirittura presentato un esposto sull'episodio.
Nessun dubbio sui contenuti dell'episodio. Allo stesso tempo, però, è valutata come eccessiva la sanzione disciplinare adottata dall'azienda, ossia la sospensione di dieci giorni per il dipendente (Cass., ordinanza n. 2330/2015, sesta Sezione Sesta Civile - Lavoro, depositata oggi).

Sospensione. Punto di svolta della battaglia giudiziaria è la decisione della Corte d'Appello, che, ribaltando la prospettiva adottata in Tribunale, sancisce l'illegittimità del provvedimento disciplinare deciso dall'azienda – ‘Poste Italiane spa' – nei confronti di un lavoratore.
Per i giudici di secondo grado, alla luce del «comportamento tenuto» dall'uomo, «la sanzione irrogata» – «sospensione di dieci giorni» – è «eccessiva». Di conseguenza, il «datore di lavoro, quale titolare del potere disciplinare» deve procedere, concludono i giudici, ad una «riduzione della sanzione».

Sproporzione. Inevitabile la reazione dei legali che rappresentano l'azienda, reazione che si concretizza nel ricorso in Cassazione, finalizzato a sostenere la tesi della gravità della condotta tenuta dal lavoratore.
Su questo fronte, in particolare, viene evidenziato, dall'azienda, il fatto che «il dipendente aveva rivolto frasi ingiuriose a due colleghe, intralciandone la prestazione ed impedendone le operazioni cui esse erano addette». Ciò ha comportato, sempre secondo l'azienda, «una condotta contraria ai dovei fissati dalle disposizioni codicistiche e dalla norma collettiva, per la quale la sospensione è applicabile ove il lavoratore sia autore di minacce o ingiurie gravi verso altri dipendenti, o di comportamenti che producano interruzione o turbativa del servizio».
Tale ricostruzione dell'episodio, però, viene valutata, dai giudici di legittimità, come ‘forzata', alla luce del materiale probatorio raccolto tra primo e secondo grado. La documentazione a disposizione dei giudici di merito, difatti, ha consentito di appurare che il lavoratore ha pronunciato «parole che avevano contenuto offensivo, ma non minaccioso», rivolgendole però non alle «due lavoratrici» che hanno poi presentato un «esposto», bensì a «un terzo dipendente».
Evidente, quindi, e non discutibile, l'«inadempimento» attribuibile al lavoratore. Però, aggiungono i giudici del ‘Palazzaccio', è altrettanto lapalissiano quanto sia «sproporzionata la sanzione» adottata da ‘Poste Italiane'.
A vuoto, quindi, la richiesta dell'azienda di vedere legittimata la «sospensione di dieci giorni» del dipendente. E inutile anche la domanda, rivolta al giudice, di provvedere a indicare una «sanzione meno grave».

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